AgiChina24 pubblica in anteprima la trascrizione della video-intervista a Jian Zhang, docente di Scienza Politica presso l'Istituto di Affari Governativi dell'Università di Pechino. La video-intervista è stata proiettata nel corso del convegno "Dentro il 'Modello Cina': quadro politico e sviluppo economico" il 03 novembre scorso.
Pechino, 02 nov. - Professor Jian Zhang, la prima domanda che vorrei porle riguarda la situazione attuale della politica interna cinese. Pochi giorni fa ha avuto luogo l'ultimo Plenum del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese e contemporaneamente Xi Jinping è stato nominato vice presidente della Commissione Militare Centrale. Come descriverebbe la situazione della politica interna cinese di oggi alla chiusura di questo Plenum?
La promozione di Xi Jinping era stata prevista da tempo. Si sapeva che, prima o poi, avrebbe ricoperto quella posizione. In questi termini, pertanto, il fatto che Xi Jinping sia salito sulla poltrona di vice presidente della Commissione Militare Centrale non sorprende affatto, ma dice molto sulla situazione della nostra politica interna. È interessante notare, invece, che poco prima di questo V Plenum, il primo ministro Wen Jiabao abbia pronunciato una serie di discorsi concedendosi ai media nazionali e stranieri.
Sì, a Shenzhen e in un'intervista rilasciata a Fareed Zakaria sulla CNN.
Esatto. Discorsi in cui ha parlato di una sorta di riforma politica pro-democrazia, o meglio, di una specie di riforma politica orientata verso una maggiore libertà e una maggiore democrazia. In realtà, prima del V Plenum, l'interrogativo più grande non riguardava la promozione o meno di Xi Jinping, poiché si sapeva che sarebbe avvenuta: le aspettative maggiori della popolazione risiedevano piuttosto nell'appurare se i discorsi del primo ministro si sarebbero concretizzati. Al contrario, come mi sembra sia il caso, nessuno dei pronunciamenti di Wen Jiabao sulla libertà e sulla democrazia ha portato a una qualsivoglia azione reale durante il Plenum. Di fatto quest'ultimo si è incentrato sul Dodicesimo Piano quinquennale e su come promuovere la cosiddetta minsheng, vale a dire il benessere del popolo, mentre neanche una parola è stata spesa sulla riforma politica. L'unica frase che può essere intesa come una proposta politica è da rintracciarsi nell'intenzione di rafforzare il "social management" ovvero "l'amministrazione della società", in cinese shehui guanli 社会管理. Non si è nemmeno parlato di "rule of law" e "rule by law". La democrazia non è mai neppure comparsa. Quindi direi che il Plenum è stato una grossa delusione per tutti coloro che si aspettavano che Wen Jiabao divenisse il leader pro-democrazia in Cina. Per quanto riguarda Xi Jinping, ribadisco che non c'è stata alcuna sorpresa. È trascorsa circa una settimana dal Plenum e penso che, in generale, l'atmosfera in seno alla società sia questa: "Nessuna sorpresa, e allora?". Penso che sia stata questa la risposta della popolazione al V Plenum.
Quindi nessuna sorpresa e delusione perché le parole di Wen Jiabao non hanno avuto seguito. Qual è dunque la sua visione circa le ragioni che hanno spinto Wen Jiabao ha pronunciarsi, a rilasciare l'intervista a Fareed Zakaria menzionando chiaramente e direttamente il bisogno di maggior democrazia? Perché?
Chi lo sa. Penso che nessuno conosca le politiche di Zhongnanhai. La conoscenza di chi è al di fuori si basa più che altro su voci e congetture. In qualità di studioso sento però di potere fare delle supposizioni circa il perché Wen Jiabao abbia pronunciato quei discorsi. Un'ipotesi molto diffusa circa le ragioni del discorso di Wen Jiabao è che il primo ministro voleva unicamente farlo prima che il Premio Nobel venisse assegnato a Liu Xiaobo. Una sorta di "campagna promozionale" rivolta al Comitato per il Premio Nobel per la pace in Norvegia. Come a dire "non date il premio a un tipo che abbiamo appena condannato a 11 anni di prigione, perché ora stiamo parlando di democrazia, solo, dateci ancora qualche anno." Stando a questa teoria, quello di Wen Jiabao sarebbe stato in sostanza una sorta di attacco preventivo.
"Per favore non fateci pressioni e noi troveremo un modo lecito per fare pressioni su di voi".
