La rivoluzione copernicana di Papa Francesco: fare domande, non solo dare risposte
Bergoglio e l'incontro virtuale con gli astronauti della stazione spaziale ha confermato la grande umanità e capacità del Santo Padre di porsi sempre nei panni dell'altro

“Buongiorno…o buonasera! Perché quando si è nello spazio non si sa mai bene cosa dire! Caro dottor Nespoli, cari astronauti, penso che lì nella Stazione Spaziale le giornate scorrano in modo diverso, vero?”. Ha assunto l’inedita veste dell’intervistatore, Papa Francesco, nell’incontro con l’equipaggio della Stazione Spaziale Internazionale (Iss), un collegamento che giovedì 26 ottobre, per un intero pomeriggio, ha visto il Papa fare le domande anziché dare le risposte. E’ stata una “rivoluzione copernicana” quella alla quale abbiamo assistito, a distanza di quasi cinquant’anni dalla straordinaria notte del 20 luglio 1969 in cui Paolo VI seguì la lunga diretta Rai dello sbarco sulla Luna, e la Rai lo mostrava in sequenza con le immagini dei primi passi di Neil Armstrong sul satellite della Terra, ed a sei dal collegamento di Benedetto XVI con una navicella della Nasa, sulla quale, nel 2011, c’era lo stesso Paolo Nespoli che ha fatto da interprete e ponte tra Francesco e i sei astronauti della missione attualmente in orbita, si tratta della “Expedition 53”, tre statunitensi, due russi e l’italiano Nespoli.
Ieri dunque “il Papa ha per un attimo distolto l’attenzione dalle innumerevoli udienze cui si sottopone ogni giorno quale capo della Chiesa Cattolica ed era visibilmente divertito - racconta il giovane vaticanista Francesco Donat-Cattin - di potersi collegare con gli astronauti e con lo spazio, come se per un pomeriggio avesse rivissuto in lui quel bambino che come tutti i bambini voleva fare l’astronauta. Il piccolo Jorge Mario che vive in lui può aver provato un pizzico di invidia per quegli angeli dei cieli, che volano su di navicelle spaziali alla velocità della luce, ma l’occasione di volare con la mente tra il cielo e la terra può essere stata per Francesco anche occasione per riflettere una volta di più sul suo ruolo di pontefice. Gli astronauti gli hanno infatti ricordato che da lassù si vede la Terra ‘un po’ con gli occhi di Dio’, per come sarebbe stata pensata in realtà: ‘senza confini’ e come un luogo dove l’intera famiglia umana potesse vivere in comunione e secondo una missione d’amore. Dall’alto della sua cattedra, infatti, vede tutto e tutti e per questo ha l’ultima parola su tutto, e per questo può anche suscitare invidia, fascinazione o risentimenti in chi ‘non può volare’ e vede tutto dal basso, perdendo di vista l’insieme” .

Per prima cosa Francesco ha chiesto cosa si prova, dal punto di vista spirituale a guardare l’universo dallo spazio, senza gli angusti confini delle nostra visuali terrestri. E sorridendo Nespoli, ha risposto: “Io mi sento una persona tecnica, un ingegnere, mi sento a mio agio tra le macchine, tra gli esperimenti, ma quando si parla di queste cose rimango anch’io perplesso”. “È un discorso delicato, l’obiettivo qua penso che sia quello di conoscere il nostro essere, per riempire la conoscenza, capire quello che ci sta intorno”, ha continuato Nespoli, prima di lasciarsi andare ad una riflessione di socratica memoria: “Trovo poi interessante vedere come più conosciamo e più ci rendiamo conto che non sappiamo niente…perciò mi piacerebbe tanto che non solo ingegneri, non solo fisici, ma anche persone come Lei, teologi, filosofi, poeti, scrittori, possano un giorno venire qui nello spazio. Ma tanto questo sarà sicuramente il futuro, mi piacerebbe che venissero qua per esplorare che cosa vuol dire avere un essere umano nello spazio”.
