Perché Francesco ha "sdoganato" Budda nel viaggio in Myanmar

Un riconoscimento non strumentale ma comunque finalizzato alla riuscita del compito che il Papa si è dato venendo in questo Paese: spingere l’antica Birmania verso una democrazia compiuta

Perché Francesco ha "sdoganato" Budda nel viaggio in Myanmar

I Rohingya. Un popolo negato in lotta per la sua dignità, come lo sono i Mapuche in America Latina, i Curdi in Medio Oriente, i Ceceni in Russia, per non dire dei Catalani, dei Corsi e dei Sardi nell'area mediterranea dell'Europa o dei Lapponi in Scandinavia. Tutti nomi piuttosto scomodi, in effetti.  

Oltretutto i Rohinghya sono un popolo ferito da violente discriminazioni, che si ribella  con modi certo inaccettabili ma non diversi da quelli storicamente utilizzati nei diversi paesi, ad esempio dai Baschi in Spagna, che a differenza dei pacifici catalani la loro autonomia alla fine l'hanno ottenuta.  

Per un insieme complicato di ragioni, il Papa in Myanmar non li ha nominati (pur essendosi esposto molto in loro difesa). Ma durante tutta la permanenza di Francesco in questo affascinante e contraddittorio paese asiatico, i media occidentali, come un sol uomo, si sono concentrati su quella parola, il nome "Rohingya", che il Papa dunque non ha detto. E per questo, forse, non si sono accorti di quello che ha detto in effetti nella prima visita di un successore di Pietro in Birmania.

Hanno notato con sufficienza che il Papa ha voluto entrare scalzo in un tempio buddista, la favolosa Pagoda d'oro di Yangon, ma non hanno dato enfasi al fatto che in quello scenario stupefacente abbia esaltato il messaggio dI questa religione come nessun Papa si era mai sognato di fare.

La visita alla Pagoda d'oro

Senza scarpe (come si usa nelle Pagode e non solo nelle Moschee) il vescovo di Roma “chiamato quasi dalla fine del mondo”  ha compiuto infatti un nuovo immane tragitto, in assoluta sintonia con Giovanni Paolo II che si recò per primo in una Moschea (a Damasco, in Siria, nel 2000) e in Vaticano baciò un Corano. "Dobbiamo superare tutte le forme di incomprensione, di intolleranza, di pregiudizio e di odio", ha affermato  Francesco che ha citato più volte il nome Budda nel discorso ai monaci del “Shanga Maha Nayaka”, un organismo di rappresentanza elettivo che coopera direttamente con il Governo birmano. E lo ha esaltato anche leggendo quelle sue parole che, ha detto,  "offrono a ciascuno di noi una guida: 'Sconfiggi la rabbia con la non rabbia, sconfiggi il malvagio con la bontà, sconfiggi l’avaro con la generosità, sconfiggi il menzognero con la verità'".

Perché Francesco ha "sdoganato" Budda nel viaggio in Myanmar
 Myanmar

"Sentimenti simili - ha osservato il Papa con un accostamento ardito - esprime la preghiera attribuita a San Francesco d’Assisi: 'Signore, fammi strumento della tua pace. Dov’è odio che io porti l’amore, dov’è offesa che io porti il perdono,  dove ci sono le tenebre che io porti la luce, dov’è tristezza che io porti la gioia".  

La grandezza di Budda che nessun Papa aveva riconosciuto

Esistono anche in Italia alcuni sacerdoti (in genere ex missionari nell'Estremo Oriente) che considerano possibile una sorta di doppia appartenenza: alla religione cattolica e al buddismo, che rappresenta una filosofia, non una fede, precisano. Ma nessun vescovo, e a maggior ragione nessun vescovo di Roma, si era mai spinto tanto avanti. Anche per il fatto che la "compatibilità" tra buddismo e cristianesimo viene ritenuta un rischioso piano inclinato capace di innescare un'emorragia di fedeli. Paure insensate che Bergoglio non condivide, come il timore e la diffidenza verso i pentecostali.  

“Attraverso gli insegnamenti di Budda, e la zelante testimonianza di così tanti monaci e monache, la gente di questa terra - ha detto infatti il Papa - è stata formata ai valori della pazienza, della tolleranza e del rispetto della vita, come pure a una spiritualità attenta e profondamente rispettosa del nostro ambiente naturale”.

“Esprimo la mia stima per tutti coloro che in Myanmar vivono secondo le tradizioni religiose del Buddismo”, ha detto ancora il Papa sottolineando che “questo incontro è un’importante occasione per rinnovare e rafforzare i legami di amicizia e rispetto tra buddisti e cattolici”. “E’ anche – ha aggiunto Francesco – un’opportunità per affermare il nostro impegno per la pace, il rispetto della dignità umana e la giustizia per ogni uomo e donna. Non solo in Myanmar, ma in tutto il mondo le persone hanno bisogno di questa comune testimonianza da parte dei leader religiosi".

