Nella relazione annuale al Parlamento il presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali, Antonello Soro, ha affrontato una serie di criticità legate al nuovo ecosistema digitale. Come spesso accade in queste occasioni l’elenco ha messo in risalto più i punti di oggettiva difficoltà che i tanti, incontestabili, elementi di progresso legati al nuovo mondo digitale. Così le parole chiave che emergono dalla relazione sono “violenza”, “vulnerabilità”, “condizionamento”, “terrorismo”, “schiavitù”, “pedopornografia”, “sfruttamento”. Un lungo elenco che forse andrebbe commisurato anche al tanto di positivo che la rete ha portato per riportare l’analisi su un piano simmetrico.
1 - Grandi monopolisti del web condizionano l'umanità
La prima criticità, dalla quale probabilmente discendono tutte le altre, è il risultato di un paradosso determinato dalla storia stessa di internet: il web ha allargato la democrazia, permettendo a tutti i cittadini connessi di esprimere le proprie opinioni, i propri bisogni, di interagire e dispiegare le proprie attività con bassi investimenti economici. Ma al tempo stesso ha propiziato la nascita delle grandi piattaforme che hanno guadagnato una posizione monopolistica, spesso, quasi sempre, dettando le proprie regole transnazionali. “La concentrazione in capo a pochi soggetti privati di un rilevantissimo potere, non solo economico, ha determinato un mutamento sostanziale nei rapporti tra individuo e Stato, tra pubblico e privato, cambiando profondamente la geografia del potere. Un numero esiguo di aziende possiede un patrimonio di conoscenza gigantesco e dispone di tutti i mezzi per indirizzare la propria influenza verso ciascuno di noi, con la conseguenza che, un numero sempre più grande di persone - tendenzialmente l'umanità intera - potrà subire condizionamenti decisivi".
Le ragioni di questi condizionamenti sono così illustrate dal Garante: "Gli Over the Top sempre più spesso intervengono, in un regime prossimo all'autodichia, per comporre istanze di rilevanza primaria, quali informazione e diritto all'oblio, libertà di espressione, dignità e tutela dalle discriminazioni, veridicità delle notizie diffuse. Parallelamente, l'intervento statale è reso più complesso dalla capacità delle nuove tecnologie di scardinarne i presupposti essenziali: in primo luogo la territorialità, quale criterio di competenza ed applicazione della legge". Alle parole del Garante si sono poi aggiunte quelle della presidente della Camera, Laura Boldrini, che ha ribadito come “non possano esistere poteri che non rispondono alle istituzioni” nazionali o sovranazionali. Perfetto. Ma le preoccupazioni esposte in entrambi i casi non sono anche il risultato dei ritardi che le istituzioni hanno accumulato nel capire che il nuovo mondo andava appunto governato e non semplicemente subito? Chi, se non le istituzioni preposte, dovrebbe farsi portatore di proposte, soluzioni che siano in grado di gestire il cambiamento tecnologico rispetto al quale sono invece apparse sempre in colpevole ritardo?
2 - La vita digitale ci rende vulnerabili
Internet è la nuova dimensione “entro cui si svolge, per citare l'articolo 2 della Costituzione, la personalità di ciascuno: è la realtà in cui i diritti si esercitano o possono essere negati, le libertà si dispiegano o sono violate” ha poi specificato Soro. Per questo, oggi, “la nostra più effettiva dimensione di vita è, paradossalmente, quella digitale densa di straordinarie opportunità, ma anche di insidie. Perché i dati costituiscono la proiezione digitale delle nostre persone e insieme ne manifestano la vulnerabilità". Da queste parole se ne dovrebbe dedurre che oggi siamo più deboli, insicuri, meno protetti che in passato. Ma l’umanità è per definizione vulnerabile. Lo è sempre stata. Oggi non lo siamo più o meno di quello che è stato in altre epoche. Forse siamo solo vulnerabili in modo diverso: non dobbiamo più quotidianamente difenderci da un ambiente ostile, ma dobbiamo proteggere i nostri dati, cioè il nostro essere nel nuovo mondo. Un compito che, appunto, è stato affidato al Garante. Ma che forse avrebbe dovuto essere condiviso, già da molti anni, con le istituzioni preposte all’istruzione: se non formiamo i giovani, fin da piccoli, ad affrontare le nuove vulnerabilità come possiamo sperare che siano cittadini pronti a cogliere tutto il meglio che il mondo digitale può offrire loro?
3 - Sul web la violenza non conosce limiti
Per il Garante, "l'assenza di limiti, propria della rete, ha offerto infinite potenzialità di crescita e conoscenza, alle quali meno frequentemente si è accompagnato un corrispondente esercizio di consapevolezza e responsabilità". "Se sul web la libertà si esprime in ogni sua potenzialità – ha sottolineato Soro - anche la violenza, specularmente, non conosce limiti. Dalla violenza verbale da parte di chi, in rete, supera ogni freno inibitorio erroneamente confidando nell'anonimato, fino all'estremo dell'esibizione online di atti omicidi, da parte dei loro stessi autori ". In questo riferimento all’”esercizio di consapevolezza e responsabilità” il Garante sembra proprio richiamare alle proprie responsabilità il mondo dell’istruzione rimasto ancorato a una didattica “antica” in un mondo che ormai si muove con altri strumenti, altri orizzonti, altri obiettivi. O vogliamo dire che la scuola in questi anni è stata recettiva nell’adeguare la formazione alle trasformazioni in atto ormai da quasi un trentennio?
Cosa hanno in comune questi tre punti, fra i tanti affrontati dal garante nella Relazione annuale? Sono tutti espressione di un deficit di cultura, di una educazione digitale etica e morale. La rete, non lo si ricorda mai abbastanza, non è portatrice di valori positivi o negativi, non rappresenta il bene o il male. La rete è uno strumento, come tanti altri. La usano i cittadini per studiare, risolvere problemi, comunicare, lavorare. Certo, la usano anche i terroristi per la propaganda e per organizzarsi. Ma è stato così anche con altre tecnologie. Nelle stragi di mafia del ’93 i telefoni cellulari ebbero un ruolo fondamentale per organizzare gli attentati. Nessuno propose di limitarne l’uso o le funzionalità. Anzi, ad essere precisi, proprio l’analisi del traffico telefonico nelle zone vicine agli attentati permise agli inquirenti di identificarne i colpevoli. Il tema non è dunque criminalizzare la tecnologia, ma imparare ad usarla e, soprattutto, imparare a insegnarla.