Una stazione spaziale che riproduce l’Onu
Poi riflettendo sulla società contemporanea che è “molto individualista”, quando “invece nella vita è essenziale la collaborazione”, il Pontefice, pensando “a tutto il lavoro che c’è dietro un’impresa come la vostra”, ha chiesto a Nespoli e all’equipaggio se potessero dargli “un esempio significativo di collaborazione nella stazione spaziale”. “Per questa Stazione c’è una cooperazione tra le più svariate nazioni del mondo – ha risposto l’ultimo astronauta che doveva ancora parlare con il Papa, Joseph Acaba, americano ma “di discendenza portoricana”, come ci ha tenuto a precisare in spagnolo – ci sono gli Stati Uniti, c’è la Russia, il Giappone, il Canada, nove nazioni europee, che lavorano tutte insieme per ottenere qualcosa che è al di sopra di ognuno di loro”. “Ma soprattutto – ha aggiunto Nespoli – ha detto che ognuno di noi porta una diversità e queste messe insieme arrivano ad essere una cosa molto più grande e importante della persona da sola”.
Al che Francesco ha esclamato gioioso: “Voi siete un piccolo Palazzo di Vetro!”. Infatti, ha osservato, è proprio così: “La totalità è più grande della somma delle parti. E questo è l’esempio che voi ci date, grazie tante amici”. “Vorrei dire ‘fratelli’ – ha poi aggiunto e concluso – perché nel grande progetto di cui fate parte vi sentiamo come rappresentanti dell’intera famiglia umana! Vi ringrazio di cuore per questo colloquio. Il Signore benedica voi, il vostro lavoro e le vostre famiglie! Vi assicuro che pregherò per voi, voi pregate per me”. “Santo Padre, a nome di tutti la voglio ringraziare di essere stato con noi oggi e averci portato più in alto e averci fatto pensare a cose più alte e importanti, tirandoci fuori da questa meccanicità”, è stata la risposta di Nespoli, altrettanto felice per il collegamento con la Stazione Papale.
La forza potente dell’amore
“È vero quello che lei dice – ha ripreso Francesco – proprio in questa sala, come vedete alle mie spalle, si trova un arazzo artistico ispirato al celebre verso con cui Dante conclude la Divina Commedia: ‘l’amor che move il sole e l’altre stelle’. Mi chiedo che senso abbia per voi chiamare ‘amore’ la forza che muove l’universo?”. A questo punto Nespoli ha reso il Papa protagonista di un simpatico siparietto, perché ha voluto passare la parola al collega russo, Aleksandr Misurkin, il quale ha ovviamente risposto in russo; dopodiché Nespoli ha chiesto al Papa se avesse lì vicino un traduttore istantaneo o fosse “meglio sintetizzare velocemente”. “Meglio sintetizzare velocemente”, è stata la risposta del Papa. “Va bene - ha risposto sorridendo l’astronauta italiano - in pratica il mio collega fa riferimento ad un libro che sta leggendo in questi giorni, ‘il Piccolo Principe’, che narra la storia di un ragazzo che darebbe volentieri la sua vita per salvare gli animali e le piante sulla Terra, e per questo il mio collega sostanzialmente dice che l’amore è quella forza che ti dà la capacità di dare la tua vita per qualcun altro”.
“Mi piace questa risposta, è vero, senza amore non è possibile dare la propria vita per qualcun altro. È bello questo, grazie - ha proseguito Francesco - ora però ho un’altra curiosità, dicono che solo le donne siano curiose, e invece lo siamo anche noi uomini! Vi volevo chiedere cosa vi ha motivato a diventare astronauti e cosa vi dà maggiormente gioia nel tempo che passate nella stazione spaziale”.
“Viaggiare nello spazio - ha proseguito il Papa - modifica tante cose che si danno per scontate nella vita quotidiana, per esempio l’idea di ‘su’ e di ‘giù’. Vi domando: c’è qualcosa in particolare che vivendo nella Stazione spaziale vi ha sorpreso? E c’è al contrario qualcosa che vi ha colpito proprio perché ha trovato conferma anche lì, in un contesto così diverso?”. “Quello che l’ha sorpreso – riporta in italiano Nespoli per bocca del collega americano Mark Vande Hei – è che nello spazio trovi cose completamente diverse che sembrano le stesse ma non riconoscibili. Ogni tanto si avvicina a qualcosa da un angolo completamente diverso, dice, e all’inizio rimane un po’ sconcertato, perché non riesce a capire dove sia o cosa sia. Quello che non è cambiato, invece, è che anche qui dove non c’è più il ‘su’ e il ‘giù’, e per riuscire a capire dov’è deve decidere lui dov’è il ‘su’ e dove il ‘giù’. E quindi stabilire il suo micro-cosmo, il suo micro-universo con i suoi sensi e i suoi sistemi di riferimento”. Cosa questa “propriamente umana” e “molto interessante”, ha commentato il Papa, perchè “la capacità di decidere, di riflettere, “va alle radici umane”.

