Economista, autrice di "Maonomics"
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Economista, autrice di "Maonomics"
A chi è rivolto questo libro?

Sia al lettore occidentale sia a quello cinese. Il primo dovrà accantonare una serie di pregiudizi e una visione vecchia imposta dalla stampa occidentale, ancorata agli eventi di Tian'an men, e fare esercizio di autocritica. Il libro è una comparazione tra il modello economico e politico cinese – inedito e dinamico - e quello occidentale – immobile e regresso - e analizzare come in questi ultimi venti anni, dopo il crollo del Muro di Berlino, quest'ultimo non ha funzionato. Il lettore cinese, invece, potrà prendere coscienza dell'unicità del proprio modello di sviluppo, della cui originalità, a mio avviso, ha ancora scarsa conoscenza.
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Lei scrive che "la Cina dimostra che non è la democrazia il miglior terreno di coltura del capitalismo" e che "come capitalisti, i cinesi comunisti sono migliori di noi".
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Anzitutto occorre definire che cos'è la democrazia. La democrazia in Occidente poggia su un contratto sociale purtroppo obsoleto. In Cina invece il rapporto tra il popolo e la classe dirigente è stato riformulato attraverso il processo di globalizzazione. La popolazione accetta di essere gestita da un governo autocratico in cambio del benessere. Chiaramente questo non è un modello democratico: la Cina è uno Stato Nazione basato sul contratto sociale, che poi esso prenda la forma di una democrazia partecipativa, oppure di una democrazia – come spiego nel mio libro – dove alla base della piramide sociale esiste la possibilità di influenzare la macchina politica attraverso le elezioni dei rappresentanti dei comitati di borghi, questo è un altro discorso.

Quindi secondo lei l'esperimento elettorale avviato nei villaggi cinesi nel 1998 può essere considerato un laboratorio democratico fattivo? Non si tratta in realtà di elezioni indirette?

Operiamo una distinzione tra democrazia e contratto sociale. La democrazia è una forma di governo che può essere diretta o partecipativa; nello Zimbawe c'è la democrazia, in Egitto c'è la democrazia, eppure parliamo di regimi dittatoriali alla cui base non troviamo un contratto sociale sottoscritto dalla popolazione, che invece è stato stipulato tra il governo cinese e la sua gente. Lo sfruttamento della manodopera è stato il prezzo da pagare in cambio del benessere. Il sistema cinese funziona meglio che altrove, da questo punto di vista: la forza lavoro ha accettato le condizioni imposte dal governo per attrarre i capitali. Oggi l'Occidente non produce più nulla: il capitalismo industriale non esiste più, tranne rare eccezioni, come la Germania. Si è invece affermato il capitalismo finanziario che non ha nulla a che vedere, però, con il capitalismo classico di cui parlano Marx, Smith o Ricardo.

In che termini l'Occidente dovrebbe quindi guardare al modello cinese?

L'Occidente deve guardare a questo modello solo per fare autocritica. Sarebbe una follia importare il modello cinese. L'Occidente deve riflettere profondamente sulla propria decadenza economica per evitare la bancarotta totale. Il modello cinese non è perfetto, ma noi siamo fermi al neoliberismo del 1989; abbiamo delegato al mercato la gestione dell'economia, mentre in politica ci dedichiamo allo spettacolo, ed ecco i risultati.

La Cina – proprio grazie al controllo dello Stato sul mercato - ha saputo aggredire la crisi finanziaria adottando una strategia tempestiva…

Perché in Cina lo Stato funziona mentre noi dobbiamo ricominciare proprio dalla sua ricostituzione.

Il miracolo economico cinese è stato finanziato dal capitale straniero eppure nella sua ricostruzione storica, la responsabilità dello sfruttamento della manodopera, della mancata applicazione della legge, e dell'inquinamento sono a carico delle aziende straniere

Negli anni '80 il capitale veniva da fuori, gli imprenditori cinesi allora non esistevano. Sicuramente vi è stato uno sfruttamento anche da parte dei cinesi, ma nel 1979 in Cina si moriva di fame. Vuole sapere se anche i cinesi sfruttano? Tutti sfruttano…

Il suo libro da un lato è coraggioso perché prova a svecchiare l'immagine della Cina in Occidente; dall'altro lato però ci sembra che in esso offra una versione un po' edulcorata della realtà cinese…

Non è una versione edulcorata, ma realista. Se legge i libri scritti da esperti anglosassoni sulla Cina, concordano tutti. Se poi uno legge Federico Rampini è un altro discorso..

Chi ha vissuto in Cina lavorando in aziende sino-italiane documenta una realtà un po' più complessa.

Ma certo che la realtà è più complessa. Questo non è un testo accademico, ma un libro di grande divulgazione: per far passare un messaggio forte, semplificare è indispensabile. Gli italiani sono convinti che i cinesi sfruttino i connazionali e sono cattivi. Come convincerli a cambiare idea? Io sostengo che tutto quello che sappiamo sulla Cina è falso. E' anche vero, però, che questo non è un libro solo sulla Cina, ed io non sono una sinologa. Il libro analizza il miracolo economico cinese per criticare il nostro modello. Voglio spiegare agli italiani che chi sfruttava non erano i cinesi ma le nostre griffe; quei signori che adesso si lamentano che i cinesi fanno le copie. Questa borsa di  Salvatore Ferragamo (la solleva dalla scrivania per mostrarla, ndr)  in Cina la trova identica a venti euro al mercato del falso.

