Presidente della Camera di Commercio Europea in Cina,a Roma per presentare l'edizione 2011/2012 del "China's  Position Paper" che illustra luci e ombre dei rapporti economici tra la Cina e la Vecchia Europa

Presidente della Camera di Commercio Europea in Cina,a Roma per presentare l'edizione 2011/2012 del "China's  Position Paper" che illustra luci e ombre dei rapporti economici tra la Cina e la Vecchia Europa

Roma, 28 set. - Intervistiamo Davide Cucino, presidente della Camera di Commercio europea in Cina, a Roma per presentare l'edizione 2011/2012 del "China's  Position Paper" che illustra luci e ombre dei rapporti economici tra la Cina e la Vecchia Europa.

Gli obiettivi fissati dal governo cinese nel XII piano quinquennale - ridurre la dipendenza dell'economia cinese dagli investimenti e dall'export e sviluppare maggiormente il mercato interno - non sempre trovano corrispondenza nelle norme applicate di investimenti stranieri. Quali i settori che ne risentono di più?  

Nel Position Paper di quest'anno abbiamo voluto individuare alcuni punti deboli della politica economica della Cina verso gli investimenti stranieri. Sicuramente ancora manca una certa libertà nell'operare nel mercato, e la prima richiesta che abbiamo fatto è stata proprio quella di abbattere alcune barriere. All'interno di questa richiesta si possono indicare alcuni settori particolari. Tra questi, senz'altro le telecomunicazioni , le energie rinnovabili, l'automotive. In particolare quest'ultimo subisce oggi limitazioni non solo per quanto riguarda la produzione di automobili con il massimo del 50% di proprietà da parte dell'investitore straniero; a partire dalla produzione dei veicoli di nuove energie, anche la componentistica subirà questi limiti. Sono diversi, quindi, i settori 'penalizzati': alcuni ce li portiamo dietro da impegni in sede Wto risalenti a dieci anni fa, altri sono nuovi.

L'Europa è il maggior partner commerciale della Cina, ma al tempo stesso il deficit commerciale tra Cina e Europa ha raggiunto quota 168.8 miliardi di euro spingendo Bruxelles ad intraprendere numerose azioni anti dumping  contro la Cina. Mentre da un lato Pechino s'infuria, tra le società Eu cresce lo scontento per le barriere che vengono poste all'ingresso di beni di servizio europei. Le compagnie europee possiedono le caratteristiche necessarie per contribuire allo sviluppo della Cina?

Lo fanno già, basti pensare che in realtà un buon 50% di questo export cinese verso il resto del mondo è fatto da prodotti di società straniere che hanno investito in Cina. Il deficit per noi rappresenta, tutto sommato, un problema limitato. A mio avviso anche la questione relativa alle dispute in sede di Organizzazione Mondiale del Commercio è un problema che va ridimensionato: il numero delle dispute relative a situazioni di antidumping sono limitate rispetto al volume di affari tra i due paesi. Quindi credo che le società europee da un lato cerchino di aumentare la loro presenza  - sentendosi in diritto e in dovere di porre questioni quando incontrano barriere al loro ingresso nel mercato -, dall'altra credo che siano soddisfatte per i risultati che in questi anni hanno ottenuto in Cina.

Restando in tema di attriti commerciali, una nuova controversia schiera Usa e Cina in questi giorni al tribunale del WTO. Washington dichiara guerra ai dazi cinesi sui polli, e a Pechino il nuovo ambasciatore americano Gary Locke ha spiegato come gli ostacoli posti a Pechino all'ingresso degli imprenditori cinesi sul mercato cinese non solo "piantano - cito Gary Locke –il seme del dubbio nelle menti degli investitori riguardo l'accoglienza che riceveranno nel paese, ma generano anche frustrazione e risentimento". Qual è il suo commento?

Come dicevo prima, dobbiamo cercare di avere una visione più ampia. È chiaro che alcuni settori risentono in maniera maggiore di queste politiche di chiusura del mercato da parte della Cina. È anche vero però che, secondo la Camera di Commercio europea, il miglior modo per risolvere questi problemi è mettere nero su bianco un'agenda di priorità: non è possibile risolvere i problemi tutti in una volta, occorre stabilire i temi più urgenti.