Il dialogo con i ragazzi delle periferie sul valore del meticciato
Concluso il collegamento con la Stazione Spaziale, Francesco si è recato a Trastevere. Nel Palazzo extraterritoriale di San Callisto, dove ha sede “Scholas occurrentes” il coordinamento delle scuole popolari da lui fondato quando era arcivescovo di Buenos Aires. Anche qui erano state organizzate per lui delle videoconferenze: con un carcere del Messico, con un gruppo di giovani dell’Argentina, con alcuni bambini rifugiati in una palestra a Porto Rico a causa delle trombe d’aria di settembre, infine con un gruppo che ha subito la stessa sorte in Texas. A un ragazzo di Buenos Aires, che si era esibito per lui in un lungo pezzo rapper, Frrancesco ha detto: “bravo, hai la la capacita’ di improvvisare. Cambia la storia un cuore libero, non prigioniero”. Poi rivolto a quel gruppo ha aggiunto: “un cuore libero dalla droga, per favore la droga non è una soluzione”.. Per cambiare il mondo basta un’unica cosa, cambiare il cuore e dare vita a un ponte dell’amore. Un grande cuore generoso, basta un cuore”. “Una rivoluzione si può fare in tanti modi ma qui c’è una donna che fa la rivoluzione col sorriso io la chiamo ‘smail revolution'”, ha detto in collegamento con il Paraguay (dall’altra parte c’era anche il presidente Horacio Manuel Cartes Jara), quando ha reso omaggio ancora una volta alle donne del Paraguay, rappresentate in uno dei collegamenti che hanno costituito il programma della visita di oggi. “Con la donna del Paraguay non si può stare tranquilli. Ha una grande forza”, ha aggiunto.
Anche stavolta ci sono state domande e risposte. Il Papa ha parlato dell’integrazione sottolineando che “il meticciato che noi conosciamo in America Latina gli europei non lo hanno. Con la grande migrazione che stanno vivendo sarebbe un valore. E’ una grande ricchezza che noi teniamo il meticciato”.
“Io - ha poi ripreso Francesco - chiedo a tutti i popoli di aiutare i migranti, perché sono la promessa della vita per il futuro. Ai migranti chiedo: custodite il popolo che vi riceve, rispettate le sue leggi, camminate come fratelli in questo cammino dell’amore”. “Non vi dimenticate – ha ricordato agli europei – che anche voi siete meticci per via delle grandi migrazioni dei tempi dei barbari, dei vichinghi. Questo non è il momento di giocare al laboratorio asettico. È il momento di accogliere coloro che arrivano e di rispettare le leggi del popolo che riceve”.
“Sono vicino a voi – ha detto inoltre a un gruppo di ragazzi collegati dal Texas – perché i vescovi americani mi hanno raccontato le vostre sofferenze. Io sono figlio di emigrati e se non ci fossero state persone che hanno accolto i miei genitori io non sarei qui con voi oggi. Una delle cose più belle è accogliere una cultura che arriva da altri paesi, arricchirsi con il dialogo, accogliere l’altro. Questo non lo dico io, lo dice una persona molto più importante di me, lo dice Dio. La Bibbia è chiara: ricevi il migrante, ricevi il rifugiato perché anche voi eravate rifugiati in Egitto. Anche Gesù è stato un rifugiato”.
Francesco si è rivolto anche ad alcuni ragazzi cosiddetti ‘dreamers’ (gli immigrati irregolari arrivati negli Stati Uniti da bambini, portati dai propri genitori, che ora con le decisioni dell’amministrazione Trump rischiano l’espulsione) ai quali ha detto: “La prima cosa che vi dico è che prego per voi. La seconda cosa è continuate a sognare. Avvicinarsi alle persone che vi vogliono bene e che vogliono difendervi in questo momento difficile. Non odiate nessuno”.
