Bruno Contrada non ha più la macchia dell’onta mafiosa nel suo curriculum di “super poliziotto”. Se fosse solo una affermazione da leggere, farebbe discutere, ma niente di più. La sentenza della Corte di Cassazione che ha revocato la condanna a 10 anni inflitta all'ex numero due del Sisde, accusato e precedentemente condannato per concorso in associazione mafiosa, invece, riapre la ferita di lunghi anni di prigione (tutti scontati) per un uomo, Contrada, che si è sempre definito “un servitore dello Stato”.
Bruno Contrada venne arrestato con l’accusa di concorso in associazione mafiosa il 24 dicembre del 1992, pochi mesi dopo gli attentati che costarono la vita ai Giudici Falcone e Borsellino ed alle donne e gli uomini delle loro scorte.
L’ordinanza di custodia cautelare che lo portò in carcere condensava e contestava a Contrada la vicinanza ai mafiosi, in particolare al boss Saro Riccobono, capo della cosca di “Partanna-Mondello” del capoluogo siciliano.
Il poliziotto, sin da subito, ebbe una vicenda giudiziaria discussa ed altalenante: in primo grado fu condannato a dieci anni, ma la sentenza fu ribaltata in appello e Contrada venne assolto. Quando la storia processuale sembrava chiusa, arrivò il “colpo di scena” della Cassazione: gli ermellini annullarono l’assoluzione con rinvio ed il processo tornò alla corte d’appello di Palermo che, il 25 febbraio del 2006, lo condannò a dieci anni. Così la sentenza divenne definitiva nel 2007 e Bruno Contrada, che era stato sottoposto a una lunga custodia cautelare in carcere, ritornò in cella, al netto di alcuni periodi scontati ai domiciliari per riconosciuti motivi di salute.
Il vero colpo di scena della vicenda Contrada, prima della decisione della Suprema Corte, arrivò due anni fa quando la Corte Europea dei diritti dell’Uomo condannò l’Italia a risarcire il “super poliziotto”, al quale nel frattempo era stata sospesa anche la pensione. I giudici europei spiegarono, in buona sostanza, che Bruno Contrada non doveva essere né processato né condannato perché, all’epoca dei fatti a lui contestati, il reato di concorso in associazione mafiosa non era “chiaro, né prevedibile”.
Ora la decisione della Corte di Cassazione per la quale la sentenza di condanna è "ineseguibile e improduttiva di effetti penali". Proprio quegli effetti che, se da un lato riportano indietro le lancette di 25 anni – dando ragione alle tesi difensive dell’avvocato Stefano Giordano -, dall’altro prospettano un maxi risarcimento per Contrada.
La vera domanda però rimane: chi ha trattato o favorito in quegli anni la mafia? Quali sono i servitori dello Stato che hanno tradito? In attesa delle risposte, Contrada è libero di riacquistare l’onore di “super poliziotto”.