I Teocon attaccano l'omelia di Natale di Francesco. Ma i vescovi non lo lasciano solo
Capofila dei critici di questi giorni si è fatto il giornalista ciellino Antonio Socci che ha descritto Francesco come "ossessionato" dal tema dell'immigrazione

“Se Maria e Giuseppe bussassero alla mia porta. Ci sarebbe posto per loro? La grande questione morale su come stiano le cose da noi riguardo ai profughi, ai rifugiati, ai migranti ottiene un senso ancora più fondamentale: abbiamo veramente posto per Dio, quando Egli cerca di entrare da noi? Abbiamo tempo e spazio per Lui? Non è forse proprio Dio stesso ad essere respinto da noi?”. Non sono di Papa Francesco ma del suo predecessore Benedetto XVI queste domande, pronunciate nell’omelia della Notte di Natale del 2012, e che sono del tutto sovrapponibili alle parole di Francesco nella Basilica di San Pietro, domenica scorsa, cioè nella stessa celebrazione. Eppure allora non c’era stata una levata di scudi come in queste ore, per denunciare presunti sconfinamenti del Papa nella politica italiana. In realtà questa stessa critica era rivolta in quei giorni a Ratzinger per il suo richiamo al valore del matrimonio tra persone di sesso diverso, nel quale si era voluto vedere (e in quel caso forse c’era) il tentativo di chiedere lo stop alle unioni civili. In entrambi i casi si vede bene che come ha detto Francesco a Santo Stefano,“il messaggio di Gesù è scomodo e ci scomoda, perché sfida il potere religioso mondano e provoca le coscienze”.
La Sacra Famiglia in fuga come i Rohingya
Capofila dei critici di questi giorni si è fatto il giornalista ciellino Antonio Socci che ha descritto Francesco come "ossessionato" dal tema dell'immigrazione, tanto da paragonare Giuseppe e Maria ai migranti economici che oggi sbarcano sulle coste dell'Europa, mentre essi non erano in cerca di una vita migliore, ma semplicemente tornavano nei luoghi d’origine per il censimento. Una affermazione davvero sconcertante se si pensa che di lì a poco la Sacra Famiglia sarà costretta a fuggire da Nazaret per sottrarsi alla strage degli innocenti. Proprio come accade oggi ai Rohingya.
Meno grossolano ma ugualmente pesante l’attacco del giovane accademico Diego Fusaro: “Papa Ratzinger aveva il coraggio di criticare la mondializzazione e lo sradicamento capitalistico”. Secondo il filosofo, invece, “Papa Francesco sta sempre più mettendosi al loro servizio. Così nel discorso di oggi, vera e propria omelia per lo ius soli: "Maria e Giuseppe, per i quali non c'era posto, sono i primi ad abbracciare colui che viene a dare a tutti noi il documento di cittadinanza". Legge del cuore (Hegel) e batticuore per l'umanità (ancora Hegel) non servono a nulla, senza considerare gli obiettivi rapporti di forza: i quali ci dicono che dare la cittadinanza a tutti è il primo passo per annichilire il concetto di cittadinanza e renderci tutti schiavi apolidi e migranti. Insomma, l'omelia di Francesco, stavolta, sembra ispirarsi a Soros più che a Cristo”.
Ma intanto vediamo cosa ha veramente detto il Papa la Notte di Natale quando ha rinnovato il suo appello alla solidarietà sociale e in particolare all’accoglienza dei migranti nell’ambito però del messaggio di liberazione del Vangelo e non in nome di considerazioni politico-partitiche. “La fede di questa notte - ha detto infatti - ci porta a riconoscere Dio presente in tutte le situazioni in cui lo crediamo assente e ci spinge a dare spazio a una nuova immaginazione sociale, a non avere paura di sperimentare nuove forme di relazione in cui nessuno debba sentire che in questa terra non ha un posto”. “Natale - ha affermato - è tempo per trasformare la forza della paura in forza della carità, in forza per una nuova immaginazione della carità. La carità che non si abitua all’ingiustizia come fosse naturale, ma ha il coraggio, in mezzo a tensioni e conflitti, di farsi ‘casa del pane’, terra di ospitalità”. “Nei passi di Giuseppe e Maria - ha sottolineato ancora Francesco - si nascondono tanti passi. Vediamo le orme di intere famiglie che oggi si vedono obbligate a partire. Vediamo le orme di milioni di persone che non scelgono di andarsene ma che sono obbligate a separarsi dai loro cari, sono espulsi dalla loro terra”.
“In molti casi – ha ricordato il Papa riferendosi in modo chiaro alla situazione dei migranti e profughi troppo spesso respinti – questa partenza è carica di speranza, carica di futuro; in molti altri, questa partenza ha un nome solo: sopravvivenza. Sopravvivere agli Erode di turno che per imporre il loro potere e accrescere le loro ricchezze non hanno alcun problema a versare sangue innocente”.
Francesco ha invitato dunque a scorgere il Signore “nel visitatore indiscreto, tante volte irriconoscibile, che cammina per le nostre città, nei nostri quartieri, viaggiando sui nostri autobus, bussando alle nostre porte”. In proposito, il Papa ha citato l’omelia della messa d’inaugurazione del Pontificato di San Giovanni Paolo II: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo”, ha ripetuto con forza.