Francesco ha poi insistito sulla necessità di “recepire una cultura che serve come dialogo”. “Avanti con le culture”, ha esortato. Nel corso della visita Francesco ha quindi piantato un piccolo ulivo in un vaso, come segno di pace e incoraggiato due ragazzi della Terra Santa, un ebreo e un palestinese che vivono a Roma e frequentano la stessa scuola, a continuare nella loro amicizia. “E’ normale che all’inizio abbiate litigato, vi ha fatto bene”, ha detto loro.

Il dialogo sul dolore innocente (non sempre) con i ragazzi del Texas e di Porto Rico
Infine il Papa si è collegato con Porto Rico. “Non lo so quando verrò a porto Rico. Non è facile preparare un viaggio. Voglio venire ma non so quando. Mando un saluto grande, un abbraccio un bacio e un incoraggiamento: andate avanti Che si recuperi Porto Rico e ci sia la pace nel mondo”, ha detto ai piccoli rifugiati in una palestra con i loro familiari avendo perduto le case con i tifoni dello scorso settembre.
“Il nostro paese è stato praticamente devastato”, ha detto al Papa Alejandro di 8 anni. Porto Rico sta passando una situazione difficile, quando vieni a trovarci?”, gli ha chiesto Arianna di 5 anni.
E ad un gruppo che in Texas ha subito lo stesso destino dei ragazzi di Porto Rico, e gli ha chiesto perché Dio permetta cose così brutte, il Papa ha risposto: “la domanda che mi avete fatto non tiene risposte. Nemmeno il teologo o il filosofo più intelligente saprebbe farlo. L’unica risposta è un abbraccio e la solidarietà. Confesso sinceramente che non c’è risposta. L’unica che mi viene è una domanda: perché Dio ha sacrificato suo figlio? Questa riflessione aiuta ma non è una risposta. Gesù ha pregato che passasse questo calice”.
Poi dopo un attimo di silenzio ha aggiunto: le malattie, i terremoti tante cose che stanno succedendo, sono solo naturali? Anche questo dobbiamo chiederci. Non so rispondere nemmeno a questo. Forse in parte si e in parte no. Dobbiamo rispettare la natura. Quando mi rispondono che è per favorire lo sviluppo economico che si abbatte una foresta, mi viene da replicare, sì fai i soldi per il servizio funebre. Bisogna rispettare la terra”.
La rivoluzione copernicana di Papa Francesco: fare domande, non solo dare risposte. Con gli astronauti ma anche con i ragazzi poveri
“Buongiorno…o buonasera! Perché quando si è nello spazio non si sa mai bene cosa dire! Caro dottor Nespoli, cari astronauti, penso che lì nella Stazione Spaziale le giornate scorrano in modo diverso, vero?”. Ha assunto l’inedita veste dell’intervistatore, Papa Francesco, nell’incontro con l’equipaggio della Stazione Spaziale Internazionale (Iss), un collegamento che giovedì 26 ottobre, per un intero pomeriggio, ha visto il Papa fare le domande anziché dare le risposte. E’ stata una “rivoluzione copernicana” quella alla quale abbiamo assistito, a distanza di quasi cinquant’anni dalla straordinaria notte del 20 luglio 1969 in cui Paolo VI seguì la lunga diretta Rai dello sbarco sulla Luna, e la Rai lo mostrava in sequenza con le immagini dei primi passi di Neil Armstrong sul satellite della Terra, ed a sei dal collegamento di Benedetto XVI con una navicella della Nasa, sulla quale, nel 2011, c’era lo stesso Paolo Nespoli che ha fatto da interprete e ponte tra Francesco e i sei astronauti della missione attualmente in orbita, si tratta della “Expedition 53”, tre statunitensi, due russi e l’italiano Nespoli.
Ieri dunque “il Papa ha per un attimo distolto l’attenzione dalle innumerevoli udienze cui si sottopone ogni giorno quale capo della Chiesa Cattolica ed era visibilmente divertito - racconta il giovane vaticanista Francesco Donat-Cattin - di potersi collegare con gli astronauti e con lo spazio, come se per un pomeriggio avesse rivissuto in lui quel bambino che come tutti i bambini voleva fare l’astronauta. Il piccolo Jorge Mario che vive in lui può aver provato un pizzico di invidia per quegli angeli dei cieli, che volano su di navicelle spaziali alla velocità della luce, ma l’occasione di volare con la mente tra il cielo e la terra può essere stata per Francesco anche occasione per riflettere una volta di più sul suo ruolo di pontefice. Gli astronauti gli hanno infatti ricordato che da lassù si vede la Terra ‘un po’ con gli occhi di Dio’, per come sarebbe stata pensata in realtà: ‘senza confini’ e come un luogo dove l’intera famiglia umana potesse vivere in comunione e secondo una missione d’amore. Dall’alto della sua cattedra, infatti, vede tutto e tutti e per questo ha l’ultima parola su tutto, e per questo può anche suscitare invidia, fascinazione o risentimenti in chi ‘non può volare’ e vede tutto dal basso, perdendo di vista l’insieme” .