Secondo quanto riportava il Financial Times la settimana scorsa, il governo italiano è in trattativa con la Cina per l'acquisto di una quota significativa del debito pubblico italiano, un'indiscrezione che il fondo sovrano cinese non ha  ancora confermato. Nel frattempo la Cina si aspetta una contropartita in cambio del suo aiuto alla crisi del debito pubblico europeo; la Cina si aspetta che l'Europa le riconosca lo status di economia di mercato prima dei tempi previsti dal WTO nel 2016, "in segno di amicizia" ha detto Wen Jiabao. Qual è la posizione della Camera di Commercio europea.

L'auspicio della Camera è che l'impegno della Cina sia fattivo in un momento così drammatico per tante parti del mondo. D'altra parte la Cina ha assolutamente bisogno di assumersi questo impegno, perché un'Europa debole, con società che chiudono e gente che resta senza lavoro, è un'Europa che non serve alla Cina. Questo paese, come sappiamo, sta mutando alcuni dei suoi driver economici; da un'economia votata all'esportazione sta cercando di incrementare i consumi interni. Ma questo non si compie nell'arco di una notte, e oggi i problemi cinesi hanno ancora bisogno di trovare uno sbocco. Quanto alla questione dello status di economia di mercato, torno a ribadire l'importanza di fissare un' agenda di priorità. Noi crediamo che si possano identificare delle forme flessibili per trovare un accordo su questo tema, nella fattispecie individuare le priorità di cui l'Europa ha bisogno affinché le sue industrie entrino in maniera diversa e migliore nel mercato cinese. Dall'altra parte, un'agenda di priorità per i cinesi che consentano alla Cina di poter conseguire questo status che tutto sommato, per tutta una serie di miglioramenti e situazioni accorsi negli dieci anni, potrebbe essere concesso.

Come vedrebbe l'arrivo dei cinesi in Italia come investitori? Il presidente di Confindustria Mercegaglia giorni fa ha lasciato un avvertimento: "facciamo attenzione a che ci siano condizioni di reciprocità".

A mio avviso oggi non possiamo fare a meno di alcuni impegni cinesi nel nostro paese, tanto quelli di natura finanziaria che quelli più votati all'industria. Sono molti gli esempi recenti, sia in Italia che negli altri Paesi europei, in cui i cinesi intervengono addirittura in capitali di aziende in forma minoritaria. Questa è una soluzione, ma anche la forma maggioritaria andrebbe bene qualora i cinesi non fossero d'accordo a entrare come azionisti di minoranza. Noi siamo per il mercato aperto non solo in Cina, ma anche nel resto del mondo.

Il declassamento del rating italiano da parte di S&P non comprometterà il sostegno della Cina, lo ha reso noto il portavoce del ministro degli Esteri cinesi. Intanto però la Banca centrale cinese ha bloccato gli swap di valuta con le banche europee. Qual è la posizione della Cina?

La Cina sicuramente si sta comportando in maniera accorta, ma non lo sta facendo da questa settimana, ossia da quando le agenzie di rating sono più rigide nei confronti del debito pubblico di alcuni paesi o della situazione di alcune banche. I cinesi si sono sempre mossi con prudenza, e visto quello che è successo dal 2008 ad oggi, ritengo che stiano agendo nella maniera giusta.

Molti in Cina vedono l'impiegare per il salvataggio dell'Europa, denaro che è stato guadagno con il sudore della gente con un reddito annuo di 4mila dollari, un sacrilegio. Lo affermano moltissimi internauti cinesi - su Weibo o Sina.com -ma anche il presidente della Banca Mondiale.

Secondo me vale un po' la ragion di stato. Probabilmente a quei livelli, i blogger non si rendono conto che sarebbe molto peggio se la Cina a livello mondiale non si impegnasse.

di Alessandra Spalletta

 

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