Milano, 17 giu. - Indomabile come una tigre. L'immagine evocata da Wen Jiabao lo scorso marzo con riferimento all'inflazione fuori controllo in Cina appare sempre più azzeccata. Il 5,5% di maggio annunciato giorni orsono con tutta probabilità sarà seguito da un numero molto vicino, se non uguale, al 6%. Nonostante l'azione delle autorità politiche e monetarie di Pechino, dopo una breve pausa ad Aprile, la crescita dei prezzi al consumo, dunque, ha ripreso ad accelerare. Ormai l'obiettivo del 4% dichiarato ad inizio anno dal Governo è chiaramente irraggiungibile. E, soprattutto, il settore dove gli incrementi dei prezzi sono più cospicui, quello alimentare, è anche quello che ha l'impatto sociale più significativo.
La mossa immediata della banca centrale di incrementare dell'0,5% il coefficiente di riserva obbligatoria delle banche, mettendo a segno il sesto aumento dall'inizio dell'anno, appare davvero come una mossa disperata. Innalzare il coefficiente di riserva vuol dire mettere un freno alla crescita dell'offerta di moneta. Purtroppo però, frenare l'espansione della liquidità in circolazione non pare sufficiente per invertire un trend all'accelerazione dei prezzi che ormai prosegue, con qualche breve pausa, da oltre un anno.
La verità è, con buona probabilità, che la risalita dell'inflazione in Cina non è solamente di origine monetaria, ma trova le sue radici in un eccesso di domanda, che si riflette in un surriscaldamento dell'economia. Non è in effetti possibile assistere ad un ritmo di sviluppo forsennato come quello cinese senza che prima o poi si comincino a registrare effetti sulla dinamica dei prezzi. Le leggi dell'economia, più volte messe in discussione dall'evoluzione senza precedenti dell'economia cinese, prima o poi tornano a funzionare. E la continua espansione della capacità di spesa giocoforza incontra prima o poi dei colli di bottiglia nell'offerta di beni e servizi e dei fattori della produzione, sospingendo la dinamica dei prezzi e dei salari, in una spirale difficile da riportare sotto controllo. Ed è per questo motivo che la soluzione ultima per evitare un esplosione dell'economia non può non prevedere una moderazione della crescita, magari ottenuta anche attraverso un apprezzamento significativo del cambio che da solo avrebbe già effetti deflattivi, abbassando il costo delle merci importare. Ma a Pechino, si sa, è fortissimo il timore che ridurre la crescita su ritmi più "occidentali" potrebbe avere effetti catastrofici in termini di tenuta sociale. E' allora forse probabile che alla fine si preferirà affrontare i rischi di un'inflazione fuori dagli obiettivi.
Forse, però, questo genere di timori rischiano di rivelarsi eccessivi, almeno per ora. La quasi totalità degli economisti cinesi, non solo appartenenti a istituzioni pubbliche, si aspettano già a partire dall'estate un ripiegamento dell'inflazione. Le misure monetarie e di controllo diretto dei prezzi adottate da un anno a questa parte anno bisogno di un po' di tempo per riflettersi sull'andamento dei prezzi al consumo. Ma ci siamo: basta aspettare qualche mese e i risultati arriveranno.
Li Jing, di JP Morgan, si aspetta ad esempio un andamento del dell'indice dei prezzi sotto il 5% dopo settembre, e fa notare come la dinamica degli impieghi bancari abbia fatto già registrare una brusca decelerazione. Il capo economista di HSBC, Qu Hongbin, si mostra anch'egli fiducioso su una frenata nella seconda metà dell'anno, anche se ritiene che prima di allora la banca centrale tornerà ad alzare ancora i tassi e i coefficienti di riserva. Inoltre, sono in molti a sottolineare come il picco primaverile dei prezzi sia anche legato alla prolungata siccità che ha avuto un significativo impatto sui prezzi dei beni agricoli. La stagione umida in arrivo dovrebbe porre fine a questa situazione.
Insomma, alla fine, almeno per questa volta, la tigre pare essere stata ingabbiata. E' lecito pensare però che presto essa possa tornare a fuggire. E che il dilemma tra sostegno alla crescita e freno all'inflazione torni ad attanagliare le autorità di Pechino.
di Lorenzo Stanca
Lorenzo Stanca, salernitano, 47 anni, tra i founding partners di Mandarin Capital Partner, il fondo di private italo-cinese che ha cominciato ad operare a fine 2007, Lorenzo Stanca vanta una carriera venticinquennale in istituzioni fianziarie di alto profilo.Precedentemente all'esperienza di Mandarin, Stanca era stato responsabile delle Strategie Operative al Sanpaolo Imi. Al Sanpaolo era arrivato nel settembre del 2005 proveniente dal gruppo UniCredito dove era stato Capo dell'ufficio studi e poi capo dell'area mercati in UniCredit Banca Mobiliare, la banca di investimento del gruppo, di cui era stato uno dei fondatori.
E' presidente dal 2006 del Gruppo Economisti di impresa, l'associazione italiana degli economisti che lavorano in azienda sia negli uffici studi che in altre posizioni. Lorenzo Stanca è autore di numerosi paper su riviste accademiche e co-autore di libri di economia e finanza (di recente è stato tra gli autori di "Cina: la conoscenza è un fattore di successo" e "L'elefante sul trampolino" pubblicati dall'Arel), oltre a pubblicare frequentemente articoli su riviste e giornali economici.
La rubrica "La parola all'esperto" ha un aggiornamento settimanale e ospita gli interventi di professionisti ed esperti italiani e cinesi che si alternano proponendo temi di approfondimento nelle varie aree di competenza, dall'economia alla finanza, dal diritto alla politica internazionale, dalla cultura a costume&società. Lorenzo Stanca cura per AgiChina24 la rubrica di economia e finanza.
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