di Marco Boscolo
Per l’8 marzo, Eurostat ha fatto nuovamente circolare i dati sulla differenza di trattamento economico per i lavoratori uomini e donne in Europa. Mediamente, negli Stati dell’Unione le lavoratrici, a parità di inquadramento e mansioni, guadagnano il 16% in meno dei loro colleghi maschi. Che significa che per ogni euro guadagnato da un uomo, una donna riceve solamente 84 centesimi.
Quello del gender pay gap è un tema che, nonostante il movimento #metoo e la maggiore attenzione mediatica che negli ultimi anni si sono guadagnate le questioni di genere, non è particolarmente sentito. Forse a ragione, perché Italia e Romania sono i due paesi dell’UE con la differenza più contenuta, attorno al 5%. I peggiori sono invece Estonia (più del 25%), Repubblica Ceca e Germania, entrambe attorno al 22%.
Quello che sorprende, trovando la Germania nella parte alta di questa classifica è che negli ultimi anni, seppure guidata da un cancelliere donna, ha fatto relativamente poco per migliorare la situazione. La mappa seguente mostra la differenza nel gender pay gap tra il 2011 e il 2016. La Germania lo ha ridotto solamente di 0,9 punti, passando da 22,4% a 21,5%. In termini comparativi, il miglioramento tedesco è di poco superiore alla media EU (0,6). Nonostante il miglioramento, la Germania ha mantenuto un indice ben maggiore della media EU (16,2%). Nel 2016, quindi, le lavoratrici tedesche guadagnavano 78,5 centesimi per ogni euro intascato dai maschietti, mentre in media le donne europee ricevono 83,8 centesimi.
Dobbiamo quindi stare tranquilli per quanto riguarda l’Italia? Se andiamo a guardare la tabella che divide il gender pay gap per fasce d’età scopriamo però che la fascia più diseguale nel nostro paese è quella delle lavoratrici sotto i 25 anni, con un indice pari a 16%: la peggiore situazione di tutta l’Unione Europea. Si tratta di un dato da osservare con attenzione, perché la tendenza è che con il passare degli anni all’interno del mondo del lavoro la forbice tra maschi e femmine si allarghi ulteriormente. Una nuova generazione di lavoratrici che parte con un tale handicap potrebbe portare a conseguenze ancora più preoccupanti.