La scoperta della notizia e la verifica dei fatti sono i primi due comandamenti del giornalismo. Per questo, due mesi fa, abbiamo introdotto una sezione di fact-checking (la verifica dei fatti, appunto) che ci permettesse di sperimentare quanto le dichiarazioni dei politici, le grandi questioni internazionali e finanche i numeri che quotidianamente i media raccontano siano più o meno vicini alla rappresentazione dei fatti.
Che cosa abbiamo imparato in questi primi due mesi? Molto. Intanto un metodo di lavoro faticoso, ma ricco di soddisfazioni. Verificare i fatti è prima di tutto un modo di approfondire. E anche se il punto di arrivo non è esattamente la verità e un modo per avvicinarsi ad essa, conoscerne le varie sfaccettature, approfondirle ed uscirne in qualche modo più ricchi, più informati su specifici argomenti.
Il lavoro inizia di prima mattina con lo staff di Pagella Politica, partner di Agi in questa iniziativa. Ogni giorno ci scambiamo una o più email: quali sono i temi sensibili sui quali lavorare? Quali di questi temi o dichiarazioni sembrano veri, verosimili o probabilmente falsi? Individuato l’oggetto dell’analisi si parte. Non è quasi mai un lavoro semplice: verificare, approfondire per informare nella forma più corretta e chiara possibile richiede tempo, ricerche, confronti di più fonti e documenti.
Così, nel tempo variabile di 2-3 ore si arriva a una prima bozza. Questa è solo la base di partenza per un ulteriore controllo, una sorta di fact-checking del fact-checking, che implica una revisione alla ricerca degli stessi dati utilizzando fonti diverse, quando possibile, o il confronto con esperti del settore. Così emergono ulteriori osservazioni su fatti e numeri che consentono di dare un ok definitivo a ciò che pubblichiamo nella rete dei nostri abbonati (televisioni, radio, giornali, enti pubblici e privati) e sul nostro sito.
Quello che abbiamo capito da questa esperienza è che il risultato finale di questo lavoro non è necessariamente la verità, ma una base di partenza per avvicinarsi ad essa, per andare oltre il titolo, oltre la dichiarazione di un politico o di una fonte semplicemente riportata e lasciata lì a galleggiare nella rete a imperitura memoria. Abbiamo capito che il nostro lavoro non porta necessariamente al nero o al bianco, ma a tante sfumature. Non c’è sempre il torto o la ragione: spesso la risposta è “beh, non è proprio così”, e spiegarne il perché non è esattamente facile. Ma nell’era delle fake news, delle bufale conclamate, della propaganda disintermediata, della post-verità siamo convinti che questo lavoro sia importante per quei lettori che ancora amano nutrirsi dei fatti, approfondire, riflettere, farsi una opinione su basi il più solide possibile.
Abbiamo imparato ciò che nel giornalismo anglosassone era una regola aurea, troppo frettolosamente abbandonata nell’era del “chi la spara più grossa vince”: separare i fatti dalle opinioni è un atto di trasparenza nei confronti di chi ci legge. Abbiamo capito che la ricerca della credibilità, della quale i media hanno un disperato bisogno, è la base del giornalismo. Di ogni forma di giornalismo. Abbiamo verificato che i lettori, quando apprezzano il lavoro che fai, interagiscono, chiedono di verificare questo o quello e noi lo facciamo.
Abbiamo anche toccato con mano che il lavoro non è necessariamente utile per tutti: sui social media possiamo essere attaccati da quanti hanno già una loro verità che non sono disposti a negoziare per niente e con nessuno. Ma è un lavoro molto apprezzato da quelli che nutrono il dubbio, che si fanno domande e hanno voglia di approfondire, di formarsi una opinione. Il fact-checking non offre risposte definitive, ma è un punto di partenza per chi ritiene che la verità sia ancora un valore importante, con la consapevolezza che falsità e menzogne sono sempre circolate. E’ solo che le bufale oggi viaggiano molto più veloci di un tempo e hanno una prateria sterminata sulla quale propagare alla velocità della luce. O forse meglio dire della Rete.
In questi due mesi abbiamo imparato soprattutto che la verità non è quasi mai assoluta. Quella che indaghiamo e cerchiamo di ricostruire è una verità giornalistica che, come quella giudiziaria, si basa su prove raccolte, trattate in modo corretto, ma che non necessariamente portano a un racconto fedele del reale. Un po’ come accade nel film Rashomon (Akira Kurosawa, 1950) che racconta le infinite sfaccettature della verità. C’è un delitto (il fatto) raccontato da più testimoni (i diversi punti di vista) che ricostruiranno più verità diverse tra loro. Ecco: il fact-checking non pretende di disvelare la verità, ma di indagarne le mille sfaccettature.