di Emma Lupano
Twitter@Lupemma
Pechino, 21 nov.- Dai tour di gruppo ai viaggiatori indipendenti. Dallo shopping dei marchi del lusso alla ricerca di esperienze culturali. Dalla provenienza dalle metropoli costiere alle città di seconda fascia. Il cinese che si mette in viaggio verso l’Europa sta cambiando, e in fretta, e per prepararsi ad accoglierlo e ancora prima per intercettarlo è necessario sapere con chi si vuole, o deve, avere a che fare.
A questo puntava il convegno internazionale “Il turismo cinese in Italia: la dimensione culturale”, organizzato dall’Istituto Confucio di Pisa all’Università per stranieri di Siena il 18 novembre. Molte le voci, e di diversa provenienza, dei relatori intervenuti dall’Italia, da Hong Kong e dalla Cina per proporre dati e punti di vista sulle nuove tendenze del turismo della Repubblica popolare. Tutti d’accordo su un punto, però: il turista cinese sta cambiando, ed è sempre meno simile agli stereotipi che vogliono i visitatori intruppati in tour mordi e fuggi in cui si visitano intere città in poche ore e si pensa solo a fare shopping negli outlet.
“L’obiettivo del cinese che viaggia sta passando dalla mera visita alla ricerca del relax e del piacere, e dai viaggi di gruppo a quelli individuali”, ha spiegato Markus Schuckert, professore alla School of Hotel and Tourism Management della Hong Kong Polytechnic University.
L’Italia, che è seconda dopo la Francia e prima di Germania e Svizzera per numero di visti concessi nel 2012-2013 a turisti cinesi, non è però tra i più attrezzati quando si tratta di promozione del territorio. “La Svizzera è uno dei paesi più attivi e di successo nella comunicazione in Cina, la loro strategia sui social media cinesi è un modello”. Non si tratta di un dettaglio trascurabile, perché “in Cina per avere successo nella promozione turistica conta molto la reputazione. Conta quello che i blogger più famosi scrivono, conta la presenza sui social media più diffusi in Cina. Se non si è su quei social media, non si esiste”.
Lo ha sottolineato anche Zhu Aihua, dell’agenzia Chongqing China Travel Service Group: “L’Italia deve fare di più sui social media e nella rete cinesi: come Svizzera e Germania, anche il vostro paese ha un profilo weibo e un profilo weixin, ma il vostro sito vetrina, www.yidalinihao.com, è ancora in costruzione. Speriamo che ora di Expo venga riempito di contenuti”.
L’agenzia per cui lavora si occupa soprattutto di outbound, per questo Zhu sa bene che cosa cercano i turisti cinesi quando pianificano un viaggio all’estero. “Cercano servizi che siano in sintonia con i loro interessi, mentre il prezzo è solo relativamente importante. Questo ci permette di prestare attenzione soprattutto alla qualità”. Quando si recano in Italia, i loro clienti scelgono per lo più Milano, Venezia, Genova, Firenze, Pisa e Roma. “Le mete sono poche rispetto a tutto quanto il territorio italiano avrebbe da offrire – ha fatto notare Zhu -. Bisogna promuovere Sardegna e Sicilia, tour legati alla musica, alla cultura culinaria, al calcio”.
Pu Yongjian, professore della Chongqing University, ha descritto invece come la municipalità (la più popolosa della Repubblica popolare con 33 milioni di abitanti) abbia investito fin dal 1997 per fare del turismo, in ingresso e in uscita, uno dei pilastri dell’economia locale. Una conferma del fatto che le metropoli di “seconda fascia” stanno diventando mercati importanti per il turismo diretto verso l’estero.
Dall’Università Bocconi di Milano, Magda Antonioli Corigliano ha presentato invece i risultati di una ricerca svolta in Cina per analizzare l’interesse dei cinesi per l’enogastronomia. Si conferma così la loro scarsa conoscenza del vino e la loro tendenza a considerare il vino francese il migliore per antonomasia, mentre la gastronomia italiana sarebbe preferita a quella dei cugini d’oltralpe. Ma se il cinese mangia in ristoranti occidentali in Cina più volte in un mese, quando si trova all’estero si scontra con la difficoltà di non conoscere i piatti locali, di non poter accedere a un servizio in lingua cinese e di spendere più di quanto vorrebbe. In questo senso, ha sottolineato Antonioli Corigliano, “è importante la trasparenza: nessuno capisce che cosa sia il coperto e spesso non è indicato in modo chiaro”.
D’altra parte, ha spiegato la studiosa, questa ricerca e altre svolte in precedenza dimostrerebbero che “i cinesi sono interessati alla cultura, al nostro stile di vita, che trovano piacevole. È compito dei nostri operatori turistici trasferire questa cultura ai cinesi. Se arrivano e rimangono in una città per un giorno soltanto e vedono soltanto i monumenti più noti è perché noi non spieghiamo bene tutto quello che il territorio ha da offrire”. Ai cinesi, insomma, interesserebbe “l’autenticità, infatti sono interessati a vedere la filiera che porta al prodotto finito: lo shopping interessa di per sé, ma anche come strumento di conoscenza del territorio e della cultura. Vogliono vedere dove si produce, vogliono conoscere l’azienda”.
In questo senso, ha sottolineato la studiosa, “il turismo è una grande opportunità per l’Italia perché ci permette di ricordarci perché siamo ancora interessanti per gli altri”.
Anche Jiang Yuanbin, dell’agenzia Chongqing Tianya International Travel Service, ha ribadito che a Chongqing i turisti che partono per l’Europa sono in aumento, che “negli ultimi tre anni l’Italia ha sostituito la Germania al top delle mete preferite per i viaggi in Europa”, e che “mentre l’età dei viaggiatori di Chongqing scende, aumenta invece la loro propensione ai viaggi indipendenti, la conoscenza delle lingue e il loro livello culturale”.
Jiang è anche convinto che quello che i turisti di Chongqing cercano in Italia siano la cultura (“sanno che in Italia si trova il 60 per cento delle ricchezze culturali e artistiche dell’Europa”), i marchi noti ma anche la varietà di prezzo e di qualità di prodotti, “il cibo: noi cinesi consideriamo l’Italia il centro culinario d’Europa”, e la religione (“molti cinesi visitano il Vaticano ogni anno”).
Ci sono però alcuni ostacoli che i turisti cinesi con cui Jiang ha avuto a che fare lamentano di aver incontrato in Italia: “Gli outlet e i centri commerciali non hanno guide in cinese, e così la segnaletica nei musei e per strada. Questo rende difficili le visite da parte di viaggiatori indipendenti, perché non tutti i cinesi se la cavano con l’inglese. Allo stesso modo, entrare in un ristorante e dover gestire un menu in inglese può essere fonte di grande disagio per i nostri turisti. Infine, gli hotel spesso non sono a misura di cinese, perché ad esempio manca il bollitore in stanza o non è disponibile cibo asiatico”.
Sugli aspetti linguistici e sulla necessità di preparare gli operatori all’interazione con il turista cinese si sono soffermate le sinologhe Anna Di Toro e Chiara Buchetti dell’Università per stranieri di Siena, presentando da una parte la collaborazione già avviata con enti del territorio per tradurre in cinese materiali descrittivi come quelli dei musei, e dall’altra l’ideazione di un percorso di apprendimento degli elementi linguistici e culturali indispensabili per relazionarsi con i visitatori cinesi, finanziato dalla Regione Toscana e pensato su misura per gli operatori turistici.
21 novembre 2014
@Riproduzione riservata