Era difficile da immaginare, ma è accaduto. Oggi nel mondo più di 2 miliardi di persone sono sovrappeso o obese, mentre «soltanto» 800 milioni hanno problemi quotidiani di approvvigionamento alimentare. In parole povere, i grassi hanno di gran lunga superato gli affamati.
L’aumento dell’obesità è particolarmente marcato nei Paesi in via di sviluppo: in alcuni casi raggiunge livelli quasi patologici, come in Messico e in Egitto, nazioni che fino a tempi recenti facevano spesso i conti con la fame.
Le ragioni di questo veloce passaggio da un regime alimentare carente a uno sovrabbondante sono legate all’aumento del consumo di grassi animali e vegetali, alla diffusione di bevande zuccherate al posto dell’acqua, all’urbanizzazione che induce stili di vita sedentari. In breve, all’affermazione dei più deteriori modelli alimentari occidentali dffusi dalla globalizzazione.
Del resto, senza andare lontano, risulta quasi surreale che in un Paese come l’Italia, alle prese con rachitismo e pellagra sino a pochi decenni fa, oggi pullulino palestre dove si cerca di smaltire il sovrappeso e cliniche che praticano la liposuzione. Nel giro di due generazioni il nostro rapporto con il cibo è passato da un regime di ricerca a uno di difesa: c’è chi studia, con qualche buona giustificazione, strategie di sopravvivenza alle abbuffate delle festività natalizie.
Oggi per ogni caloria che mangiamo serve mediamente una caloria di combustibili fossili per portare quel cibo sulla nostra tavola. C’è chi sostiene, con qualche fondata ragione, che l’agricoltura moderna non è altro che un’industria che converte combustibili fossili in cibo; e purtroppo spesso lo fa anche in modo poco efficiente.