Quando i migliori vini campani riescono a fare sistema
Il tour enogastronomico 'Campania Stories' è stato la dimostrazione che se le eccellenze di un territorio decidono di collaborare, danno vita a esperienze impagabili

Quest’anno per la prima volta sono andata a “Campania Stories”, il titolo mi piaceva proprio anche se i viaggi stampa* per soli giornalisti super esperti di vino li rifuggo un po’. Si parla di gente capace di degustare un centinaio di etichette (o anche più) in mezza mattinata, chiusi in un albergo mentre fuori c’è il sole e la costiera amalfitana. Anche io sono abbastanza esperta di vino, ma mica sono matta!
Ovviamente sto scherzando, ben vengano le degustazioni tecniche e serie per conoscere a fondo territorio e prodotti.
Ad ogni modo “Campania Stories” è un evento bellissimo. Innanzitutto è un evento itinerante, a parte le 500 etichette da degustare alla cieca per due mattine consecutive serrati in albergo, negli altri giorni si fanno le visite in cantina.
La Campania è uno dei territori più straordinari per biodiversità offerta dalle vigne: alcune sono sul mare, altre in collina, alcune nei terreni vulcanici, altre quasi in città cosa molto rara nella nostra penisola.
Nel programma era possibile scegliere dei percorsi alternativi ed io mi sono fatta conquistare dai Campi Flegrei. L’altra opzione era l’Irpinia, ma la conoscevo già meglio.
Siamo partiti da Cetara con un pullman ed eravamo in tanti, sballottati nelle curve della costiera con un tempo un po’ bizzarro. Quando siamo arrivati, dopo un’ora e mezza, al punto di incontro nel piazzale di parcheggio ci aspettavamo loro: i produttori.
Partecipavano le aziende dei Campi Flegrei: Agnanum, Astroni, Contrada Salandra, La Sibilla, Martusciello Salvatore, Mario Portolano.
Un gruppo di campani entusiasti a darci il benvenuto con sorrisi e abbracci, capitanati dalla bionda Gilda Guida, consorte di Salvatore Martuscello e dunque insieme titolari dell’omonina azienda.
Noi “giornalisti internazionali” dovevamo dividerci nelle loro macchine in gruppi da 4 massimo 5 persone e separarci per le rispettive visite. Bisognava scegliere un’azienda insomma, perché vederle tutte non sarebbe stato possibile per tutti, visti i tempi stretti previsti dal tour.
Gilda era lì a fare gruppi e organizzare, come se tutte le aziende fossero state le sue, come una vera amante del proprio territorio, pronta a fare squadra e ad accogliere questi comunicatori nel modo migliore possibile. Personalmente sono andare a vedere Agnanum. Ancora adesso mi chiedo se ho sognato o cosa.
Agnanum, l’azienda agricola di Raffaele Moccia sembra scritta in un romanzo. Suolo vulcanico, ai bordi del muro borbonico del Bosco degli Astroni che è riserva naturale, praticamente in città, perché dalla collina si vede la strada con le auto, ma in un mondo a parte.
Cinque generazioni eroiche che hanno domato il terreno a mano, a forza di zappa e tenacia. Terreno ricco di cenere, scivoloso, in discesa. 40 anni di viticoltura naturale a fare buche e inseguire le curve della collina per consolidare il terreno. Vigne centenarie, sovescio da quadro impressionista, allevamento di conigli e polli felici e un quod che ti porta tra i filari, con Lello intrepido alla guida e che non smette mai di parlare.
Lello è Raffaele Moccia che, come i suoi predecessori, dedica tutta la vita al suo vino, fin quando il peso che porta sulla spalla non lo piega e le sue mani non riescono più a tenere la zappa, lui non interrompe il suo lavoro.
I terrazzamenti sono molto stretti e quindi non permettono l’uso di macchinari, le piante infestanti sono numerose e tenaci, i vicini di casa non sempre hanno la stessa cura per lo stesso terreno. Per non parlare dell’amministrazione locale e della malavita nei dintorni. Insomma questa azienda richiede una vera e propria missione.
Abbiamo girato le vigne in salita e discesa con il quod, accompagnati dai cani e abbiamo salutato le capre (assunte per l’occasione, ha detto Lello, per trebbiare le vigne) e apprezzato un tramonto mozzafiato con vista del Vesuvio.
Da queste terre nascono vini pregiati come il Piedirosso dei Campi Flegrei Vigna delle Volpi e la Falanghina Campi Flegrei Vigna del Pino. I vitigni autoctoni hanno una personalità tutta loro perché nascono e crescono sostanzialmente sul cratere degli Astroni.
La resa è bassa e la vendemmia è tardiva, i vini sono delle vere chicche. Dopo le vigne, con le scarpe piene di sabbia e cenere e con addosso il profumo delle erbe aromatiche e dei fiori selvatici, ci siamo ritrovati tutti alla Rocca del Rione Terra di Pozzuoli per una visita guidata. Pozzuoli prima di Ostia, era il porto principale di Roma e la culla della Magna Grecia.
In realtà ho capito subito che tutto il gruppo dei produttori aveva, di sua iniziativa, creato un programma ulteriore per noi, mettendo in campo tutte le loro forze, i loro contatti, la loro voglia di farci conoscere i Campi Flegrei. Così tanto da annunciarci una cena a sorpresa che si sarebbe tenuta la sera stessa nell’unico ristorante con una stella Michelin della zona: Sud di Marianna Vitale.
In sostanza, oltre al percorso pensato dall’organizzazione dell’evento, i produttori a spese loro, hanno deciso di farci questa sorpresa, allestendo nel ristorante tante postazioni con verticali dei loro vini migliori, da abbinare al menu pensato dalla chef.
Ho assistito a un esempio vero della tanto abusata espressione “fare sistema”. In un territorio non facile, un gruppo di viticoltori coraggiosi decide di investire durante un evento che prevede l’arrivo della stampa sul luogo, senza fare a gara ma unendosi per fare una vera accoglienza.
* il viaggio è stato offerto da Miriade & Partners
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