Il dilemma britannico tra rinnovabili, nucleare e fracking
Crescono le incertezze sul futuro energetico del Paese dopo la decarbonizzazione

Mentre continuano le trattative per l’uscita dall’Unione europea e i calcoli dei costi connessi ad essa, la Gran Bretagna si dibatte anche per definire il proprio futuro energetico. La lotta al cambiamento climatico ha imposto agli Stati nuovi obiettivi da raggiungere in tempi certi in termini di emissioni.
Qualche anno fa – scrive il Financial Times – rifornire l’isola dell’elettricità necessaria “era un compito relativamente semplice” alla luce dell'abbondante quantità di carbone presente nel paese. Oggi per il Governo - superate le lotte dei minatori che hanno caratterizzato la metà degli anni ’80 - sul tavolo restano le scelte da compiere per procedere sulla strada della decarbonizzazione. Tuttavia un rapporto della Commissione per i cambiamenti climatici, che monitora il livello di emissioni nel Regno Unito, ha evidenziato di recente il rischio che gli obiettivi ambientali potrebbero non essere centrati. E’ vero che il Paese ha fatto progressi più rapidi rispetto a molti altri su questo fronte: lo scorso anno poco più della metà delle forniture elettriche infatti è arrivata da fonti rinnovabili e dal nucleare. Tuttavia si è ancora lontani dall'obiettivo dell’'85% di energia a basse emissioni di CO2 entro il 2032.
Come succede sempre, in ogni Paese, le varie opzioni implicano scelte, dibattiti e compromessi. La Gran Bretagna infatti produce energia dall’atomo e lo dovrebbe fare, a breve, anche dal fracking.
La discussa centrale di Hinkley Point
Proprio la costruzione di due nuovi reattori a tecnologia Epr da parte di Edf per una potenza di 3.300 Mw nella centrale nucleare di Hinkley Point nel Somerset sta sollevando numerose critiche tra gli ambientalisti, ma anche diversi dubbi del Governo per i costi sempre crescenti dell’infrastruttura (20 miliardi di sterline) e i ritardi sempre maggiori che sta accumulando il progetto. Tanto che il postulato governativo secondo cui le centrali le pagano le società private inizia a vacillare soprattutto dopo le difficoltà riscontrate da Edf e Areva a realizzare i reattori nella centrale francese di Flamanville e in quella finlandese di Olkiluoto.
Dopo l’incidente di Fukushima infatti i costi del nucleare sono lievitati a causa delle crescenti misure di sicurezza a fronte del calo di quelli delle rinnovabili. A Hinkley Point, dopo una miriade di rinvii, l’ok definitivo è giunto solo lo scorso anno, sebbene i lavori proseguano con lentezza, tanto che la data di consegna è slittata dal 2023 al 2025, come ha scritto recentemente La Stampa.
C’è poi la questione riguardante la centrale di Wylfa sull’isola di Anglesey in Galles. Horizon la controllata della giapponese Hitachi auspica un accordo di finanziamento con i governi britannico e giapponese "a breve". C’è poi, come accennato, lo shale gas, ottenuto attraverso il fracking. Anche in questo caso il Paese è spaccato tra chi è a favore e chi è contrario. La produzione di gas da scisto dovrebbe iniziare proprio quest’anno, ma il fronte contrario è compatto mentre il Governo, in modo un pilatesco, sostiene che il fracking vada fatto in modo "sicuro e rispettoso dell'ambiente".
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