Per prima cosa Francesco ha chiesto cosa si prova, dal punto di vista spirituale a guardare l’universo dallo spazio, senza gli angusti confini delle nostra visuali terrestri. E sorridendo Nespoli, ha risposto: “io mi sento una persona tecnica, un ingegnere, mi sento a mio agio tra le macchine, tra gli esperimenti, ma quando si parla di queste cose rimango anch’io perplesso”. “È un discorso delicato, l’obiettivo qua penso che sia quello di conoscere il nostro essere, per riempire la conoscenza, capire quello che ci sta intorno”, ha continuato Nespoli, prima di lasciarsi andare ad una riflessione di socratica memoria: “trovo poi interessante vedere come più conosciamo e più ci rendiamo conto che non sappiamo niente…perciò mi piacerebbe tanto che non solo ingegneri, non solo fisici, ma anche persone come Lei, teologi, filosofi, poeti, scrittori, possano un giorno venire qui nello spazio. Ma tanto questo sarà sicuramente il futuro, mi piacerebbe che venissero qua per esplorare che cosa vuol dire avere un essere umano nello spazio”.
Una stazione spaziale che riproduce l’Onu
Poi riflettendo sulla società contemporanea che è “molto individualista”, quando “invece nella vita è essenziale la collaborazione”, il Pontefice, pensando “a tutto il lavoro che c’è dietro un’impresa come la vostra”, ha chiesto a Nespoli e all’equipaggio se potessero dargli “un esempio significativo di collaborazione nella stazione spaziale”. “Per questa Stazione c’è una cooperazione tra le più svariate nazioni del mondo – ha risposto l’ultimo astronauta che doveva ancora parlare con il Papa, Joseph Acaba, americano ma “di discendenza portoricana”, come ci ha tenuto a precisare in spagnolo – ci sono gli Stati Uniti, c’è la Russia, il Giappone, il Canada, nove nazioni europee, che lavorano tutte insieme per ottenere qualcosa che è al di sopra di ognuno di loro”. “Ma soprattutto – ha aggiunto Nespoli – ha detto che ognuno di noi porta una diversità e queste messe insieme arrivano ad essere una cosa molto più grande e importante della persona da sola”.
Al che Francesco ha esclamato gioioso: “Voi siete un piccolo Palazzo di Vetro!”. Infatti, ha osservato, è proprio così: “la totalità è più grande della somma delle parti. E questo è l’esempio che voi ci date, grazie tante amici”. “Vorrei dire ‘fratelli’ – ha poi aggiunto e concluso – perché nel grande progetto di cui fate parte vi sentiamo come rappresentanti dell’intera famiglia umana! Vi ringrazio di cuore per questo colloquio. Il Signore benedica voi, il vostro lavoro e le vostre famiglie! Vi assicuro che pregherò per voi, voi pregate per me”. “Santo Padre, a nome di tutti la voglio ringraziare di essere stato con noi oggi e averci portato più in alto e averci fatto pensare a cose più alte e importanti, tirandoci fuori da questa meccanicità”, è stata la risposta di Nespoli, altrettanto felice per il collegamento con la Stazione Papale.
