Torino, 09 set. - È da molti anni che i paesi dell'Asia sud-orientale non sperimentavano un'estate politicamente tanto torrida quanto quella del 2010. Nel complessivo disinteresse dei media occidentali, infatti, si è verificata una significativa abrasione tra la proiezione geopolitica della Cina popolare e il nuovo orientamento della politica estera statunitense verso il Sud-Est asiatico. Che Pechino consideri questa regione come il proprio naturale "cortile di casa" è cosa nota. Sin dall'epoca imperiale molti dei potentati esistenti nell'area facevano parte del sistema tributario sino-centrico raffinato dalle dinastie Ming e Qing e persino la crisi del Celeste Impero dopo la metà del XIX secolo ebbe conseguenze durature, dal momento che essa innescò un fenomeno migratorio di enormi proporzioni verso i territori confinanti.
Si stima che oltre 20 milioni di cinesi vivano oggi nei paesi dell'Asia sud-orientale, toccando percentuali del 70% a Singapore, del 26% in Malesia e del 10% in Thailandia. Anche per la tradizionale destrezza del popolo cinese in campo commerciale, non stupisce, poi, che a Bankok e Kuala Lumpur siano proprio famiglie di etnia cinese a possedere la maggioranza delle società quotate in borsa. L'attivazione, il 1° gennaio di quest'anno, delle previsioni preliminari dell'ACFTA (l'ASEAN-China Free Trade Area) è un'ulteriore, tangibile conferma dell'intensificarsi delle relazioni tra Pechino e i dieci paesi membri dell'ASEAN: Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malaysia, Myanmar, Singapore, Thailandia e Vietnam. Il consolidarsi dei legami economici tra il colosso cinese e le più piccole realtà circostanti è avvenuto nel contesto di una crescente prominenza del ruolo di Pechino come attore compiutamente globale, cui si è accompagnata negli ultimi mesi quell'inusuale assertività da parte cinese su cui si è già potuto riflettere in precedenti contributi per questa rubrica.
Molti osservatori hanno notato un incremento del nervosismo di alcuni paesi ASEAN nei confronti di un vicino che sembra orientato a superare il monito di Deng Xiaoping a "mantenere un basso profilo" (tao guang yang hui), soprattutto nel momento in cui permane un'acuta disputa sulla sovranità di ampie porzioni del Mar della Cina meridionale, le cui acque ed isole sono rivendicate di Cina, Taiwan, Filippine, Malesia, Brunei, Indonesia, Singapore e Vietnam. In questo quadro si situa il rinnovarsi dell'attenzione dell'Amministrazione USA nei confronti del Sud-Est asiatico, accolto con notevole favore in molte delle capitali della regione. Il Segretario di Stato Hillary Clinton aveva preannunciato un maggiore impegno di Washington nell'area sin da gennaio, e nel luglio scorso ha utilizzato il palco del Summit dei Ministri degli Esteri dei paesi ASEAN per superare la tradizionale posizione di neutralità statunitense, affermando che per gli Stati Uniti la libertà di navigazione nel Mar della Cina meridionale secondo le previsioni del diritto internazionale (a partire dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare) è un interesse nazionale e che Washington è disponibile a farsi parte attiva per la risoluzione delle relative controversie.
La replica cinese è stata vibrante: il Ministro degli Esteri Yang Jiechi ha definito la posizione della Segreteria di Stato USA "un attacco alla Cina", rispedendo al mittente qualsiasi tentativo di internazionalizzazione di una disputa che Pechino preferisce gestire bilateralmente con le parti coinvolte, in modo da far valere in pieno il proprio peso geopolitico. Intanto, nei 3.500.000 chilometri quadrati che costituiscono il Mar della Cina meridionale si svolgevano in contemporanea due importanti esercitazioni militari. Stati Uniti e Corea del Sud rispondevano all'affondamento della nave sudcoreana Cheonan (risalente al marzo di quest'anno e attribuito alla marina nordcoreana) con le più imponenti manovre navali congiunte degli ultimi anni, a poco più di duecento chilometri dal confine marittimo della Corea del Nord. Allo stesso tempo, la Marina militare cinese svolgeva un'esercitazione definita tra le più massicce da quando la Marina medesima fu fondata nel 1950.
A pochi giorni di distanza è stata la volta del Vietnam, che nei primi giorni di agosto ha svolto operazioni congiunte con la marina statunitense, aprendo la strada a relazioni militari più intense tra i due antichi nemici. Comprensibilmente, l'azione dell'Amministrazione Obama, che ha dimostrato di voler rafforzare i rapporti che legano gli Stati Uniti a molti paesi della regione – a partire dal Giappone e dalla Corea del Sud, fino a raggiungere Vietnam e Indonesia – viene letta in Cina come una politica di containment, orientata a impedire alla Cina di conseguire quel primato regionale che per influenza economica e possenza demografico-territoriale molti osservatori ritengono inevitabile. Come questa tensione latente evolverà nei prossimi mesi sarà indicativo del livello di socializzazione di Pechino rispetto alle attuali norme e istituzioni internazionali (ad esempio rimettendosi al giudizio della Corte Internazionale di Giustizia o per lo meno tutelando attivamente il Codice di comportamento pacifico del 2002), ovvero della magnitudo dei rischi che la Cina è disposta ad assumersi nello sfidare l'attuale primazia statunitense nella strategica porzione occidentale dell'Oceano pacifico. La notizia che un sottomarino cinese avrebbe piantato una bandiera della Repubblica popolare nel profondo fondale del Mar della Cina meridionale il 26 agosto scorso lascia immaginare scenari in dinamica evoluzione, oltre ad aggiungere un dato sul considerevole stato di avanzamento della tecnologia subacquea cinese.
di Giovanni Andornino
Giovanni Andornino è docente di Relazioni Internazionali dell'Asia Orientale presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Torino e la Facoltà di Scienze Linguistiche dell'Università Cattolica del Sacro Cuore; è Vice Presidente di T.wai, il Torino World Affairs Institute.Dal 2009 Visiting Professor presso la School of Media and Cross Cultural Communication, Zhejiang University Hangzhou (PRC), Giovanni è Fellow della Transatlantic Academy del German Marshall Fund of the United States per il 2010.Giovanni è General Editor del portale TheChinaCompanion (www.thechinacompanion.eu), specializzato in politica, relazioni internazionali ed economia politica della Cina contemporanea. Dal 2007 coordina TOChina, l'unità di lavoro sulla Cina attiva presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Torino (www.to-asia.it/china).
La rubrica "La parola all'esperto" ha un aggiornamento settimanale e ospita gli interventi di professionisti ed esperti italiani e cinesi che si alternano proponendo temi di approfondimento nelle varie aree di competenza, dall'economia alla finanza, dal diritto alla politica internazionale, dalla cultura a costume&società. Giovanni Andornino cura per AgiChina24 la rubrica di politica internazionale.