LA NASCITA DI MACAO

di Adolfo Tamburello*

 


Napoli, 20 ott. - Valutati gli utili della presenza dei portoghesi sulle coste cinesi, le autorità Ming concedevano loro fra il 1553 e il 1557 la penisoletta a sud di Canton ove sorgeva Macao. Un tempo era stata un'isola, ma i banchi di sabbia che si erano accumulati dalla costa l'avevano trasformata in un'appendice continentale. Cinesi delle coste per lo più di etnia tanka la frequentavano dall'antichità e ne avevano fatto un'importante base peschereccia insieme con naufraghi o nuovi sbarcati di varie nazionalità. Alcuni portoghesi vi si stabilivano in permanenza dai primi anni '50 e finivano col fondarvi una città che già nel 1578 contava circa 10 mila abitanti: loro continuavano a costituirvi una minoranza: ancora 900 nel 1583 erano contati in 1200 quando la popolazione saliva a 26 mila nel 1640. Il gesuita Matteo Ricci (1552-1610) vi arrivava nel 1582 e così la descriveva molti anni dopo nella sua crescita: “volsero molti Portughesi habitare in esso [Macao] con sue mogli, che vennero dalla India et altre che pigliorno delle donne della Cina e del Giappone, e con suoi figlioli vennero a empire tutta la peninsola di case insieme con altre nationi, e gli stessi mercanti et artigiani sinesi che vennero quivi ad habitare. E parimenti vennero Preti, secolari et altri Religiosi, facendo le sue Chiese molto suntuose”. In pochi anni la città era veramente divenuta un piccolo centro cosmopolitico, e i portoghesi l'arricchivano coi loro commerci da Canton e dintorni.

Giorgio Borsa compendiava efficacemente i traffici cui partecipava Macao: “Le grandi caracche portoghesi che partivano periodicamente da Goa toccavano Malacca, le Isole della Sonda e Nagasaki, comprando le merci che costavano meno e rivendendole dove i prezzi erano più alti, scambiando le cotonate indiane con le spezie delle Isole dell'Arcipelago malese, le spezie con le sete, l'oro e la porcellana nei porti cinesi e queste con l'argento e le armi giapponesi”.
 
I portoghesi annettevano  Macao al proprio “Estado da India”; per i cinesi rimaneva un ‘comodato' gentilmente concesso su pagamento di un canone annuo fissato in ben 500 liang d'argento in verghe che non sappiamo nelle casse di chi finissero dopo che erano versate al magistrato distrettuale di Xiangshan. Pechino sembra ignorasse ufficialmente l'esistenza di Macao fino al 1578; le autorità Ming esercitavano comunque la loro giurisdizione sui connazionali che vi risiedevano, tenevano una dogana  e delimitavano l'abitato con un'alta muraglia che impediva di portarsi liberamente a Canton o di entrarvi. La città funzionava da deposito e mercato di raccolta e smistamento di merci fin col Giappone  raggiunto e frequentato dai portoghesi dal 1543, con Francesco Saverio (1506-1552) che l'aveva visitato dal 1549 e l'aveva aperto alla predicazione cristiana prima ancora che sorgesse Macao. Molti proventi esclusivamente macaensi derivavano dall'annuale “nave del traffico”, la “nao do trato”, appunto col Giappone. 

 I traffici si estendevano presto alle Filippine. Gli Spagnoli occupavano e colonizzavano questo arcipelago dal 1565 e l'annettevano al vicereame della Nuova Spagna con capoluogo Manila dal 1571. La città inaugurava a sua volta un interscambio sia col Giappone sia con Macao.

Fra il 1575-76 Gregorio XIII eleggeva Macao a diocesi suffraganea di Goa con giurisdizione su “tutti i territori della Cina e del Giappone soggetti alla conquista del Re del Portogallo”. Conquiste, il Portogallo non ne avrebbe più fatte, anzi proprio dal 1575 iniziava il suo ripiegamento da potenza marittima in Asia con la perdita in quell'anno di Ternate, il cuore delle “Isole delle Spezie”, che passava in mano a un sultano dell'India meridionale. Seguivano gli anni del braccio di ferro con la Spagna per il possesso delle altre Molucche, che solo nel 1621 i reali di Castiglia riconoscevano “portoghesi”.

La diocesi di Macao si estendeva almeno sulla carta e per un certo tempo alla Cina, al Giappone, al Vietnam odierno e a quello che era allora chiamato l'arcipelago malese. Macao diventava una sede del patronato portoghese, roccaforte gesuitica e come tale grande centro di addestramento e propulsione missionaria per il Giappone e la penisola indocinese, mentre un ruolo eminente assumeva anche il clero sotto patronato spagnolo proveniente da Manila.