È un'ipotesi, non sono se sia vera o no. Un'altra ipotesi riconosce invece maggiore finezza a Wen Jiabao. Sappiamo che si ritirerà fra due anni, cioè dopo il XVIII Congresso del Partito previsto per il 2012. In qualche modo, supponendo che Wen Jiabao sia una persona sensata, un politico che sa fare i suoi calcoli, potrebbe darsi che il suo discorso pro-democrazia e pro-riforme sia solo un modo per lasciare una qualche eredità politica per il futuro. È già una delle persone più potenti in questo Paese e nel mondo, e forse vuole essere ricordato anche dopo le sue dimissioni. Ha fatto molto come Primo Ministro, è stato fondamentalmente il timoniere dell'economia cinese per quasi dieci anni, ed ora vuole aggiungere un colore politico alla sua eredità. Ribadisco, questa è solo un'ipotesi sul perché Wen Jiabao abbia agito così, un'ipotesi basata su una conoscenza generica riguardo ciò che i politici vogliono. Generalmente, infatti, presumiamo che nelle democrazie occidentali i politici vogliano voti. Qui in Cina, invece, non abbiamo nessun problema di voti, ma abbiamo il problema dell'eredità. Wen non è un candidato papabile per un nuovo premierato perché sappiamo che non può occupare nuovamente la carica, ma forse vuole aggiungere un contenuto politico alla sua eredità.
Qualche altra ipotesi?
Altre ipotesi sono pure supposizioni che riguardano le fazioni politiche al vertice. Sono questioni sulle quali non sono molto ferrato e quindi preferisco non pronunciarmi a riguardo.
Dopo il premio Nobel a Liu Xiaobo abbiamo assistito ad una reazione piuttosto dura da parte della Cina. Come pensa che questo Nobel possa influenzare la politica interna cinese?
Credo che abbia già influenzato la politica interna perché immediatamente dopo l'assegnazione del premio alcuni cinesi con opinioni differenti da quelle del governo sono stati arrestati, sono sotto sorveglianza o sono stati sottoposti ad altre forme di limitazione della propria libertà. Se a Liu Xiaobo non fosse stato assegnato questo riconoscimento ciò non sarebbe avvenuto, per cui gli effetti del Nobel sono già visibili. È un'inezia, ma in un quadro generale direi che il governo cinese abbia in qualche modo "selezionato con cura" Liu Xiaobo quale leader dell'opposizione, perché senza la sentenza di undici anni è molto difficile immaginare che i norvegesi avrebbero assegnato il premio proprio a lui. Possiamo scorgere un collegamento causale fra gli undici anni della sentenza e il premio Nobel. Forse il governo non aveva realizzato che gli occidentali, e in particolare il Comitato norvegese per il premio Nobel, avrebbero reagito in questo modo. Direi pertanto che da un punto di vista di puro pragmatismo politico, il governo cinese abbia preso una cattiva decisione. È una situazione che, per certi versi, possiamo accostare al caso di Nelson Mandela, o a quello di Kim Dae Jong nella Corea del Sud, ma solo per quanto riguarda la configurazione del potere. La situazione sociale è certo differente, ma in generale si tratta di casi in cui sussiste una lotta di potere tra il governo e ogni opposizione, così come accade in Cina. Liu Xiaobo è il leader dell'opposizione perché così hanno deciso i suoi detrattori, nella fattispecie il governo cinese, ed è per questo che ritengo che gli interventi di Wen Jiabao siano stato il frutto di una cattiva decisione. A mio parere, credo che, alla lunga, vi siano alte possibilità che tutti i dissidenti cinesi o tutti quelli che semplicemente non sono soddisfatti di questo Paese senza essere necessariamente dissidenti politici, vengano gradualmente associati alla causa di Liu Xiaobo. Ora hanno il simbolo, ora hanno una bandiera, ora hanno un leader. A lungo andare l'assegnazione del Nobel per la pace a Liu Xiaobo potrebbe diventare – tutto dipende da quali saranno gli sviluppi futuri – uno spartiacque nello sviluppo della politica interna cinese.
Come Lei ha ricordato, nel 2012 ci sarà una nuova generazione di politici e di leader e Wen Jiabao non sarà più Primo Ministro. Come pensa che questa nuova generazione potrà reagire a tutta questa nuova gamma di opinioni che si stanno diffondendo in Cina e non? E dobbiamo aspettarci una reazione più morbida oppure più dura?