“La giustizia autentica e la pace duratura possono essere raggiunte solo quando sono garantite per tutti. Come sappiamo - ha continuato - questi valori sono essenziali per uno sviluppo integrale della società, a partire dalla più piccola ma più essenziale unità, la famiglia, per estendersi poi alla rete di relazioni che ci pongono in stretta connessione, relazioni radicate nella cultura, nell’appartenenza etnica e nazionale, ma in ultima analisi radicate nell’appartenenza alla comune umanità”.
Un riconoscimento certamente non strumentale ma altrettanto certamente finalizzato alla riuscita del compito che il Papa si è dato venendo in Myanmar: spingere l’antica Birmania verso una democrazia compiuta. 

La transizione birmana verso la democrazia

Francesco è consapevole che “il Myanmar è impegnato a superare divisioni profondamente radicate e costruire l’unità nazionale”. Parole molto pesate all’indomani del colloquio e dello scambio di discorsi con la leader birmana e premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi.

Al suo arrivo a Yangon, Francesco stesso a sperimentato personalmente quanto sia opprimente in Myanmar il potere militare, vedendosi arrivare senza preavviso all’arcivescovado di Yangon l’intera Giunta militare, capitanata dal capo dell’esercito, il generale Min Aung Hlaing, "Commander-in-Chief of Defense" Services. L’appuntamento con lui era previsto solo al termine della visita, la mattina del 30 novembre. Invece i militari, che governano da 60’ anni la Birmania, hanno voluto far vedere che sono ancora loro a comandare e Francesco che si aspettava un solo interlocutore si è trovato davanti ben 5 ufficiali, compreso uno incaricato di verbalizzare l'incontro che era previsto come "privato".

“Dove sono i lieti annunci quando tanta ingiustizia, povertà e miseria gettano ombra su di noi e sul nostro mondo?”, si è chiesto  Francesco nell’omelia della messa conclusiva della visita in Myanmar, un paese che vive la difficile transizione alla democrazia dopo una guerra civile e 60 anni di dittatura militare. 

Perché Francesco ha "sdoganato" Budda nel viaggio in Myanmar
Papa Francesco

“Il Myanmar è impegnato a superare divisioni profondamente radicate e costruire l’unità nazionale”, ha riconosciuto parlando ai vescovi birmani, dopo la sintonia ritrovata con la leader e premio Nobel per la pace San Suu Kyi.  Ed è chiaro l’intento del Papa: incoraggiare la minoranza cattolica (700 mila cioè meno del’1,3 per cento) ad assumere un ruolo propulsivo nella nascita di una nuova Birmania democratica. 
“Alcuni si chiedono come sia possibile parlare di lieti annunci quando tanti attorno a noi soffrono”, ha scandito nell’omelia di questa mattina alla celebrazione dedicata ai giovani, che gremivano la Cattedrale di Yangon. “Vorrei - ha confidato il Papa - che da questo luogo uscisse un messaggio molto chiaro. Vorrei che la gente sapesse che voi, giovani uomini e donne del Myanmar, non avete paura di credere nel buon annuncio della misericordia di Dio, perché esso ha un nome e un volto: Gesù Cristo. In quanto messaggeri di questo lieto annuncio, siete pronti a recare una parola di speranza alla Chiesa, al vostro Paese, al mondo. Siete pronti a recare il lieto annuncio ai fratelli e alle sorelle che soffrono e hanno bisogno delle vostre preghiere e della vostra solidarietà, ma anche della vostra passione per i diritti umani e per la giustizia".

A dare il senso vero della visita in Myanmar, alla fine, sono state le considerazioni del portavoce vaticano, Greg Burke, "questo viaggio si può descrivere in una parola: unità. Unità nella diversità come papa Francesco ha detto così bene ieri con i leader religiosi: unità nel senso di una piccola chiesa che lavora con gli altri per il bene del paese, come abbiamo sentito a messa questa mattina e nella riunione molto bella di stasera con i vescovi: un giorno molto importante per chiesa in Myanmar direi anche storico, e finalmente - ha aggiunto Burke - unità nel lavorare insieme, come ha detto nell’importante incontro con i buddisti, come dobbiamo lavorare insieme per la pace e diritti umani". Il portavoce ha anche fatto una battuta: prima di dire quale fosse la parola chiave ha ironizzato: “non quella che pensate voi”. Un modo per esorcizzare le polemichei per la mancanza del nome della vessata minoranza islamica dei Rohingya nei discorsi del Papa.



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