Anna Frank viene utilizzata per insultare e lo sdegno esplode come napalm. Avviene perché la storia di questa adolescente travalica i confini del calcio, della maleducazione, della "neo inciviltà" degli haters, per arrivare a toccare ciò che di più profondo abbiamo nel nostro cuore. Perché i morti d’Israele non sono solo morti di quel Paese. Molti altri popoli, molte altre nazioni del mondo, sono stati a turno protagonisti della storia, e al tempo delle rispettive epoche apicali accadeva una tracimazione dell’attenzione simile a quella di cui parlo. Nell’epoca dell’antico Egitto, quello che accadeva in Egitto avveniva in tutto il mondo perché l’Egitto non era solo l’Egitto, ma era tutto il mondo. Così è avvenuto di volta in volta per l’antica Grecia, Roma, l’Italia del Rinascimento, la Spagna, la Francia, l’Inghilterra. La Germania. Da alcuni decenni è la volta dell’America. Ora, forse, della Cina.
Però, passati i rispettivi "kairoi", finita l’epoca della tracimazione che l' aveva sparsa per il mondo, ogni nazione rientrava nel proprio letto. Da otto secoli una faccenda italiana è una faccenda solo di casa nostra; e ciò avviene semplicemente perché la nostra periferica storia di periferia, è solo la storia di una cortigiana della storia. Lo stesso, da millenni, vale per l’Egitto, per la Grecia, e a turno è toccato a tutti gli altri. Ma ciò non avviene per Israele. Che, oltretutto, non è mai stato il centro del mondo se non per le tre grandi religioni monoteistiche. Questi eterni cortigiani sono sempre sovrani. Questi cadetti sono tutti primogeniti eredi al trono. Non sono come noi altri perché noi, a differenza degli ebrei, siamo tutti popoli semplici. Che vivono solo nella loro storia.
Non così Israele. Quel senso epico, quel mito che perseguita il popolo ebraico dalla fuga d’Egitto ai giorni nostri e per sempre, appartiene solo a loro. Per questo Anna Frank non potrà mai essere una qualsiasi adolescente colpita da una tremenda sventura ma la sua vita sarà sempre qualcosa di più, di ulteriore. Al punto che dei beceri cafoni da stadio non trovano di meglio che andare a ripescare lei per coinvolgerla in una bega d'infimo ordine. L’esistenza degli ebrei è una tragedia «enorme» agli occhi degli altri popoli. A volte, tremendamente «troppo enorme» anche per loro stessi come tanti loro artisti hanno spesso raccontato (penso ora, in particolare, a David Grossman e alla sua introduzione all'Esodo). Tale destino sarebbe insostenibile se non fosse simbolo o metafora di qualcos’altro. La loro esistenza non è semplicemente la loro esistenza; il loro è un destino sovraccarico di qualcosa di sublime e di tragico.
Cos’è questo senso ulteriore, qual è questa strana percezione di sé che interpella così impazientemente noi tutti e che impedisce loro di essere un popolo qualsiasi, che non ha nessun ruolo nella storia o che al massimo ce l’ha solo per un’epoca? Cosa impedisce loro di essere un popolo «normale», un popolo come tutti gli altri, che vive solo nel proprio tempo e solo nel proprio paese? Cosa nega al diario di Anna Frank di essere il qualsiasi diario di una qualsiasi adolescente sfortunata? Non diamo risposte banali a queste domande. Non diciamo che ci si interessa a loro solo perché gli ebrei sono ricchi e potenti. Non cadiamo nel tranello di confondere le cause con gli effetti. Non pensiamo che la campagna #siamotuttiAnnaFrank si diffonde a macchia d'olio solo perché promossa da Repubblica, il cui direttore è Mario Calabresi marito della nipote di Natalia Ginzburg. Noi, figli del secolo ventunesimo, siamo tutti più o meno materialisti. Una volta tanto non cadiamo nella becera stupidaggine di credere che il più basso è il più vero. Non appena ci venga additata nella sociologia, nell’economia, nell’istinto, la rudimentale causa di fatti spirituali, subito presumiamo di possedere una spiegazione più fondata.
La mania di ricondurre il sublime all’infimo è una delle superstizioni del nostro tempo. Come se si potesse «spiegare» Dostoievskij con l’epilessia. Anna Frank ci fa male perché Israele ci fa male. Ed è così perché quando i nostri occhi incrociano i loro, scopriamo di guardare i nostri. La vita di Anna Frank non è mai stata una vita semplice perché è sempre stata una vita riferita alla nostra. È un simbolo e la vita simbolizzata è la mia. Loro sono la metafora e noi siamo i metaforizzati. La storia analogata è la mia e, quando la guardo in loro, la vedo dal punto di vista dell’eternità.