Predire il futuro è sempre pericoloso, specialmente per un accademico, ma mi lasci fare una supposizione. L'ipotesi più ragionevole è che il governo cinese reagirà ai cambiamenti sociali con misure ancora più dure. Come ho poc'anzi ricordato, in seno al Comitato del V Plenum non è stata menzionata alcuna riforma politica ma solo il rafforzamento della "amministrazione" della società, per la quale è stata coniata la nuova espressione "shehui guanli", di cui si parlava prima. In altre parole, il Partito vuole rafforzare il controllo sulla società. Apparentemente il governo è ancora sicuro di poter controllare la situazione, è in grado di tenere sotto controllo tutte le novità all'interno della società – come manifestazioni o altri tipi di azioni di dissenso da parte della società civile – in alcuni casi anche reagendo. Questo almeno è quanto i governanti pensano, sicuri di poterlo fare. Perché dico che la direzione della nuova leadership sarà quella di intraprendere misure più dure in risposta alla nuova situazione sociale? Perché quella che il governo sta mettendo insieme non è una leadership politica maggiormente pro-cambiamento e pro-riforme. Sappiamo tutti che Xi Jinping diventerà il nuovo leader supremo, e questo è molto, molto simbolico per l'intero Paese perché tutti sappiamo che Xi Jinping è il figlio di una vecchia guardia rivoluzionaria.
Un Principe Rosso.
Sì, si può dire così. Le possibilità che molte persone con un simile background a far parte del Comitato Permanente dell'Ufficio Politico sono molto alte. Questo è quindi un forte messaggio per tutti: "Abbiamo intenzione di rimanere attaccati alle nostre tradizioni e al nostro 'uomo di casa', piuttosto che immettere forze nuove nei vertici della nostra dirigenza". Un paragone molto interessante può essere fatto fra la cosiddetta quarta generazione e la quinta generazione che sta arrivando. Se a capo della quinta generazione del PCC c'è Xi Jinping e altri figli o nipoti di vecchie guardie rivoluzionarie, non possiamo dire lo stesso della quarta generazione, quella di Hu Jintao e Wen Jiabao, i cui padri erano dei signor nessuno. Hu e Wen erano davvero delle persone comuni e sono riusciti a salire ai vertici del PCC. Direi che nel 2002, durante il XVI Congresso del Partito, si era nutrita una ragionevole speranza che il Partito stesse andando verso una democratizzazione.
Quindi il Congresso del 2002 è stato in qualche modo più moderno di quello del 2012?
Possiamo dire così, sì. Viviamo in un altro tempo e in un altro spazio. Il tempo non sempre è lineare, possiamo viaggiare in avanti e indietro nella storia. Direi che, dieci anni dopo il XVI Congresso del Partito, se tutto andrà come pianificato, si tratterà di un passo indietro da un punto di vista storico. E a costituire la nuova leadership ci ritroveremo i figli e le figlie, i nipoti e i generi di qualcuno. Questo è ironico davvero se si considerano tutte le speranze e gli ottimismi circa le èlite politics del Partito Comunista Cinese. Vedo all'orizzonte un ritorno al passato.
In alcuni Paesi occidentali riscontriamo che alcuni sostenitori delle politiche cinesi sono guidati dal fascino che il "modello Cina" esercita su di loro, specialmente per quanto riguarda l'economia. Dall'altra parte troviamo accademici e analisti convinti che il governo cinese non possa contare ancora a lungo sulla sola crescita economica. Lei pensa che questo cosiddetto "modello Cina" cambierà a breve in qualche modo, ad esempio nel sistema previdenziale e sanitario?
Innanzitutto non direi che esiste un "modello Cina", non sono d'accordo su questo. Non sono un economista, ma alcuni ottimi studiosi di economia sostengono che il successo economico della Cina degli ultimi trenta anni sia dovuto al fatto che, più o meno, ha seguito il cosiddetto "Washington consensus". La liberalizzazione del mercato del lavoro e di tutti i tipi di aziende in campo economico, una certa deregolamentazione dell'economia pianificata, i passi compiuto verso l'economia di mercato di altri Paesi: ecco l'origine del miracolo economico cinese.
Come Lei ha detto, però, le riforme economiche non sono state seguite da nessuna riforma politica sostanziale.
