Don Zeno fu ridotto allo stato laicale senza una valida ragione. Certi preti pedofili, invece...

Il Papa in visita a Nomadelfia ha rilanciato la legge della fraternità

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Per una singolare (e forse provvidenziale) coincidenza, la visita di Papa Francesco a Nomadelfia per rendere omaggio alla tomba di Don Zeno Saltini, sacerdote che negli anni ’50 subì ingiustamente la riduzione allo stato laicale, è arrivata pochi giorni dopo l’incontro del Pontefice con le vittime del prete pedofilo cileno Fernando Karadima, mai escluso dal sacerdozio (al pari di alcuni preti condannati dal Tribunale italiano ma poi non puniti da quello del Vaticano).

La colpa di don Zeno

Don Zeno per amore dei bambini rimasti orfani a causa della guerra si era sovra-indebitato e la Chiesa non voleva essere coinvolta nel suo crack. Mentre l’ex parroco del Sacro Cuore di Santiago del Cile, che ora vive da pensionato in un buen retiro, potè contare di incredibili protezioni pubbliche: quelle dei due cardinali del suo Paese, l’influente Errazuriz Ossa (membro del C9 creato da Francesco per favorire l’esercizio della collegialità) e il suo successore Ezzati. Così benché ciò sia previsto dalle norme in vigore, il provvedimento che colpì l’innocente don Zeno per disavventure di tipo finanziario non è mai stato comminato a Karadima, colpevole di decine di abusi sessuali, ovvero stupri, sui minori. Ma mentre don Zeno aveva scelto la via della mortificazione personale accettando il provvedimento senza ribellarsi, recentemente la brutta contro testimonianza della Gerarchia (che perdona i pedofili e li rimette in carica a fare danni) è stata oggetto di una dura contestazione avallata dallo stesso Papa Francesco.

la denuncia di tre preti

“Per circa 10 anni siamo stati trattati come nemici perché abbiamo combattuto contro l’abuso sessuale e l’occultamento nella Chiesa. In questi giorni abbiamo conosciuto un volto amichevole della Chiesa, totalmente diverso da quello che abbiamo incontrato in passato”, hanno raccontato ai giornalisti Juan Carlos Cruz, James Hamilton e José Andrés Murillo, tutti e tre vittime del prete pedofilo cileno Karadima: Papa Francesco li ha invitati in Vaticano dopo la “gaffe” da lui compiuta in Cile per difendere (sulla base di informazioni che si sono rivelate false) il vescovo Juan Barros, amico e sodale di Karadima.

I tre ora esprimono l’auspicio che il Papa “trasformi le sue parole di amore e di perdono in azioni esemplari. Altrimenti, tutto questo sarebbe lettera morta”. In particolare essi chiedono che sia rimosso il presule Barros ma anche che siano puniti il cardinale Francisco Errazuriz, arcivescovo emerito di Santiago del Cile, nonché il suo successore, il cardinale Riccardo Ezzati, che “dovrebbero andare in carcere”, ha affermato James Hamilton, vittima di Karadima quando era un bambino . “Di fronte al diritto canonico e alle vittime di Karadima, il cardinale Errazuriz è un vero criminale, ha insabbiato le denunce, spero che paghi quel che deve pagare”, ha detto Hamilton nella sede della Associazione della stampa estera a Roma.

L’ideale della fraternità proposto a tutta la Chiesa

A Nomadelfia Francesco ha voluto pubblicamente rilanciare (e approvare) “la Legge della fraternità”, che caratterizza la vita di questa comunità così singolare da avere regole proprie anche di tipo civile. Questa fraternità è stata il sogno e l’obiettivo di tutta l’esistenza di Don Zeno, che desiderava una comunità di vita ispirata al modello delineato negli Atti degli Apostoli. E Papa Francesco ha reso omaggio all’ideale incarnato nella Maremma Toscana dalla Comunità di Nomadelfia, che applica la “Legge della fraternità” come in una sorta di territorio indipendente. “Vi esorto – ha detto il Papa ai ‘nomadelfi’ – a continuare questo stile di vita, confidando nella forza del Vangelo e dello Spirito Santo, mediante la vostra limpida testimonianza cristiana”.

“Di fronte alle sofferenze di bambini orfani o segnati dal disagio, Don Zeno – ha ricordato Francesco – comprese che l’unico linguaggio che essi comprendevano era quello dell’amore. Pertanto, seppe individuare una peculiare forma di società dove non c’è spazio per l’isolamento o la solitudine, ma vige il principio della collaborazione tra diverse famiglie, dove i membri si riconoscono fratelli nella fede”. Così a Nomadelfia, ha sottolineato il Papa, “in risposta a una speciale vocazione del Signore, si stabiliscono legami ben più solidi di quelli della parentela”. Qui, ha scandito Francesco, “viene attuata una consanguineità con Gesù, propria di chi è rinato dall’acqua e dallo Spirito Santo e secondo le parole del divino Maestro: ‘Chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre'”.

“Questo speciale vincolo di consanguineità e di familiarità, è manifestato -anche dai rapporti reciproci tra le persone: tutti si chiamano per nome, mai con il cognome, e nei rapporti quotidiani si usa il confidenziale ‘tu'”, ha continuato il Papa commentando “anche un altro segno profetico e di grande umanità di Nomadelfia: si tratta dell’attenzione amorevole verso gli anziani che, anche quando non godono di buona salute, restano in famiglia e sono sostenuti dai fratelli e dalle sorelle di tutta la comunità”. “Continuate su questa strada – ha esortato Francesco rivolto ai circa 2500 presenti – incarnando il modello dell’amore fraterno, anche mediante opere e segni visibili, nei molteplici contesti dove la carità evangelica vi chiama, ma sempre conservando lo spirito di Don Zeno che voleva una Nomadelfia ‘leggera’ ed essenziale nelle sue strutture. Di fronte a un mondo talvolta ostile agli ideali predicati da Cristo, non esitate a rispondere con la testimonianza gioiosa e serena della vostra vita, ispirata al Vangelo. Vi ringrazio tanto per il calore e il clima di famiglia con cui mi avete accolto”. Il nostro, ha poi concluso Francesco prima di lasciare Nomadelfia, è  stato un incontro breve ma carico di significato e di emozione; lo porterò con me, specialmente nella preghiera. Porterò i vostri volti: i volti di una grande famiglia col sapore schietto del Vangelo”.



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