Francoforte, 20 ott. 09 - Oltre duemila contratti firmati in cinque giorni tra gli editori cinesi e il resto del mondo. Più di 1300 riguardano la cessione dei diritti di pubblicazione di libri cinesi all'estero, gli altri 800 permetteranno l'importazione in Cina di altrettanti titoli stranieri. Il bottino, per i quasi 300 editori della Repubblica popolare presenti alla fiera internazionale del libro di Francoforte che si è chiusa domenica, è senza precedenti. «Per noi è un grande successo – ha dichiarato Zhang Fuhai, direttore generale del dipartimento di cooperazione e scambio internazionale dell'Amministrazione per la stampa e l'editoria (l'ufficio con rango ministeriale responsabile per il settore in Cina) –. Il nostro obiettivo a questa fiera era promuovere lo scambio di pubblicazioni tra noi e gli altri Paesi, aumentando soprattutto l'esportazione di volumi cinesi all'estero». La Cina, infatti, è una grande importatrice di titoli stranieri (10255 nel 2007), ma una modesta esportatrice dei propri (2571). La delegazione cinese alla Buchmesse di Francoforte, la fiera dell'editoria considerata la più importante e la più vasta al mondo, non era mai stata così nutrita: oltre agli editori, cento autori e più di un migliaio tra giornalisti, addetti ai lavori e rappresentanti politici. Tutti intenzionati ad approfittare al meglio della rango di ospite d'onore dell'edizione di quest'anno. La Repubblica popolare ha fatto le cose in grande, investendo 5 milioni di euro nell'organizzazione di quasi 600 appuntamenti tra conferenze, mostre, presentazioni di libri, spettacoli e incontri con gli scrittori destinati ai lettori e non solo. Tra i cento autori inviati da Pechino c'erano nomi affermati a livello internazionale come Yu Hua, Mo Yan e Su Tong (investimenti remunerativi per gli editori che da anni li pubblicano in vari Paesi del mondo), ma anche scrittori molto amati in patria e ancora poco tradotti all'estero come Liu Zhenyun, Li Er e Annie Baby. Gli editori stranieri si sono dati da fare. Hanno affollato i seminari dedicati al sistema di pubblicazione in Cina e hanno incontrato scrittori e case editrici per capire come assicurarsi almeno una fetta di questo mercato della lettura che promette di crescere rapidamente. Tra la fine degli anni 80 e la fine degli anni 90 il mercato ha galoppato con percentuali a due cifre, assestandosi tra il 7 e l'8 per cento a partire dal 2000. Ora, in media, nella Repubblica popolare si stampano in un anno oltre 6 miliardi di copie di libri e si pubblicano 248mila nuovi titoli, di cui 136mila sono novità assolute. Cifre che lasciano ampio spazio allo sviluppo (includono anche i libri scolastici), visto che corrispondono a quattro copie per persona all'anno. Anche il volume delle vendite promette possibilità di crescita importanti: nel 2007 è stato pari a 7 miliardi di dollari, contro i 25 miliardi registrati negli Stati Uniti. Il prezzo medio di un libro in Cina è ancora molto contenuto (meno di 2 dollari) grazie ai bassi costi di manodopera e di stampa. Se il quadro sembra incoraggiante, però, per investire nel mercato editoriale cinese bisogna fare i conti con un sistema peculiare e in rapida trasformazione. Alle 578 case editrice (chuban she) di proprietà pubblica (220 basate a Pechino e legate a vari dipartimenti del governo centrale e 358 basate in altre città e dirette da dipartimenti governativi di rango locale), si sono affiancate negli ultimi venti anni ben 10mila "agenzie letterarie" (wenxue gongzuo shi) di proprietà privata. «È a loro che spesso si deve la scoperta di autori da best seller – dice Chen Xin, presidente della Shanghai Century Publishing Group, uno dei colossi dell'editoria cinese che riunisce 14 case editrici, 45 periodici e 5 giornali –. Queste agenzie, però, non possono pubblicare libri autonomamente». Le wenxue gongzuo shi sono costrette a collaborare con le case editrici pubbliche, le uniche autorizzate dallo Stato a pubblicare testi in Cina. Il sistema è pensato per mantenere il controllo sui contenuti saldo nelle mani del governo, visto che le case editrici possono diventare tali solo se approvate da parte degli uffici statali. Ai privati restano così accessibili solo aree come stampa, marketing e distribuzione. Anche le case editrici pubbliche, però, stanno cambiando. Mentre alcune vengono destinate al no profit e al controllo assoluto dello Stato, alla maggior parte è stato chiesto di reggersi sulle proprie gambe - e di fare soldi. Per riuscirci, possono anche aprirsi al mercato internazionale, quotando in borsa parte delle proprie attività. Lo ha fatto per prima la Shanghai Century nel 2005, e altre la stanno seguendo. Un'opportunità invitante per tanti investitori stranieri.
Emma Lupano
Emma Lupano, sinologa e giornalista, cura per AgiChina24 una rassegna stampa bisettimanale volta a cogliere pareri autorevoli di opinionisti cinesi in merito a temi che si ritengono di particolare interesse per i nostri lettori.