Se lei vuole sapere se penso che ci siano discrepanze tra le riforme economiche più o meno favorevoli all'apertura del mercato e l'adesione politica a un regime rigido di stampo stalinista, allora sì, la mia risposta è sì. Se vuole prendere tutte queste discrepanze, metterle insieme e dargli il nome di "modello Cina", allora sì, esiste un "modello Cina". Ora, questo modello è sostenibile? Io penso di no. In realtà, persino in termini puramente economici, il cosiddetto miracolo economico cinese non è poi così miracoloso se si considerano tutte le risorse naturali che vengono svendute. Il nostro territorio è sottostimato, la gente non dà nessun valore all'ambiente. Chi vive a Pechino conosce tutti i problemi derivanti dall'inquinamento atmosferico e dal traffico. Perciò se teniamo conto di tutte le perdite in termini di aria e acqua pulita, di circolazione stradale, di ambiente naturale, c'è da chiedersi se il livello di produzione economica raggiunto dalla Cina sia davvero così desiderabile. Lasciando da parte l'ambiente, consideriamo un altro fattore, quello umano. Naturalmente, alcuni tra i migliori esperti di studi sulla Cina sostengono che la Cina può permettersi questo ritmo di sviluppo grazie a un totale disinteresse per i diritti umani. Per esempio questo nuovo edificio alla moda che ci ospita è stato costruito sfrattando o trasferendo le persone che ci vivevano senza dare loro nulla in cambio o proponendogli un indennizzo irragionevolmente basso. E' grazie a questo che ora abbiamo tutti questi centri commerciali alla moda. Non sappiamo neppure se la crescita economica sia umanamente desiderabile. Ecco l'altra faccia della medaglia di quello che definiamo "successo economico". È c'è ancora un altro aspetto della crescita, è quello che riguarda il grande cambiamento della natura stessa della crescita economica cinese. La mia opinione personale è che fino alla fine degli anni Novanta la Cina sia stata molto vicina a quello che gli economisti chiamano "condizione di massimo vantaggio" e che le condizioni di vita di tutti siano in qualche modo migliorate. Per qualcuno sono migliorate di più, per altri di meno, ma nessuno ha visto peggiorare il proprio livello di vita. Questa è la storia delle riforme economiche della Cina fino al 1995, 1998 circa. Da qual momento in poi la crescita cinese ha continuato a mantenersi stabile, tenendosi sempre a una certa velocità – intorno al 10% – ma ora qualcuno inizia a non trarre assolutamente alcun vantaggio dalle performance dell'economia. Pensiamo ad esempio a tutti i contadini costretti a separarsi dalle loro famiglie.
L'ultimo resoconto dell'Istituto Nazionale di Statistica cinese mostra che la differenza tra le città e le campagna non è mai stata così grande.
Direi che durante l'epoca maoista in Cina vigeva una parità quasi commuovente mentre ora c'è una disparità drammatica. Come ha appena detto, il rapporto tra i ricchi e i poveri non è mai stato cosi impari. L'economia cinese sta crescendo molto velocemente ma non tutti traggono benefici da questa crescita. In realtà, per quanto concerne l'aspetto della distribuzione e ridistribuzione della ricchezza, sempre più persone – non dico la maggioranza, ma sicuramente una fetta sempre più grande della popolazione – dimostrano un malcontento nei confronti della riforma economica e lamentano che il benessere proprio e quello della loro famiglia non migliori nonostante una crescita del 10% annuo. La crescita è stabile ma è sempre più insoddisfacente per un numero crescente di persone.
Con ripercussioni negative sulla vita quotidiana della gente normale.
Con ripercussioni, direi, sulla classe media e medio-bassa. In Cina l'economia sta diventando per qualcuno. In altri termini si potrebbe dire "Io guadagno perché tu perdi. Io divento ricco perché rubo i soldi a te". Non è più una questione di deregolamentazione O DI REGOLAMENTAZIONE?, o di liberalizzazione del mercato. Oggi ognuno può migliorare la propria condizione personale. La storia è completamente cambiata.
Se questo modello non è sostenibile, come può la nuova generazione di politici renderlo di nuovo sostenibile?
Questo dovrebbe chiederlo a loro.
Mi piacerebbe.
Credo di avere due grandi certezze riguardo al potere coercitivo che hanno tra le loro mani. Oserei dire che i politici hanno una sorta di "culto" riguardo alla crescita economica. Non parlano mai esplicitamente del fatto che, di fatto, per un numero crescente di persone la questione della ridistribuzione della ricchezza nazionale è diventata sempre più importante rispetto alla semplice crescita economica. Secondo me siamo ancora rinserrati nelle convinzioni di trent'anni fa: se l'economia fosse cresciuta, tutti sarebbero stati felici e il miglioramento economico si sarebbe tradotto in sostegno politico, o meglio in una legittimazione politica. I politici non hanno detto che, in realtà, la natura della crescita economica è già mutata e a un numero crescente di persone piace sempre meno essere "comprate" dai giochi economici.
di Antonio Talia
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