La forza potente dell’amore
“È vero quello che lei dice – ha ripreso Francesco – proprio in questa sala, come vedete alle mie spalle, si trova un arazzo artistico ispirato al celebre verso con cui Dante conclude la Divina Commedia: ‘l’amor che move il sole e l’altre stelle’. Mi chiedo che senso abbia per voi chiamare ‘amore’ la forza che muove l’universo?”. A questo punto Nespoli ha reso il Papa protagonista di un simpatico siparietto, perché ha voluto passare la parola al collega russo, Aleksandr Misurkin, il quale ha ovviamente risposto in russo; dopodiché Nespoli ha chiesto al Papa se avesse lì vicino un traduttore istantaneo o fosse “meglio sintetizzare velocemente”. “Meglio sintetizzare velocemente”, è stata la risposta del Papa. “Va bene - ha risposto sorridendo l’astronauta italiano - in pratica il mio collega fa riferimento ad un libro che sta leggendo in questi giorni, ‘il Piccolo Principe’, che narra la storia di un ragazzo che darebbe volentieri la sua vita per salvare gli animali e le piante sulla Terra, e per questo il mio collega sostanzialmente dice che l’amore è quella forza che ti dà la capacità di dare la tua vita per qualcun altro”.
“Mi piace questa risposta, è vero, senza amore non è possibile dare la propria vita per qualcun altro. È bello questo, grazie - ha proseguito Francesco - ora però ho un’altra curiosità, dicono che solo le donne siano curiose, e invece lo siamo anche noi uomini! Vi volevo chiedere cosa vi ha motivato a diventare astronauti e cosa vi dà maggiormente gioia nel tempo che passate nella stazione spaziale”.
“Viaggiare nello spazio - ha proseguito il Papa - modifica tante cose che si danno per scontate nella vita quotidiana, per esempio l’idea di ‘su’ e di ‘giù’. Vi domando: c’è qualcosa in particolare che vivendo nella Stazione spaziale vi ha sorpreso? E c’è al contrario qualcosa che vi ha colpito proprio perché ha trovato conferma anche lì, in un contesto così diverso?”. “Quello che l’ha sorpreso – riporta in italiano Nespoli per bocca del collega americano Mark Vande Hei – è che nello spazio trovi cose completamente diverse che sembrano le stesse ma non riconoscibili. Ogni tanto si avvicina a qualcosa da un angolo completamente diverso, dice, e all’inizio rimane un po’ sconcertato, perché non riesce a capire dove sia o cosa sia. Quello che non è cambiato, invece, è che anche qui dove non c’è più il ‘su’ e il ‘giù’, e per riuscire a capire dov’è deve decidere lui dov’è il ‘su’ e dove il ‘giù’. E quindi stabilire il suo micro-cosmo, il suo micro-universo con i suoi sensi e i suoi sistemi di riferimento”. Cosa questa “propriamente umana” e “molto interessante”, ha commentato il Papa, perchè “la capacità di decidere, di riflettere, “va alle radici umane”.
Il dialogo con i ragazzi delle periferie sul valore del meticciato
Concluso il collegamento con la Stazione Spaziale, Francesco si è recato a Trastevere. Nel Palazzo extraterritoriale di San Callisto, dove ha sede “Scholas occurrentes” il coordinamento delle scuole popolari da lui fondato quando era arcivescovo di Buenos Aires. Anche qui erano state organizzate per lui delle videoconferenze: con un carcere del Messico, con un gruppo di giovani dell’Argentina, con alcuni bambini rifugiati in una palestra a Porto Rico a causa delle trombe d’aria di settembre, infine con un gruppo che ha subito la stessa sorte in Texas. A un ragazzo di Buenos Aires, che si era esibito per lui in un lungo pezzo rapper, Frrancesco ha detto: “bravo, hai la la capacita’ di improvvisare. Cambia la storia un cuore libero, non prigioniero”. Poi rivolto a quel gruppo ha aggiunto: “un cuore libero dalla droga, per favore la droga non è una soluzione”.. Per cambiare il mondo basta un’unica cosa, cambiare il cuore e dare vita a un ponte dell’amore. Un grande cuore generoso, basta un cuore”. “Una rivoluzione si può fare in tanti modi ma qui c’è una donna che fa la rivoluzione col sorriso io la chiamo ‘smail revolution'”, ha detto in collegamento con il Paraguay (dall’altra parte c’era anche il presidente Horacio Manuel Cartes Jara), quando ha reso omaggio ancora una volta alle donne del Paraguay, rappresentate in uno dei collegamenti che hanno costituito il programma della visita di oggi. “Con la donna del Paraguay non si può stare tranquilli. Ha una grande forza”, ha aggiunto.
Anche stavolta ci sono state domande e risposte. Il Papa ha parlato dell’integrazione sottolineando che “il meticciato che noi conosciamo in America Latina gli europei non lo hanno. Con la grande migrazione che stanno vivendo sarebbe un valore. E’ una grande ricchezza che noi teniamo il meticciato”.