“Maria e Giuseppe, per i quali non c’era posto, sono i primi - ha poi concluso - ad abbracciare Colui che viene a dare a tutti noi il documento di cittadinanza. Colui che nella sua povertà e piccolezza denuncia e manifesta che il vero potere e l’autentica libertà sono quelli che onorano e soccorrono la fragilità del più debole”.
E all’Udienza Generale del 27 dicembre c’è tornato sopra, non correggendo ma chiarendo bene il senso dell’omelia della Notte. “Quanta gente nella sua vita mai ha sperimentato una carezza, un’attenzione di amore, un gesto di tenerezza. Il Natale ci spinge a farlo noi. Così Gesù viene a nascere ancora nella vita di ciascuno di noi e, attraverso di noi, continua ad essere dono di salvezza per i piccoli e gli esclusi”, ha spiegato. Soffermandosi nello stesso intervento sulla questione del Natale negato, che gli sta ugualmente a cuore. “Ai nostri tempi specialmente in Europa - ha osservato - assistiamo a una specie di ‘snaturamento’ del Natale: in nome di un falso rispetto di chi non è cristiano, che spesso nasconde la volontà di emarginare la fede, si elimina dalla festa ogni riferimento alla nascita di Gesù. E ancora oggi assistiamo al fatto che spesso l’umanità preferisce il buio, perché sa che la luce svelerebbe tutte quelle azioni e quei pensieri che farebbero arrossire o rimordere la coscienza. Così, si preferisce rimanere nel buio e non sconvolgere le proprie abitudini sbagliate”.
La Cei alza la voce per replicare a Socci e C.
“Sento il dovere di schierarmi accanto al Papa anche se certamente non ne ha bisogno, per difendere, il suo messaggio di Natale, che a qualcuno sembra provocatorio, ma a me pare quanto mai adatto perché ci aiuta a capire il momento storico che stiamo vivendo e in modo profetico potrebbe incidere nelle coscienze dei credenti per creare nel mondo un futuro di autentico sviluppo e vera pace”. Sono parole di monsignor Giovanni D’Ercole, presidente della Commissione Cei per la comunicazione e la cultura e vescovo di Ascoli Piceno, che interviene sulle forti critiche a Papa Francesco espresse in questi giorni da intellettuali cattolici, come ad esempio Antonio Socci, ai quali il messaggio di Natale con i migranti sembra un intervento di natura politica, che non c’entra per nulla con il messaggio spirituale del Natale. “Dobbiamo avere il coraggio di guardare la realtà con lo sguardo della concretezza e l'umiltà di fidarsi del Papa, che ha una visione più ampia della mia e della nostra", sottolinea monsignor D’Ercole in un’intervista all’AGI. ““Sono critiche - aggiunge - che cerco di capire: sono il segno che alcuni fanno proprio fatica a capire Papa Francesco ma espresse da altri mi sembrano non comprensibili, spesso pretestuose e comunque sempre inaccettabili”.
In merito, il vescovo definisce “comprensibile" che sin all’inizio del Pontificato qualcuno possa essersi trovato in difficoltà e forse continui a fare fatica a capire lo stile del tutto nuovo di Jorge Mario Bergoglio. "Quando mi capita cerco di aiutare a riflettere perché io stesso, che avevo collaborato in Segreteria di Stato con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI - confida monsignor D’Ercole - ho dovuto fare un lavoro su me stesso per cogliere il valore altamente profetico delle parole e dei gesti di Papa Francesco, essendo abituato in passato ad un approccio diverso". Per questo - prosegue monsignor D'Ercole - vorrei invitare queste persone a cercare di guardare ciò che il Papa dice e il modo con cui lo fa, con lo sguardo della simpatia, anche quando per loro è difficile”.
Tuttavia, rileva D’Ercole, “mi pare strano che a 5 anni quasi dall’inizio del Pontificato alcuni personaggi anche di notoria fede cattolica si barrichino dietro all’aspetto formale, per non mettersi in discussione, come invece il Papa sta chiedendo a tutti di fare. Tra l’altro questi attacchi che continuano potrebbero avere il sapore del fatto personale e dei preconcetti, come avviene quando gli si attribuiscano affermazioni discordanti rispetto ai suoi predecessori per scoprire poi, come ad esempio nell'omelia di Natale, che sono esattamente le affermazioni pronunciate in modo diverso da papa Benedetto".
Secondo monsignor D'Ercole, "le omelie e i discorsi di questo Natale, invece, sono esempi di grande equilibrio: io ho capito che ci sta aiutando a comprendere il vero significato del Natale demistificando quel clima dolciastro nel quale il consumismo moderno lo ha immerso, come in molti andiamo ripetendo. Da parte mia ringrazio Dio che il Papa ci sta aprendo gli occhi e ci fa cogliere davvero che il Natale è la festa della fede che dura nei secoli, una fede che non ci anestetizza le coscienze per farci rimanere tranquilli, ma ci provoca, ci mette in crisi e pone in discussione le nostre certezze". “Non lasciamo – conclude il vescovo - che sia la paura a condizionare il modo di pensare e di guardare alla realtà anche quando ci appare scomoda”.
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