di Emma Lupano
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Pechino, 26 nov.- Che la crescita cinese stia rallentando è un fatto noto da tempo. Che la parola chiave del nuovo ordine economico sia la “nuova normalità” è stato ufficializzato, davanti a una platea internazionale, a inizio novembre, durante il vertice APEC a Pechino. E che il nuovo andamento non sia da temere è il leitmotiv degli editoriali sull’argomento pubblicati nei giorni successivi.
Lo afferma per esempio il 14 novembre sulla rivista Caijing il capo economista di Mizuho Securities Asia, Shen Jianguang, in un lungo articolo che punta a rassicurare sulla solidità dell’economia cinese. “L'accelerazione della riforma realizzata dalla Cina negli ultimi due anni non è stata affatto semplice, nel contesto del globale rallentamento. Mentre l’economia mondiale sta vivendo una fase di normalizzazione, però, la Cina corre rischi minori di quelli che minacciano le economie di altri paesi”.
Shen ricorda le tre caratteristiche principali della “nuova normalità” cinese, così come le ha descritte Xi Jinping al discorso di apertura dell'APEC: il “passaggio da una crescita ad alta velocità a una crescita a velocità medio-alta”; il “continuo miglioramento e adeguamento della struttura economica”; e la transizione “da un’economia basata sugli investimenti a un’economia basata sull’innovazione”.
L’economista si dilunga in numeri e considerazioni, ma il suo argomento di fondo è questo: “Non bisogna guardare con pessimismo al rallentamento della crescita economica. Bisogna guardare alla nuova normalità economica con una nuova mentalità”, perché anche se l’economia cinese sarà lasciata libera di rallentare, “la crescita della nostra economia rimarrà considerevole. Anche si attestasse sul 7 per cento circa, sarà comunque tra le migliori performance economiche del mondo”.
La Cina, continua Shen, è infatti ancora “il capofila dei paesi in via di sviluppo e guida la crescita dei mercati emergenti”. Inoltre, “molti paesi hanno ora bisogno di riforme strutturali del proprio sistema. La Cina è un passo avanti perché le nostre riforme stanno già accelerando. E la nuova normalità economica dovrebbe lasciare più spazio proprio a questi cambiamenti”.
Lo stesso giorno, sul Renmin Ribao, esce invece un editoriale della redazione che, sempre a partire dal discorso di Xi Jinping, affronta la questione dei governi locali. Votate alla causa della crescita del Pil come strumento di affermazione del territorio nel contesto nazionale e di carriera per i quadri che le guidano, molte province sono infatti restie ad abbracciare la politica della “nuova normalità”, nel timore che un peggioramento delle propria performance economica abbia conseguenze negative.
Dopo che “al vertice APEC il presidente Xi Jinping ha analizzato il concetto di nuova normalità dell'economia cinese, una parte delle province ha corretto al ribasso i propri obiettivi di crescita del Pil nel 2014 e nell’ambito del XII piano quinquennale. Mancano solo due mesi alla fine del 2014 e il 2015 sarà l'anno del bilancio del XII piano”.
Il quotidiano del partito comunista rileva la precarietà su cui si basa l’elevata crescita del Pil in alcune parti del paese: “Per i primi tre trimestri di quest'anno, l'economia di molte province si è mantenuta su livelli ragionevoli, dando confidenza crescente. Ma gli ostacoli di contagio ci sono ancora e, nelle province in cui l'industria tradizionale ha molto peso, l’intero territorio rischia di essere messo in ginocchio dalla crisi di anche una sola grande azienda”. Per mantenere i livelli di crescita del passato, inoltre, “alcuni quadri provinciali hanno gonfiato i numeri, prendendo in giro se stessi e gli altri”.
Oggi tutto deve cambiare, dice l’editoriale che è un chiaro messaggio rivolto ai leader locali. “In un momento in cui sta cambiando la marcia della crescita economica, dobbiamo guardarci da chi è ancora legato all'idea di non doversi arrendere alla riduzione del Pil, dagli irriducibili del rallentamento. Dobbiamo preparaci a combattere una lunga battaglia. Gli indicatori della velocità dell'economia devono essere in linea con gli andamenti reali”.
Le autorità centrali del resto, dice il Renmin Ribao, hanno spesso affermato con chiarezza che “per mantenere l’equilibrio tra uno sviluppo sano e l’aumento della produzione totale non bisogna semplicemente glorificare il Pil” e che “la riduzione della crescita è un obiettivo prefissato” e quindi il “risultato di una regolazione macroeconomica”. Nonostante la coerenza delle direttive nazionali, però, “alcuni quadri locali si preoccupano del fatto che rallentare il tasso di crescita non è bello né a dirsi né a vedersi. Un punto di vista che – sferza l’editoriale – non è necessario, perché la gente non si cura se i dati sono belli. Alla gente interessano cose concrete: se c’è la possibilità di fare affari, se ci sono soldi da guadagnare, se è facile continuare gli studi, se è semplice andare dal medico. Il governo deve andare nella direzione in cui vanno i desideri del popolo. Prendere in mano la riforma, accelerare il cambiamento e portare beneficio alla gente sono azioni strettamente connesse”.
L’editoriale conclude affermando che in realtà “gli alti quadri provinciali che sono veramente attaccati ai numeri del Pil sono pochi”, mentre “la maggior parte si concentra sulle riforme”. Eppure il dubbio rimane: se gli irriducibili della crescita fossero così sparuti, l’appello del Renmin Ribao non sarebbe necessario. Invece l’articolo si chiude con una domanda che è un tentativo di persuasione: è meglio “correre troppo rapidamente e spendendo troppe energie, oppure rallentare quanto basta per correre ancora meglio, e ancora più lontano”?
26 novembre 2014
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