Le distese di neve di uno splendido paesaggio alpino invernale costituiscono una forma di energia potenziale che, nei mesi più caldi, verrà liberata e in parte potrà andare ad alimentare impianti idroelettrici. Il disgelo stagionale è un processo sufficientemente lento e progressivo da poter essere imbrigliato e sfruttato a scopi utili. Quando invece la neve scende a valle improvvisamente, tramite una valanga, non vi è alcun modo per sfruttare tutta quell’energia dissipata in pochi attimi.
Molte manifestazioni naturali di breve durata sono associate al rilascio di grandi quantità di energia: si pensi per esempio che un fulmine può sviluppare una potenza elettromagnetica di mille miliardi di watt (1 TW); i satelliti artificiali registrano annualmente su tutta la Terra una media di 1,4 miliardi di fulmini, circa 45 al secondo. Talvolta c’è chi suggerisce di provare a sfruttare a scopi energetici questi fenomeni naturali, o altri ancora più potenti: eruzioni vulcaniche, terremoti, cicloni tropicali o più modesti temporali e grandinate.
In pratica però le uniche risorse energetiche rinnovabili «non convenzionali» effettivamente utilizzabili sono quelle associate all’energia cinetica dell’acqua marina in movimento, fenomeno spesso poco appariscente ma continuo. Il movimento dell’acqua può essere associato all’azione di forze gravitazionali (maree), alla generazione di perturbazioni superficiali per effetto dei venti (onde) e a differenze di temperatura o densità tra gli strati superficiali e quelli profondi degli oceani (correnti marine).
La potenza complessiva delle correnti marine è stimata in 100 GW; data la vastità della superficie dei mari sul nostro pianeta, però, la densità di potenza è assai modesta: 0,3 mW/m2.
Questa forma di energia può diventare interessante in corrispondenza di stretti e passaggi obbligati, poiché la velocità dei fluidi in movimento aumenta al diminuire della sezione di flusso; lo sanno bene fin dall’antichità i naviganti che devono affrontare forti correnti per attraversare lo stretto di Messina tra Scilla e Cariddi.
Da un punto di vista quantitativo risulta tuttavia molto più promettente lo sfruttamento delle maree, che muovono enormi masse d’acqua in periodi di tempo relativamente brevi. Si stima che la potenzialità sfruttabile dell’energia gravitazionale delle maree sia di almeno 360 GW.
Naturalmente lo sfruttamento di questi fenomeni va concentrato in zone in cui la loro entità è ben superiore a quella che si verifica nel nostro Mediterraneo: per esempio alcune zone costiere canadesi, l’Alaska, l’Argentina meridionale e la Normandia in Francia. In queste regioni i dislivelli mareali delle acque vanno dai 5 ai 15 metri e le masse di fluido in movimento sono enormi, paragonabili a umi di grande portata d’acqua e piccola caduta.
Nel mondo esiste una sola centrale elettrica di grande potenza (240 MW) che sfrutta il moto delle maree, a Saint-Malo, nel nord della Francia. La produzione elettrica avviene utilizzando entrambe le direzioni di movimento del flusso. Un serio problema per impianti di queste dimensioni è la loro localizzazione: la diga sbarra un tratto di costa e rende la navigazione molto difficile.
Per questo motivo si stanno sperimentando con successo impianti più piccoli e sommersi, che sfruttano le correnti sottomarine generate dalle maree. Si tratta sostanzialmente di pale analoghe a quelle degli impianti eolici, ma di taglia considerevolmente più piccola. Una delle sfide principali per queste tecnologie è la resistenza dei materiali all’effetto corrosivo dell’acqua di mare. D’altro canto un aspetto molto interessante dello sfruttamento delle maree è la precisione estrema, ineguagliabile per le altre fonti rinnovabili, con cui si conosce la tempistica e la quantità dell’energia erogabile in rete.
Le onde marine sono una forma concentrata di energia eolica, grazie alla maggiore densità dell’acqua rispetto all’aria. La potenza stimata del moto ondoso dei mari è immensa, circa 90 TW (ricordate che la domanda di potenza mondiale si attesta oggi attorno a 18 TW). Il primo brevetto per sfruttare l’energia ondosa del mare fu depositato in Francia nel lontano 1799 e l’interesse per questa tecnologia, mai assopito, riaffiora puntualmente quando si materializzano crisi energetiche: negli anni Settanta e, appunto, oggi.
A causa dell’andamento dei venti a livello planetario, tra le zone potenzialmente più interessanti si segnalano le coste occidentali dei continenti dell’emisfero nord alle medie latitudini, per esempio Portogallo, Scozia e California. Al largo di queste regioni oggi esistono decine di progetti pilota che sfruttano vari tipi di macchine; si prevede però che poche tra queste potranno giungere alla commercializzazione.
La sfida tecnica maggiore è quella della resistenza delle macchine, che debbono essere progettate per sopportare condizioni atmosferiche avverse di gran lunga superiori a quelle ordinarie. Un singolo evento atmosferico particolarmente intenso può infatti distruggere del tutto un impianto. Tra gli oppositori vi sono pescatori e surfisti; probabilmente però non sarà difficile trovare spazio per tutti in mare. Se questa tecnologia troverà un numero sufficiente di investitori, potrebbe trovare una sua nicchia interessante di sviluppo. Si stima che il Regno Unito potrebbe ottenere dalle onde 20.000 MW di potenza elettrica entro la metà del secolo.
Un’altra forma di energia marina da tempo sotto esame prevede lo sfruttamento dei gradienti di temperatura degli oceani al variare della profondità per produrre energia elettrica. Numerosi investimenti furono fatti in questa direzione negli anni Settanta, ma con modesti successi. La tecnologia denominata otec (ocean thermal energy conversion) richiede uno sbalzo termico di almeno 20 gradi tra la superficie e una profondità non superiore ai 1000 m. Questo rende appetibili le zone oceaniche a cavallo dell’equatore, particolarmente il Pacifico occidentale, ma finora esistono soltanto impianti di tipo dimostrativo.
Più promettente è l’utilizzo termico delle acque profonde di bacini idrici in prossimità di grandi città. Per esempio un impianto centralizzato di aria condizionata serve alcuni grattacieli dei quartieri finanziari di Toronto, in Canada, sfruttando come riserva di acqua fredda il prospiciente lago Ontario. Il risparmio di potenza elettrica supera i 7 MW.
Le tecnologie rinnovabili «idriche» che abbiamo citato sono ancora, in molti casi, in fase di sperimentazione iniziale. Va però notato che anche la tecnologia eolica e quella fotovoltaica, oggi in crescita impetuosa, vent’anni fa erano in una situazione analoga.
In un mondo a caccia di risorse energetiche pulite e con la necessità impellente di svincolarsi dai combustibili fossili è ragionevole attendersi che anche queste tecnologie energetiche, oggi «minori», potranno far parte del mix energetico rinnovabile che dovremo mettere in campo nel corso di questo secolo. Una loro eventuale affermazione dipenderà fortemente dalla disponibilità di finanziamenti alla ricerca scientifica e tecnologica, finora davvero esigui se confrontati con quelli di cui hanno goduto le tecnologie energetiche tradizionali.