Milano, 11 lug. - «Procederecon la riforma del regime di cambio dello yuan» e «aumentare la flessibilitàdel cambio dello yuan». Sono bastate queste formule, contenute in un annunciopubblicato in cinese e in inglese dalla People's Bank of China il 19 giugno,alla vigilia del G20 in Canada, a suscitare in tutto il mondo ondate di parerie reazioni di segno opposto. Da un lato, l'euforia di leader stranieri comeBarack Obama, che hanno espresso il loro entusiasmo per una mossa consideratauna prima apertura nella direzione di un rapido apprezzamento della monetacinese, a lungo invocato dagli Usa. Dall'altro lato, la frenata di molticommentatori cinesi e degli stessi organi di informazione direttamentedipendenti da Pechino, che si sono affrettati a spiegare alla popolazione chein realtà nulla cambierà, soprattutto sul fronte delle esportazioni. Di certoc'è che, con questo annuncio, è stato sancito il ritorno al regime di cambiodello yuan del 2005: la moneta, ancorata al dollaro fino a cinque anni fa, nel2005 fu legata a un paniere di monete straniere con la possibilità di oscillaredi valore a seconda dell'andamento del mercato entro determinati margini. Laregola, sospesa di fatto durante la crisi finanziaria, è così tornata valida. Maè sull'importanza della notizia che i pareri dei commentatori divergono.
Il22 luglio sul Shanghai Shangbao, YiXianrong, esperto di finanza dell'Accademia delle scienze sociali, spiega perquale motivo non bisogna attendersi grandi cambiamenti. L'annuncio della bancacinese, riassume il ricercatore, «ha provocato molte reazioni sul mercato nazionalee internazionale. Alcuni pensano si tratti semplicemente di un ritorno al regimedi cambio del 2005; altri di una risposta alle pressioni Usa. Tuttavia, illinguaggio usato dal portavoce della banca centrale è un linguaggiodiplomatico: nella sostanza, poco cambia». Come sottolinea Yi Xianrong, direche si procederà con la riforma del regime di cambio dello yuan non fa altroche «riaffermare i principi e i contenuti fondamentali della riforma del regimedi cambio che risale al 2005». Né l'accenno all'aumento dell'elasticità dovrebbetrarre in inganno: «che cos'è l'elasticità? Non è una fluttuazione verso l'altoe verso il basso? Rafforzare l'elasticità dello yuan vuol dire che puòapprezzarsi e deprezzarsi, e che questo non accade in seguito alle richieste diapprezzamento, ma è il mercato a deciderlo. Se invece l'elasticità equivalesseall'apprezzamento non sarebbe più elasticità». Inoltre, fa notare lo studioso, «labanca centrale ha dichiarato che "il tasso di cambio attuale dello yuan non haun margine di fluttuazione molto ampio"». Di conseguenza, sottolinea Yi, «lavolontà espressa non porterà necessariamente a una oscillazione del valoredello yuan al di sopra dei livelli raggiunti dal 2005». D'altra parte «se sivuole accelerare la ripresa dell'economia globale, bisogna proteggere il trenddi crescita dell'economia cinese, dunque la stabilità del cambio dello yuan èla risposta migliore. Credo che il governo cinese lo sappia molto bene»,aggiunge l'esperto. Per questo, la probabilità di un rapido mutamento del tassodi cambio dello yuan o di una ampia fluttuazione del suo valore «non è moltoelevata. Pechino non può decidere di apprezzare lo yuan a causa delle pressionialtrui. Il mercato cinese e quello internazionale devono comprendere questaposizione inequivocabile del governo cinese».
Ditutt'altro avviso Ye Tan, commentatore finanziario, come spiega sulle paginedel Nandu Zhoukan il 2 luglio. PerYe, l'annuncio della People's Bank of China rappresenta un cambiamento epocale:il segno che la Cinasta imboccando la strada di una nuova riforma. «Nei primi 30 anni di riforma,ci sono due interventi che sono stati rimandati: una è la riforma del regime dicambio dello yuan, l'altra la trasformazione della struttura economica cinese». L'annuncio del 19 giugno sarebbe l'inizio di una nuova era sul fronte monetario. «Il regime di cambio dello yuan è stato criticato sia in Cina che all'estero,ma sono le pressioni provenienti dall'estero ad essere diventate insostenibili. Pur avendo contribuito a stabilizzare l'economia dopo la crisi, la valutacinese è stata oggetto di critiche. I commentatori cinesi sottolineano che ladomanda interna non è ancora cresciuta abbastanza: anche se il valore dellevendite totali dei beni di consumo in Cina non è affatto basso, la domanda nonsi è espansa come avrebbe dovuto». L'economia cinese, infatti, fino al 2009 ha imboccato «lastrada delle esportazioni e degli investimenti». Ma negli ultimi anni «sonoemersi pericoli nascosti: i debiti dei governi locali, la fragilità deicapitali finanziari, le barriere al commercio con l'estero». Per questo,secondo Ye Tan, per continuare a svilupparsi nei prossimi dieci anni la Cina non potrà più contaresulla crescita di un'economia basata sugli investimenti e sulle esportazioni. Al contrario, bisognerà velocizzare l'internazionalizzazione dello yuan e passarea una economia basata sulla domanda interna e sull'attrazione degliinvestimenti». Purtroppo i rischi non mancano: «Molte piccole e medie impreseche si sostengono con le esportazioni rischiano la bancarotta a causa dellepressioni che spingono per una rivalutazione dello yuan. Inoltre,l'apprezzamento potrebbe portare a un aumento del costo della manodopera cinse,a una crescita dell'inflazione e a maggiori problemi nel controllare il settoreimmobiliare». Tuttavia, sottolinea Ye Tan, le difficoltà e l'intensità della nuovariforma che la Cinadeve imboccare non sono più grandi di quelle affrontate nei trenta anniprecedenti. «L'unica differenza è che oggi il maggiore problema è rappresentatodagli interessi di categoria. Per questo – invoca il commentatore – ènecessario ancora più coraggio e una determinazione ancora più ferma».
di Emma Lupano
Emma Lupano, sinologa e giornalista, cura per AgiChina24 una rassegna stampa bisettimanale volta a cogliere pareri autorevoli di opinionisti cinesi in merito a temi che si ritengono di particolare interesse per i nostri lettori
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