La Cina tardava ad accogliere i missionari. Al contrario del Giappone che era apparso prodigiosamente disponibile e aperto agli stranieri e si era mostrato in manifesta apparenza molto recettivo al messaggio cristiano, la Cina rimaneva per molti anni inestricabilmente, se non ostile, chiusa ai nuovi ospiti di Macao e sorda alla fede da loro portata. Per le autorità cinesi, il cattolicesimo poteva arrivare a Macao, ma non superarne le mura. Coloro che tentavano di farlo ricevevano nei casi migliori un cortese ma fermo rifiuto motivato dalle difficoltà di permanenza in un paese da parte di chi ne ignorava lingua, usi e costumi. I mercanti autorizzati potevano frequentare Canton, ma non trattenervisi oltre i periodi prescritti, e nessun religioso della cinquantina che fra il 1555 e il 1582 tentava di entrarvi vi riusciva. Fu Alessandro Valignano (1539-1606), il gesuita Visitatore delle Indie che arrivando Macao nel 1578 aveva l'idea di avviare allo studio del cinese qualche confratello per far recedere i Ming da remore e pregiudizi e permettere ai missionari di risiedere a Canton e altre città e farli entrare in contatto con gli autorevoli ambienti cinesi, cioè quelli dei “letterati” per altro bene agganciati al potere politico. Fu così che Michele Ruggieri (1543-1607) entrò in Cina prima con Francesco Pasio e poi con Ricci e il successo che arrideva a quest'ultimo era tale che dal 1601 la missione gesuitica si impiantava alla corte imperiale di Pechino.

Torniamo a Macao. Gli anni migliori e l'inizio della crisi la città li passava proprio durante i ripetuti soggiorni che vi compiva Valignano. Nel 1583 Valignano stringeva i primi accordi coi mercanti portoghesi locali per una compartecipazione dei gesuiti agli utili del traffico della seta con Nagasaki, un'impresa che contribuiva a dare prosperità a Macao e alla missione gesuitica in Giappone. Il breve “Romanus Pontifex”  aveva cautelato i sovrani portoghesi che nei loro territori “chi tra i religiosi avesse praticato la mercatura senza la regia autorizzazione sarebbe incorso ipso facto nella scomunica”, ma Valignano eccepiva che né il Giappone né Macao erano sotto sovranità portoghese.

Il 1983 era un anno particolarmente critico per la città. Ricci informava che era ridotta “molto povera per li molti naufragij che le loro navi avevano patuiti, et il magior di tutti l'anno avanti nel quale avevano persa la nave del viaggio di Giappone nell'isola di Leucieo, della quale è sostentata tutta la città.” Provvidenzialmente, “Vi era in quel tempo un Portoghese onorato che si chiamava Gaspare Viegas, il quale era ricco e sempre aveva sostentata questa missione con le sue limosine. Questo non la volse abbandonare in un tempo di tanta necessità, e così gli diede una buona limosina di danari, con la quale potevano i Padri dar principio a questa opra, e con altre cose che diede il P. Francesco Caprale et altri amici, se ne furno i Padri con molta speranza di conchiudere questo negotio”.   Andato in porto l'accordo, i gesuiti investivano nei traffici ogni anno 12 mila scudi italiani con un profitto annuo di tremila scudi.

I primi nembi su Macao si addensavano per le conseguenze del passaggio del Portogallo sotto il trono di Castiglia all'estinzione della dinastia di Aviz nel 1580. La città ne veniva informata nel 1582.  Nonostante fosse inteso che i due imperi coloniali, castigliano e portoghese, restassero distinti e separati, gli Spagnoli forzavano l'accesso alle basi portoghesi dell'Estado da India. Sia a Macao sia in Giappone la cosa aveva riflessi economici con lo spostamento di ricchezze a Manila e  gravi per i gesuiti sotto patronato portoghese che finivano per perdere  il loro monopolio missionario dividendolo con gli ordini religiosi sotto patronato spagnolo.

I giorni peggiori aspettavano Macao dopo il tramonto della potenza marittima ispanica, la disfatta dell' “Invincibile Armata” nel 1588 e  l'intervento delle marinerie olandesi e inglesi che già in guerra con gli spagnoli facevano un bersaglio della città o arrembavano le navi in transito. Nel 1603 l'ammiraglio Wijbrand van Waerwijck catturava nel porto di Macao la “nao do trato”,  dandola alle fiamme dopo averla depredata. Il bottino fruttava di sola seta 2800 balle per un valore di 2 milioni di “dollari” cinesi. Nel 1605, scriveva Pasquale D'Elia, “le navi dell'India non fecero il viaggio della Cina, perché dieci navi inglesi da Goa a Macao infestavano quei mari”.  

Cominciava allora la vera crisi di Macao che si aggravava nei decenni seguenti.


20 OTTOBRE 2015

 

*Adolfo Tamburello già professore ordinario di Storia e Civiltà dell'Estremo Oriente all'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'.



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