"Dalla lingua cominciano le guerre". Sono parole di Papa Francesco all'Angelus di domenica 3 marzo. Che sia vero lo abbiamo visto in queste settimane con la telenovela del presidente autoproclamato del Venezuela Juan Guaidò, riconosciuto (in molti casi solo a parole) da diversi paesi europei e latinoamericani su pressione degli Usa.
Una farsa rilanciata con enfasi dai media di tutto il mondo, la cui seconda puntata era il tentativo (non riuscito) di invadere il paese con camion di aiuti alimentari scaduti, che contenevano anche armi e esplosivi pienamente efficaci. E che ha avuto un prologo nell'attentato del 4 agosto al presidente Maduro, preparato tra Washington e Bogotà, come ammesso dagli stessi congiurati. "In guerra la prima vittima diventa sempre la verità", ha scritto del resto Eschilo oltre duemila anni fa. E certo questa affermazione ha trovato conferme in ogni tempo.
Papa Francesco, rivolgendosi alla folla presente in piazza San Pietro, ha suggerito in proposito ai fedeli che "ciascuno si interroghi chiedendosi 'io parlo male degli altri?' Cerchiamo di correggerci almeno un poco, ci farà bene a tutti". Parole che colpiscono e fanno pensare: riguardano la vita di ciascuno ma anche la geopolitica e in particolare la demonizzazione degli "stati canaglia" (che tali non sono) da parte della Casa Bianca. Chi non ricorda l'attacco all'Iraq giustificato con presunte armi di distruzione di massa che non c'erano?
Le bugie sulle armi di distruzione possedute dall'Iraq
Solo nel 2015, dodici anni dopo la controversa invasione che è costata centinaia di migliaia o forse milioni di vite umane, e il posto di primo ministro a lui, Tony Blair disse: "I am sorry". L'ex leader laburista chiese scusa, anzi tre volte scusa: per gli errori dello spionaggio britannico che avevano attribuito a Saddam Hussein il possesso di armi di distruzione di massa (la ragione ufficiale per l'intervento militare del Regno Unito accanto agli Stati Uniti), per errori nella pianificazione della guerra e per la mancata comprensione di quelle che sarebbero state le conseguenze del conflitto, ovvero per l'instabilità che ha sconvolto l'Iraq e le regioni circostanti.
Palla a effetto
Furono l’intelligence americana e quella tedesca – che gestì le sue informazioni – a dare a Rafid Ahmed Alwan al-Janabi il nome in codice di “Curveball” (palla a effetto). Janabi era stato un ingegnere chimico in Iraq, ma era scappato nel 1995 per poi ottenere asilo nel 2000 in Germania. Tre settimane dopo, a quanto ha raccontato Janabi in una confessione durata due giorni con i giornalisti del Guardian, un responsabile dei servizi segreti tedeschi lo andò a cercare dopo aver saputo della sua professione in Iraq.
Janabi allora gli raccontò molte cose sulla produzione di armi chimiche in Iraq, e quelle cose furono così interessanti e articolate da diventare, nel giro di tre anni, la fonte principale del famoso discorso di Colin Powell all’ONU, quello con cui gli Stati Uniti accusarono l’Iraq di essere in possesso di armi di distruzione di massa e costruirono le ragioni della guerra contro Saddam Hussein. Ma nella sua confessione l’uomo ha ammesso di essersi inventato gran parte di ciò che aveva raccontato.
E oggi le tensioni con l'Iran non hanno la medesima genesi, poggiandosi su una evidente manipolazione? L'elenco è lungo, comprende ovviamente anche il Nicaragua e appunto il Venezuela, dove spesso è però la stessa gerarchia cattolica locale a prestare il fianco alla tentazione delle calunnie che "portano alle guerre". Il fallimento del vertice di Hanoi con la Corea del Nord conferma proprio questo: la fiducia reciproca serve per costruire la pace e se si demonizza un paese le conseguenze saranno poi gravissime.
Quell'intervento inascoltato di San Giovanni Paolo II
Assai presto sono state dimenticate le parole di San Giovanni Paolo II che il 16 marzo 2013 tento di fermare l'attacco alleato all'Iraq, rimanendo inascoltate: "I prossimi giorni saranno decisivi per gli esiti della crisi irakena. Preghiamo, perciò, il Signore perché ispiri a tutte le Parti in causa coraggio e lungimiranza”.
Certo, “i responsabili politici di Baghdad hanno l'urgente dovere di collaborare pienamente con la comunità internazionale, per eliminare ogni motivo d'intervento armato. A loro è rivolto il mio pressante appello: le sorti dei loro concittadini abbiano sempre la priorità!”.
Ma “vorrei pure ricordare ai Paesi membri delle Nazioni Unite, ed in particolare a quelli che compongono il Consiglio di Sicurezza, che l’uso della forza rappresenta l'ultimo ricorso, dopo aver esaurito ogni altra soluzione pacifica, secondo i ben noti principi della stessa Carta dell’ONU”.
“Ecco perché - di fronte alle tremende conseguenze che un'operazione militare internazionale avrebbe per le popolazioni dell’Iraq e per l'equilibrio dell’intera regione del Medio Oriente, già tanto provata, nonché per gli estremismi che potrebbero derivarne - dico a tutti: c’è ancora tempo per negoziare; c'è ancora spazio per la pace; non è mai troppo tardi per comprendersi e per continuare a trattare”. “Riflettere sui propri doveri, impegnarsi in fattivi negoziati non significa umiliarsi, ma lavorare con responsabilità per la pace". Come andò a finire lo sappiamo tutti.