La recente ricerca sull'impatto che YouTube avrebbe sul settore musicale, realizzata da RBB Economics per Google, sarebbe giunta alla conclusione che il servizio musicale non solo non cannibalizzi altri servizi streaming, ma potrebbe considerarsi determinante nel combattere la pirateria. Lo studio conclude che non ci sia rischio di cannibalizzazione, anzi: se YouTube non esistesse, l’85% del tempo trascorso dalle persone su YouTube si sposterebbe verso canali di valore inferiore e si tradurrebbe in un significativo aumento della pirateria. Tuttavia, analisi più approfondite degli stessi dati sul mercato italiano, conducono a tutt'altra conclusione.
Pur riconoscendo a YouTube un ruolo nel settore musicale (il 91% degli utenti lo impiega per accedere a musica – Ipsos Connect 2016), legato principalmente ad alimentare la popolarità di artisti e video musicali, è necessario evidenziare che in Italia il servizio di video sharing produce un'effettiva cannibalizzazione delle piattaforme di audio streaming, ed in particolare dei servizi premium.
YouTube vs Stream
L'effetto degli streaming di YouTube sul mercato sono ben evidenziati da questo grafico prodotto da RBB per YouTube.
Il grafico mostra l’effetto cannibalizzazione dei servizi audio streaming da parte di YouTube. A differenza degli altri Paesi, in Italia solo il 31% dei brani viene ascoltato attraverso servizi di streaming audio.
Risulta evidente che gli utenti utilizzino in maniera consistente YouTube in alternativa ai servizi audio streaming secondo percentuali di molto superiori rispetto a UK, Germania e Francia.
Come affermato dalla ricerca di RBB, se in Italia YouTube non esistesse, complessivamente l'87% degli utenti si disperderebbe tra servizi pirata o a basso valore, ma un 13% finirebbe per utilizzare servizi premium di audio streaming (higher value platforms).
L’effetto sul mercato discografico in Italia
Confrontando quindi i valori relativi ai ricavi, abbiamo il seguente scenario italiano:
- I ricavi 2016 da YouTube per le case discografiche italiane sono stati più o meno 10 milioni di euro (dati IFPI).
- Considerando il ricavo annuale per utente da parte di YouTube e Spotify, ovvero 1 dollaro per YouTube e 20 dollari per Spotify (fonte IFPI GMR2016), si giunge alla conclusione che il 13% di utenti che da YouTube finirebbero su piattaforme streaming premium genererebbe per il mercato italiano dello streaming un valore pari a circa 26 milioni di euro di ricavi con un incremento nel segmento streaming premium del 41%. Confermando ancora una volta gli effetti del “value gap”
Ricordiamo cos’è il value gap?
Il Value Gap descrive la crescente disparità tra quello che le piattaforme di upload, come YouTube, generano dall’utilizzo della musica ed i ricavi che tornano a coloro che lavorano per la creazione di quei contenuti musicali ed investono in essi
I servizi upload di streaming video beneficiando della errata applicazione dei safe harbour, comprendono la più ampia audience di servizi musicale, stimata intorno ai 900 milioni di utenti.
I ricavi determinati per gli aventi diritto attraverso questi servizi nel 2016 raggiungono i 553 milioni di dollari. In contrasto, una ben minore base di 212 milioni di utenti per i servizi on demand di audio streaming, che hanno negoziato le licenze su termini corretti, contribuiscono per oltre 3.9 miliardi di dollari.
Il value gap è considerato oggi come una delle maggiori minacce per lo sviluppo di una crescita sostenibile dell’industria musicale che ha investito nel cambiamento e nel rinnovamento per arrivare a ritrovare i primi segni di ripresa.
Quindi…
La ricerca annunciata da Google cerca ancora una volta di distrarre l’attenzione dal fatto che YouTube, sostanzialmente il maggiore servizio di musica on-demand nel mondo, non ha in realtà accordi di licenza per la musica basati su un principio equo che compensi adeguatamente artisti e produttori, e che lo ponga in un rapporto di leale concorrenza con tutte le altre piattaforme che operano proponendo la diffusione di contenuti musicali.
Le piattaforme che offrono servizi di caricamento da parte degli utenti come YouTube affermano di non dover negoziare alcuna licenza per la musica messa a disposizione o sottoscrivere licenze a livelli artificialmente ridotti, richiamando la regole sull’assenza di responsabilità (safe harbour) che vennero introdotte alle origini della rete internet in Europa e Stati Uniti.
Queste regole sono oggi applicate in maniera distorta. Furono infatti tese a proteggere gli intermediari esclusivamente passivi dai rischi di potenziali violazioni di copyright, e non furono certamente disegnate per esentare alcune piattaforme dal rispetto delle regole seguite invece da altre piattaforme musicali attivamente impegnate nella distribuzione di musica online. L’effetto oggi, è quello di generare una distorsione del mercato,determinare una condizione di concorrenza sleale e di privare di un’adeguata compensazione artisti e case discografiche. L’industria musicale è impegnata nell’ottenere una riforma legislativa per modificare tale anomalia. Non può protrarsi una situazione per cui alcune piattaforme digitali generano un rilevante business a spese del settore musicale e creativo solo grazie ad un “safe harbour”, un porto sicuro dove trovare rifugio e generare profitti grazie alla musica.
L’attuale proposta di revisione della Direttiva Copyright, presentata dalla Commissione EU e oggi all’esame del Parlamento di Strasburgo, prevede delle misure correttive che FIMI si augura possano essere adottate entro il 2017 per porre rimedio ad una pesante discriminazione.