Stando agli organi di informazione italiani, quelli sempre in prima linea contro le fake news, quelli che “la fiducia si riconquista con l'autorevolezza”, quelli che elargiscono ai lettori perle di buon senso su come riconoscere le bufale online, come per esempio controllare sempre da quale sito arrivano le notizie e diffidare se non ci si trova di fronte alle testate tradizionali (ah le care, vecchie, infallibili, testate tradizionali!!), ecco, secondo questi autorevoli media mainstream l’Italia sarebbe attualmente vittima di un inquietante movimento estremista: quello dei temibili nazisti del Kekistan.
Ma facciamo un passo indietro, per addentrarci nella genesi di questo scoop. Tutto ha inizio quando, al comizio di Matteo Salvini di sabato 24 febbraio a Milano, spunta una bandiera verde del Kekistan. Un vessillo nei cui simboli riecheggia qualcosa che rimanda all’iconografia nazista delle svastiche. E tanto è bastato ai giornalisti di Radio Popolare, Corriere e Repubblica per costruire titoli sensazionalistici sulle infiltrazioni neonaziste al ritrovo leghista.
Insomma i leghisti sono già dipinti come beceri, brutti e cattivi, e allora perché non arricchire questa narrazione ricamandoci sopra un bel binomio leghismo-nazismo che non guasta affatto e probabilmente porta anche clic?
Peccato soltanto che il vessillo in questione sia in realtà una burla, un meme. In pratica la bandiera in oggetto non è che la trasposizione “reale” di una trollata virtuale nata Oltreoceano durante le ultime presidenziali negli StatiUniti. Lo ha spiegato benissimo su queste colonne Francesco Russo.
Il “Kekistan” è uno stato di fantasia inventato da un gruppo di utenti USA - che fanno del politicamente scorretto la propria cifra identitaria - per trollare l'intero sistema politico americano. Il meme dissacrante, basato nello specifico su una sorta di religione online (Kek sarebbe la divinità del caos con una bella testa a forma di rana), è nato come forma di provocazione costruita e perpetrata per ridicolizzare il “politicamente corretto” e i media mainstream. Poi è anche vero che la simbologia legata al Kekistan ha iniziato a muoversi su livelli interpretativi molto diversi, e difficilmente codificabili, fino a diventare una sorta di riferimento per l'alt-right americana, scivolando lentamente ma inesorabilmente in un'ambigua zona di confine fra ironia, meta-ironia, provocazione e propaganda politica di estrema destra. Questo in estrema sintesi.
Eppure da qua a identificare i provocatori armati di bandiera del Kekistan come neonazisti ce ne passa. Non che gli autori del gesto di Milano, gli amministratori della pagina “Dio Imperatore Salvini” (a sua volta una scimmiottatura mal riuscita della pagina americana “God Emperor Trump”) spicchino per buon senso o idee illuminate. Non che ci piaccia prenderne le difese e sottilizzare sulla differenza fra il propugnare principi che puzzano di fascismo e il giocare con dei riferimenti che richiamano il nazismo a scopo di provocazione.
Ma in questa campagna elettorale dai toni sempre più esasperati ed estremi c'è un bene che va tutelato al di sopra di qualsiasi altro (anche al costo di far pendere l'ago della corretta contestualizzazione dei fatti dalla parte del popolo padano, piuttosto che dalla parte del sistema informativo). E quel bene è la verità, o, perlomeno la corretta informazione. Quella che i media in questo caso, in nome del pregiudizio, hanno calpestato. D'altronde il pregiudizio è da sempre la chiave di ogni fake news che si rispetti: credo e condivido ciò che conferma i miei pregiudizi. In questo caso il pregiudizio legato al binomio leghisti-fascisti ha portato a vedere sotto al palco di Salvini una bandiera nazista che era invece la materializzazione di un meme, il vessillo di uno stato inesistente, nato sul web, e retto da un dio-ranocchio.
Stringendo sui fatti: un gruppetto di leghisti si è appropriato di un simbolo ambiguo e lo ha sventolato in piazza per esprimere il proprio dissenso nei confronti del pensiero dominante. Un'atto in cui c'era più provocazione che nazismo. Un atto più ironico che reazionario. Anche se leghisti ironici può suonare come un ardito ossimoro. Insomma il fatto che la Lega abbia ricevuto l'endorsement di Casa Pound, che abbia un programma di estrema destra e che incarni becere derive xenofobe non dovrebbe autorizzare chi ci informa a ricamare storie di nazismo sopra una boutade. Anche perché gestire l'informazione in questo modo è un boomerang, e trasforma i leghisti in povere vittime bullizzate dalla stampa.
E pazienza se i primi a non cogliere il livello meta-ironico della provocazione sono probabilmente stati gli stessi “provocatori”.
Last but not least: come in ogni storia c'è una morale, senza accezioni aristoteliche né kantiane. In questo caso siamo più dalle parti di Esopo: non esistono regole per riconoscere le bufale.
Raccontare che i siti di informazione tradizionale siano affidabili e il web sia una cloaca di fake news è soltanto l'ennesima bufala. In questo caso, per esempio, i primi ad accorgersi e a denunciare la disinformazione sono stati proprio numerosi utenti della rete. E allora, in assenza di ricette pre-confezionate, come si fa a riconoscere una fake news? Si diffida (sempre), si fa ricorso al pensiero critico e non si condivide mai ciò della cui veridicità non si è sicuri. Neppure se lo ha pubblicato il Washington Post.