Pechino, 15 lug. - Nel 2009, i tribunali cinesi hanno ricevuto 11.378.875 domande giudiziali in primo grado e 10.544.736 domande di esecuzione forzata. Delle cause concluse, il 62% è stato risolto con la conciliazione.
Quasi a riproporre l'antichissima contrapposizione tra le scuole di pensiero del Confucianesimo e del Legismo (periodo delle Primavere ed Autunni, meta' del V secolo a.C.), la storia della Nuova Cina ha vissuto dal 1949 la costante dell'alternanza e della concorrenza tra due modelli antitetici di controllo sociale: l'uno si fonda sulle norme codificate e sull'ordinamento giuridico, l'altro su una sostanziale disistima del diritto.
L'ordine cosmico confuciano implica l'armonia nei rapporti tra uomo e natura e nelle relazioni sociali tra individui, per le quali è fondamentale la conciliazione. La legge non è lo strumento normale di risoluzione delle controversie sociali e i procedimenti giuridici esasperano i fattori di discordia e perpetuano la disarmonia. I Legisti invece riconoscono una accentuata conflittualità nelle relazioni sociali, che necessita di essere regolata dal diritto codificato e positivo.
Sull'ordine sociale informale e confuciano, si innesta la 'legge della rivoluzione' di Mao, e la preferenza del Grande Timoniere per la 'linea di massa', che culminerà negli errori pubblicamente riconosciuti della Rivoluzione Culturale, durante la quale la giustizia rivoluzionaria e la chiusura di tribunali e facoltà universitarie annulla di fatto il sistema legale cinese.
La riforma di Deng, avviata nel 1978, riporta il diritto al centro del sistema di ordine e controllo sociale, perché nel nuovo corso economico è necessario garantire la sicurezza dei cittadini e la stabilità dello Stato. Il sistema di pianificazione centrale e di ordini amministrativi ha lasciato lentamente spazio a forme di organizzazione della vita economica simili a quelle dei paesi occidentali.
Se, inizialmente, era il numero di leggi promulgate ad aumentare (in sostanza, prima dell'ingresso della Cina nell'OMC, 2001), più di recente il sistema cinese si è concentrato sulla qualità della legislazione e la sua applicazione. E il numero di contenziosi giudiziali, che cresceva a ritmi del 10% fino alla fine degli anni Novanta, ha rallentato la sua corsa.
La Cina sembra entrata in una fase di sviluppo più stabile e ordinato. La crescita del numero di cause davanti ai tribunali nei primi vent'anni di riforma è stata dovuta anche al fatto che, nella Cina maoista, i contenziosi venivano risolti a livello di unità di lavoro e comitati di villaggio, o amministrazioni competenti, senza arrivare ai tribunali. Nella riforma economica, tale sistema alternativo di risoluzione delle controversie è andato scomparendo, con lo smantellamento delle comuni e delle unità di lavoro, e una sempre maggiore mobilità sia degli individui che delle operazioni economiche all'interno del Paese. I cittadini e gli imprenditori, grazie a continue campagne di propaganda e educazione, sono sempre più coscienti dei propri diritti e dei modi in cui questi possono essere tutelati, perlomeno nei grandi agglomerati urbani.
Le Corti del popolo si sono lentamente sostituite ai quadri di partito residenti, nelle funzioni di conciliazione. I risultati degli sforzi di mediazione hanno visto vicende alterne, fino a quando nel 2004 il richiamo del governo centrale alla costruzione di una società armoniosa (e numerosi incentivi ai giudici che portano le parti alla conciliazione) hanno ridato impulso all'istituto.
Sempre crescenti, nonostante gli appelli all'armonia, e in contrasto con il trend generale, sono invece le cause di lavoro, che - prima di giungere in tribunale - devono essere giudicate da apposite commissioni arbitrali distrettuali.
Accanto all'armonia sociale e ai metodi alternativi di risoluzione delle controversie, si discute invece se mantenere il sistema, anch'esso risalente alla Cina imperiale, delle petizioni e visite di richiesta da parte dei cittadini, che era utilizzato anche nella Cina di Mao, per costruire il contatto diretto con le masse. La parte meno istruita della popolazione e coloro che vivono nelle zone remote del Paese, i quali hanno meno familiarità con l'ordinamento giuridico e temono maggiormente la corruzione e le ineguaglianze del sistema locale, hanno largamente utilizzato tali mezzi di doglianza. Le petizioni riguardano in gran parte espropri, problemi ambientali, ristrutturazione di imprese statali in cui i dipendenti siano stati trattati ingiustamente, etc.
E con le grandi riforme economiche, e l'inevitabile crearsi di disuguaglianze sociali, si è affacciata nell'ordinamento giuridico cinese anche la contrapposizione Stato/individuo, finora inconcepibile, sia nel pensiero confuciano che nel maoismo.
di Sara Marchetta
Sara Marchetta si è laureata in Lingua e Cultura cinese presso l'Università Ca'foscari di Venezia nel 1994, e successivamente ha frequentato un corso avanzato di giurisprudenza presso la Facoltà di Legge dell'Università di Pechino (1994-98). Nel 2002 si è inoltre laureata in Legge presso l'Università di Parma ed è attualmente membro del Bar Association di Piacenza. Dal 1997 al 2008 ha lavorato per Birindelli e Associati come managing partner dello studio di Pechino. Oggi Sara Marchetta è senior associate dello Studio Legale Chiomenti a Pechino. Diritto aziendale è la sua area di competenza. Madrelingua italiana, parla fluentemente inglese e cinese mandarino.
La rubrica "La parola all'esperto" ha un aggiornamento settimanale e ospita gli interventi di professionisti ed esperti italiani e cinesi che si alternano proponendo temi di approfondimento nelle varie aree di competenza, dall'economia alla finanza, dal diritto alla politica internazionale, dalla cultura a costume&società. Sara Marchetta cura per AgiChina24 la rubrica di Diritto.