In Cile Francesco predica la speranza con le parole di Pablo Neruda

Il pontefice ha indicato chiaramente alla Chiesa latinoamericana (e non solo) la via da seguire: quella di una teologia del popolo

In Cile Francesco predica la speranza con le parole di Pablo Neruda
 Afp
 Papa Francesco in Cile

“La speranza è il nuovo giorno, lo sradicamento dell’immobilità, lo scuotersi da una prostrazione negativa”. Il Cile e l’intera America Latina vivono una fase di riflusso dopo la promettente stagione di governi di sinistra (che non sono riusciti a resistere alla forza delle oligarchie locali che si opponevano alle loro politiche sociali basate sulla giustizia sociale) e Papa Francesco ha voluto lanciare al "suo popolo" (nella visione bolivariana ci sono un solo popolo e una sola nazione) un forte monito con le parole di Pablo Neruda, il grande poeta di origine Mapuche, che fu ambasciatore in Francia. Figlio di un ferroviere, alla sua origine proletaria, come alla sua etnia india, Neruda rimase fedele e idealmente legato per tutta la vita: i Paesi del “Cono Sud”, cioè quelli più meridionali dell’America Latina – per l’appunto il Cile, l’Argentina e l’Uruguay – furono gli unici nel Continente a conoscere uno sviluppo industriale simile a quello dell’Europa, ed in essi si costituì una classe operaia abbastanza numerosa e compatta, come testimonia l’esperienza di Unidad Popular, che portò alla presidenza Salvador Allende sulla base di un programma dichiaratamente socialista, basato sulla nazionalizzazione delle grandi imprese, in particolare delle miniere di rame che rappresentano la maggiore ricchezza del Paese, ispirata – fin dal suo stesso nome – alle vicende storiche del socialcomunismo europeo.

Il golpe militare favorito anche da settori della Chiesa

Ma di quella stagione cilena fecero letteralmente piazza pulita le oligarchie locali, tradizionalmente vicine agli Stati Uniti. E ai settori più conservatori della Chiesa locale. Il golpe di Pinochet fu del resto certamente favorito da uno scenario costruito dai media internazionali molto simile a quello che descrive oggi il Venezuela come uno stato canaglia, e nel paese di Chavez i vescovi sembrano all'unisono con l'opposizione. 

In Cile Francesco predica la speranza con le parole di Pablo Neruda
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  Papa Francesco in Cile

Da parte sua, Papa Francesco ha preso posizione con un gesto, la visita alla tomba del “vescovo dei poveri”, monsignor  Enrique Alvear Urrutia, che sapeva da che parte stare a differenza di alcuni suoi confratelli molto morbidi con la dittatura e soprattutto con gli interessi degli oligarchi che essa doveva tutelare. Sono seguite parole molto chiare sui nativi d’America, sterminati dai conquistadores e poi vessati per 500 anni in effetti da tutti i regimi dell’America Latina. “La saggezza dei popoli autoctoni può offrire un grande contributo. Da loro possiamo imparare che non c’è vero sviluppo in un popolo che volta le spalle alla terra e a tutto quello e tutti quelli che la circondano”, ha detto alle autorità del Cile esaltando “il valore in questa Nazione, dove la pluralità etnica, culturale e storica esige di essere custodita da ogni tentativo di parzialità o supremazia e che mette in gioco la capacità di lasciar cadere dogmatismi esclusivisti in una sana apertura al bene comune, che se non presenta un carattere comunitario non sarà mai un bene”.

Ma soprattutto Francesco ha fatto capire da che parte sta esortando i cileni a “sradicare l’immobilità paralizzante di chi crede che le cose non possono cambiare, di chi ha smesso di credere nel potere trasformante di Dio Padre e nei suoi fratelli, specialmente nei suoi fratelli più fragili, nei suoi fratelli scartati”. “Seminare la pace a forza di prossimità, a forza di vicinanza! A forza di uscire di casa e osservare i volti, di andare incontro a chi si trova in difficoltà, a chi non è stato trattato come persona, come un degno figlio di questa terra. Questo è l’unico modo che abbiamo per tessere un futuro di pace, per tessere di nuovo una realtà che si può sfilacciare”, è stata la ricetta suggerita dal Papa per il quale prima di tutto il Cile ha bisogno di riconciliazione, con i nativi, tra le parti politiche (dopo il sangue innocente che hanno fatto scorrere i militari) e anche all’interno della Chiesa a causa delle coperture degli abusi. Ma il Papa “L’operatore di pace sa che molte volte bisogna vincere grandi o sottili meschinità e ambizioni, che nascono dalla pretesa di crescere e ‘farsi un nome’, di acquistare prestigio a spese degli altri. L’operatore di pace sa che non basta dire: non faccio del male a nessuno, perché, come diceva San Alberto Hurtado il cui santuario ha visitato a conclusione della prima giornata della visita, trovandovi radunati i 90 gesuiti del Cile.

I pastori siano espressione del popolo e ricordino che i laici non sono pappagalli

Se Pablo Neruda, con la sua vita di intellettuale e di militante politico, ha impersonato il ponte ideale tra la sinistra del Vecchio Continente e quella cilena, e più in generale latino americana, oggi è a Papa Francesco che l’America Latina guarda con speranza. Il Papa che è tornato a sferzare la chiesa locale immaginando che un suo cambiamento influirà in modo positivo sullo sviluppo sociale e morale del Continente, così come i compromessi ed abusi degli ecclesiastici lo spingono verso il fondo.

Per questo dopo aver espresso “dolore e vergogna” parlando della pedofilia e chiesto di “ascoltare i bambini, che si affacciano al mondo con i loro occhi pieni di meraviglia e innocenza e attendono da noi risposte reali per un futuro di dignità, ed aver espresso comprensione per i pastori che a volte, ha detto, subiscono insulti sulla metropolitana o camminando per la strada; perché andare ‘vestiti da prete’ in molte zone si sta pagando caro”, il Papa ha invocato un vero e proprio cambiamento di prospettiva: “Va molto bene non fare il male, ma è molto male non fare il bene. Diciamolo chiaramente, i laici non sono i nostri servi, né i nostri impiegati. Non devono ripetere come ‘pappagalli’ quello che diciamo”. Secondo il Pontefice, “la mancanza di consapevolezza di appartenere al Popolo di Dio come servitori, e non come padroni, ci può portare a una delle tentazioni che arrecano maggior danno al dinamismo missionario che siamo chiamati a promuovere: il clericalismo, che risulta una caricatura della vocazione ricevuta. La mancanza di consapevolezza del fatto che la missione è di tutta la Chiesa e non del prete o del vescovo limita l’orizzonte e, quello che è peggio, limita tutte le iniziative che lo Spirito può suscitare in mezzo a noi”.  

Dunque, “il clericalismo lungi dal dare impulso ai diversi contributi e proposte, va spegnendo a poco a poco il fuoco profetico di cui l’intera Chiesa è chiamata a rendere testimonianza nel cuore dei suoi popoli. Il clericalismo dimentica che la visibilità e la sacramentalità della Chiesa appartengono a tutto il Popolo di Dio e non solo a pochi eletti e illuminati”.

Ecco dunque la via indicata da Francesco alla Chiesa latinoamericana (e non solo), quella di una teologia del popolo. 



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