“Io - ha poi ripreso Francesco - chiedo a tutti i popoli di aiutare i migranti, perché sono la promessa della vita per il futuro. Ai migranti chiedo: custodite il popolo che vi riceve, rispettate le sue leggi, camminate come fratelli in questo cammino dell’amore”.
“Non vi dimenticate – ha ricordato agli europei – che anche voi siete meticci per via delle grandi migrazioni dei tempi dei barbari, dei vichinghi. Questo non è il momento di giocare al laboratorio asettico. E’ il momento di accogliere coloro che arrivano e di rispettare le leggi del popolo che riceve”.
“Sono vicino a voi – ha detto inoltre a un gruppo di ragazzi collegati dal Texas – perché i vescovi americani mi hanno raccontato le vostre sofferenze. Io sono figlio di emigrati e se non ci fossero state persone che hanno accolto i miei genitori io non sarei qui con voi oggi. Una delle cose più belle è accogliere una cultura che arriva da altri paesi, arricchirsi con il dialogo, accogliere l’altro. Questo non lo dico io, lo dice una persona molto più importante di me, lo dice Dio. La Bibbia è chiara: ricevi il migrante, ricevi il rifugiato perché anche voi eravate rifugiati in Egitto. Anche Gesù è stato un rifugiato”.
Francesco si è rivolto anche ad alcuni ragazzi cosiddetti ‘dreamers’ (gli immigrati irregolari arrivati negli Stati Uniti da bambini, portati dai propri genitori, che ora con le decisioni dell’amministrazione Trump rischiano l’espulsione) ai quali ha detto: “La prima cosa che vi dico è che prego per voi. La seconda cosa è continuate a sognare. Avvicinarsi alle persone che vi vogliono bene e che vogliono difendervi in questo momento difficile. Non odiate nessuno”.
Francesco ha poi insistito sulla necessità di “recepire una cultura che serve come dialogo”. “Avanti con le culture”, ha esortato. Nel corso della visita Francesco ha quindi piantato un piccolo ulivo in un vaso, come segno di pace e incoraggiato due ragazzi della Terra Santa, un ebreo e un palestinese che vivono a Roma e frequentano la stessa scuola, a continuare nella loro amicizia. “E’ normale che all’inizio abbiate litigato, vi ha fatto bene”, ha detto loro.
Il dialogo sul dolore innocente (non sempre) con i ragazzi del Texas e di Porto Rico
Infine il Papa si è collegato con Porto Rico. “Non lo so quando verrò a porto Rico. Non è facile preparare un viaggio. Voglio venire ma non so quando. Mando un saluto grande, un abbraccio un bacio e un incoraggiamento: andate avanti Che si recuperi Porto Rico e ci sia la pace nel mondo”, ha detto ai piccoli rifugiati in una palestra con i loro familiari avendo perduto le case con i tifoni dello scorso settembre.
“Il nostro paese è stato praticamente devastato”, ha detto al Papa Alejandro di 8 anni. Porto Rico sta passando una situazione difficile, quando vieni a trovarci?”, gli ha chiesto Arianna di 5 anni.
E ad un gruppo che in Texas ha subito lo stesso destino dei ragazzi di Porto Rico, e gli ha chiesto perché Dio permetta cose così brutte, il Papa ha risposto: “la domanda che mi avete fatto non tiene risposte. Nemmeno il teologo o il filosofo più intelligente saprebbe farlo. L’unica risposta è un abbraccio e la solidarietà. Confesso sinceramente che non c’è risposta. L’unica che mi viene è una domanda: perché Dio ha sacrificato suo figlio? Questa riflessione aiuta ma non è una risposta. Gesù ha pregato che passasse questo calice”.
Poi dopo un attimo di silenzio ha aggiunto: le malattie, i terremoti tante cose che stanno succedendo, sono solo naturali? Anche questo dobbiamo chiederci. Non so rispondere nemmeno a questo. Forse in parte si e in parte no. Dobbiamo rispettare la natura. Quando mi rispondono che è per favorire lo sviluppo economico che si abbatte una foresta, mi viene da replicare, sì fai i soldi per il servizio funebre. Bisogna rispettare la terra”.
Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a dir@agi.it