Senza un accordo di pace basato sul diritto internazionale, l'annuncio degli Stati Uniti di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele e spostare la sua ambasciata in città, rischia di essere solamente una mossa provocatoria e pericolosa sia per la sicurezza dei palestinesi, che di Israele.
Siamo infatti di fronte ad un gesto unilaterale che - come evidenziato dal disaccordo espresso dai paesi europei nel corso del Consiglio di Sicurezza dell’Onu di venerdì scorso - non tiene conto di un dato di fatto da cui occorre partire: secondo il diritto internazionale, Gerusalemme Est è parte del Territorio Palestinese Occupato e qualsiasi decisione che cerchi di legittimarne l'annessione illegale da parte di Israele, rappresenta un allontanamento dalla prospettiva di una pace vera e duratura, che è così disperatamente necessaria.
Di conseguenza, purtroppo, dobbiamo prepararci a un possibile aumento della violenza - e questi primi giorni confermano le nostre preoccupazioni - sia verso i civili palestinesi che israeliani e alle conseguenze che tutto questo avrà su un ritorno alla “normalità” in tutta l’area.
Noi di Oxfam siamo in prima linea per fornire servizi di base e opportunità alle comunità di Gerusalemme Est, isolate dal muro, e che vivono in condizioni sempre più difficili a causa dell'occupazione in corso. Servizi che si renderanno sempre più necessari per comunità vulnerabili che di fatto sono tagliate fuori sia dall'Autorità palestinese che dal governo israeliano e che devono la propria sopravvivenza agli aiuti internazionali.
Tuttavia, mentre la popolazione a Gaza, in Cisgiordania e nella zona occupata di Gerusalemme Est, vive ogni giorno le pesantissime conseguenze di questa occupazione, l'attenzione del mondo arriva solo quando i leader politici rilasciano dichiarazioni o quando la violenza esplode.
Per questo motivo adesso diviene essenziale che l’elemento di novità - emerso lo scorso venerdì in occasione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite - non resti lettera morta. La dichiarazione congiunta degli ambasciatori di Italia, Francia, Gran Bretagna, Svezia, Germania - che ha esplicitato in modo netto il disaccordo con la decisione degli Stati Uniti e la disponibilità a un’azione per una concreta ripresa del processo di pace – deve essere rilanciata e fatta proprio dall’Unione europea e dai suoi Stati membri.
Come? Prima di tutto intervenendo davvero per il raggiungimento di una pace giusta e duratura sia per palestinesi che per gli israeliani, basata sul diritto internazionale. In altre parole esercitando finalmente una leadership internazionale nel tentativo di risoluzione di questa lunghissima crisi.
In questa direzione, oggi, in occasione dell’incontro di Netanyahu con i Ministri degli esteri europei l'UE e i suoi Stati membri, dovrebbero ribadire collettivamente che l'annessione di Gerusalemme Est da parte di Israele non solo è illegale, ma null’altro che un modo per allontanare la pace, sottolineando inoltre con forza le responsabilità di Israele come potenza occupante.
E, per quanto riguarda l’Italia, la dichiarazione del Vice Ministro Giro in vista dell’incontro appare andare proprio su questa linea.
Dal summit dovrebbe perciò emergere la necessità di contrastare il rischio che la decisione degli Stati Uniti possa incoraggiare Israele a espandere ulteriormente gli insediamenti, intensificare i trasferimenti forzati e gli sfratti di civili, e continuare con la sua politica di demolizione delle case. In altre parole di andare avanti con una politica che impedisce a migliaia di palestinesi di godere pienamente dei loro diritti. Il messaggio dell’UE dovrebbe risultare chiaro: Israele renda conto di tali pratiche.
Un primo passo ad esempio, per rendere concreta questa richiesta, potrebbe avvenire esercitando pressione su Israele, per un risarcimento per le 400 strutture finanziate dall'Ue o dagli Stati membri (per un valore di oltre 1,2 milioni di euro di denaro pubblico) demolite o sequestrate negli ultimi otto anni, in violazione del diritto internazionale umanitario.
Infine, dobbiamo tener presente come la frammentazione delle comunità palestinesi e la separazione della Striscia di Gaza dal resto degli OPT, da Israele e dal mondo rendono impossibile una soluzione pacifica, vista in particolare alla luce dei recenti sviluppi. È fondamentale quindi che l'Ue e i suoi Stati membri sostengano attivamente e non impediscano gli sforzi di riconciliazione palestinese, e allo stesso tempo spingano Israele a rimuovere il blocco al commercio di Gaza, in modo da incoraggiare la ripresa economica nella Striscia, che gioverebbe sia agli israeliani che ai palestinesi.
E’ una sfida molto complessa, ma se l’Europa vuole riempire il vuoto diplomatico lasciato dagli Stati Uniti dopo la scelta di Trump, si deve muovere unita, adesso.