Se certamente non è cristiano fare i patti col Diavolo, ammansire le “bestie feroci” lo è, come dimostra l’incontro tra San Francesco e il lupo di Gubbio. Ma non bisogna andare così lontano con la memoria per vedere un Papa che scrive “in ginocchio” alla Brigate Rosse chiedendo (inascoltato) la liberazione di Aldo Moro. E un cardinale, Carlo Maria Martini, che accetta di dialogare con gli ex brigatisti detenuti nelle carceri italiane. Ottenendo attraverso di loro la resa di alcuni altri terroristi: il 13 giugno 1984: nell'Arcivescovado di Milano uno sconosciuto si presentò al segretario dell'epoca del cardinale Carlo Maria Martini, don Paolo Cortesi, e, mentre questi era al telefono, abbandonò sul tavolo tre borse, contenenti due fucili kalashnikov con caricatore, un fucile beretta, un moschetto automatico, tre pistole, un razzo per bazooka, quattro bombe a mano, due caricatori e centoquaranta proiettili. Era l'arsenale dei "Comitati Comunisti Rivoluzionari", gruppo terroristico di sinistra, ritenuto contiguo alle Brigate Rosse, che nella seconda metà degli anni settanta aveva firmato alcune eclatanti azioni di sangue.
Le contraddizioni dell’accordo con le Farc e il viaggio del Papa in Colombia
Come è noto, Papa Francesco sta per partire per la Colombia per “benedire” gli accordi di pace con i ribelli colombiani delle Farc, che nelle scorse settimane hanno consegnato, come previsto dall'accordo di pace sottoscritto lo scorso anno con il governo di Bogotà, 7.132 armi precedentemente registrate, come ha annunciato la missione delle Nazioni Unite che verifica l'attuazione dell'accordo. Non sono poche le contraddizioni in quell’accordo raggiunto a Cuba, bocciato da un referendum e che ugualmente ora andrà in vigore grazie a un voto parlamentare su alcune marginali modifiche. E mentre i benpensanti e gran parte della chiesa stessa sono perplessi perché ad esempio garantisce una presenza parlamentare ai ribelli, al di là della loro consistenza elettorale, ma soprattutto perché lascerà impuniti i gravissimi crimini che hanno accompagnato la guerriglia, Papa Francesco non teme di spendersi per incoraggiare il cammino di pace ormai avviato . “Firmare un documento non è sufficiente” per un concreto processo di riconciliazione e di pace: “C'è tutto un cammino da fare, a partire proprio dalla firma, dalla sottoscrizione degli accordi. Ed è un cammino che si deve compiere nella quotidianità ed è un cammino che deve coinvolgere tutti e che deve coinvolgere tutto di tutti, cioè soprattutto il cuore e la mente”, spiega il cardinale Pietro Parolin che dal 6 all’11 settembre, accompagnerà Papa Francesco in Colombia per suggellare il nuovo corso di riconciliazione nazionale, dopo anni di sanguinosi conflitti. La visita si dipanerà tra Bogotà, Villavicencio, Medellin e Cartagena. Il segretario di Stato vaticano, sottolinea in un’intervista alla Segreteria per la Comunicazione il significato del 20 viaggio apostolico del Pontefice, che si identifica con il tema scelto da Francesco: Facciamo il primo passo”.
Lo stesso atteggiamento spiega la persistente volontà vaticana di sostenere il dialogo tra le parti in Venezuela, come unica via di pace possibile, ribadita dallo stesso Parolin nel suo recente viaggio a Mosca. Una disponibilità che non è venuta meno nemmeno davanti all’incrudelirsi degli scontri di piazza e all’innalzarsi della pressione internazionale, finalizzata a far cadere Maduro e con lui il chavismo che ha voluto il divorzio tra il paese più ricco di risorse minerarie dell’America Latina e le compagnie petrolifere.
Dialogare anche con i mafiosi e con l’Isis?
“Sono pronto a parlare con i mafiosi e a dialogare con loro”, ha detto nei giorni scorsi don Franco De Donno, il sacerdote che in nome della sussidiarietà, davanti a una situazione gravissima, ha dovuto accettare l’inevitabile sospensione a divinis per potersi candidare alla guida del X Municipio, attualmente commissariato dopo lo scioglimento per mafia. Il sacerdote intendeva ovviamente dire che è pronto a dialogare con tutti, anche con i lupi, come faceva San Francesco. E come ha detto di voler fare anche Papa Francesco, citato a sproposito da chi ha voluto approfittare della frase di don Franco per contrapporlo a Bergoglio, che a Sibari nel 2014 aveva detto “i mafiosi sono scomunicati”.
“Non chiudo le porte a nessuno”, ha detto infatti il Pontefice il 25 novembre 2014, rispondendo ai giornalisti. “Io non do mai per perso nulla. Forse non si può avere un dialogo, ma non chiudo mai una porta. E’ difficile, si può dire quasi impossibile, ma la porta è sempre aperta”, ha risposto Papa Francesco, sul volo di ritorno verso Roma, alla domanda se ritiene che si possa dialogare con gli estremisti islamici. “E’ vero – ha poi proseguito Bergoglio - il terrorismo è una delle tante cose che ci minacciano. Ma la schiavitù è una realtà inserita nel tessuto sociale di oggi. Il lavoro schiavo, la tratta delle persone, il commercio dei bambini… E’ un dramma, non chiudiamo gli occhi su questo! La schiavitù oggi è una realtà, lo sfruttamento delle persone”.
“Con i terroristi cadono molti innocenti” Inoltre, secondo Bergoglio, “c’è la minaccia di questi terroristi, ma c’è anche un’altra minaccia, il terrorismo di Stato: quando le cose salgono salgono salgono, e ogni Stato, per suo conto, si sente in diritto di massacrare i terroristi, e con i terroristi cadono tanti che sono innocenti”. “E questo è una anarchia di alto livello che – ha sottolineato – è molto pericolosa. Con il terrorismo si deve lottare, ma ripeto quello che ho detto: quando si deve fermare l’aggressore ingiusto, si deve fare con il consenso internazionale. Nessun Paese ha il diritto per conto suo di fermare un aggressore ingiusto”.
Il Papa si è soffermato su questo complesso di argomenti anche nel discorso all’Europarlamento, quando si è detto convinto che “un’Europa che sia in grado di fare tesoro delle proprie radici religiose, sapendone cogliere la ricchezza e la potenzialità, possa essere anche più facilmente immune dai tanti estremismi che dilagano nel mondo odierno, anche per il grande vuoto ideale a cui assistiamo nel cosiddetto Occidente, perché ‘è proprio l’oblio di Dio, e non la sua glorificazione, a generare la violenza”. Ha quindi ricordato “le numerose ingiustizie e persecuzioni che colpiscono quotidianamente le minoranze religiose, e particolarmente cristiane, in diverse parti del mondo”. Comunità e persone, ha detto, “che si trovano ad essere oggetto di barbare violenze: cacciate dalle proprie case e patrie; vendute come schiave; uccise, decapitate, crocifisse e bruciate vive, sotto il silenzio vergognoso e complice di tanti”.