Questa quindi è quella falsa o quella vera?

Questa è quella falsa. Intendiamoci, se la compro al mercato del falso almeno la ragazzina che me l'ha venduto qualche soldo se lo intasca, ma se vado a comprare l'originale, Salvatore Ferragamo incassa tutto il profitto.

Oltre a descriverci il successo del modello capicomunista, nel suo libro analizza le contraddizioni della Cina – descrivendone sia il progresso che l'arretratezza  - avvalendosi di fonti di altissimo livello. Ma continua a sfuggirci la tesi finale…
 
E' fatto apposta così perché è il lettore che deve trarre le conclusioni. Dovevo scegliere una linea coerente per shoccare il lettore, evitando di ricadere sempre negli stessi stereotipi. I cinesi sono persone gentilissime e squisite, vivono in armonia anche nella povertà, hanno un forte interesse per gli stranieri ma non vorrebbero mai essere come loro. E in Italia invece si crede che i cinesi siano dei delinquenti.

Anche a proposito della composizione del potere politico, lei invita il lettore ad abbattere gli stereotipi. Secondo lei che cosa sta accadendo all'interno del Partito Comunista Cinese? Non è un blocco monolitico come spesso si crede osservandolo dall'esterno?

All'interno del PCC c'è sempre stato un grande dibattito. Anche subito dopo i fatti di Tian'an men, quando fu poi Deng Xiaoping a spuntarla dopo due anni di lotte interne. Spinta autocritica e flessibilità sono invece elementi assenti sia nel modello classico sovietico sia in Occidente, dove nessuno dice mai "ho sbagliato". Chiaramente il "mea culpa" si recita a porte chiuse e non viene mai pubblicizzato. La nuova leadership cinese ha compiuto però un notevole progresso, con la nuova legislazione del lavoro varata nel 2007, ad esempio. Ma oggi la relazione con gli Stati Uniti è al centro del dibattito: il cambiamento delle relazioni bilaterali tra l'Aquila e il Dragone non coincide, però, con l'elezione di Obama, come molti credono.

Obama in Cina è percepito come un leader debole?

Il nuovo atteggiamento del PCC nei confronti dell'Amministrazione USA è ascrivibile non tanto alla figura di Obama, quanto alla crisi del credito, che ha fatto rivivere ai mercati asiatici il trauma della crisi delle Tigri Asiatiche alla fine degli anni '90, di cui parlo nel capitolo conclusivo del mio libro.

…dove lei individua proprio nel fallimento del monetarismo, l'inizio del collasso del modello occidentale.

I cinesi da tempo hanno capito che la crisi del credito sarebbe stata la loro grande opportunità. Oggi la Cina detiene una leadership indiscussa nello scacchiere internazionale. Il Dragone ha fatto il suo ingresso nelle grandi potenze internazionali e la gestione del rapporto con gli USA ha alimentato il dibattito all'interno del Partito. A mio avviso, è prevalsa giustamente la linea dura: la Cina non guarda più agli Stati Uniti come una guida, ma come un partner da abbandonare progressivamente. E infatti non comprano più i buoni del Tesoro…

Quindi in questo momento lei intravede un progressivo abbandono del dollaro da parte della Cina a favore di altre valute?

Certamente. La Cina non ha bisogno dell'America, ma è l'America ad aver bisogno della Cina. Trovo inoltre ridicole le reazione isteriche degli americani: come pensa che dovrebbe reagire Pechino se uno come Krugman invoca l'applicazione del protezionismo nei confronti dei prodotti cinesi?

E come guardano invece alla Cina i paesi del Sud-Est asiatico?

Per i Paesi del Sud-Est asiatico la Cina non è una dittatura comunista ma un modello trainante: se oggi i mercati asiatici non sono piombati nella recessione è proprio grazie alla Cina. Oggi la Cina fa assemblaggio e, ad esempio, il Vietnam ha retto grazie alla domanda proveniente dal mercato interno cinese.  Ma anche se la Cina rappresenta un modello alternativo, dubito che paesi come l'Indonesia – che presentano realtà diverse - decidano di convertirsi al capicomunismo. Ma senza dubbio l'elemento maggiormente preso in considerazione è, torno a dire, il contratto sociale.

A parte imprenditori, manager e professionisti il resto della popolazione ha piena consapevolezza del contratto sociale di cui lei parla?  Oppure la Cina è un gigante i cui piedi d'argilla sono le profonde sacche di arretratezza?

Secondo me il gigante con i piedi d'argilla è l'America, la Cina è il gigante con i piedi di piombo.

Ma la Cina in questo momento deve fare i conti con pressioni interne maggiori di quelle internazionali…

Ci sono maggiori pressioni interne negli USA, dove Obama è molto impopolare. Il Partito Comunista in Cina ha una base di consenso enorme, del 70-80%.

Ma il PCC come ha ottenuto questo consenso? Secondo lei si può parlare di società civile in Cina? Qual è il ruolo della Propaganda?

Secondo me i cinesi non hanno consapevolezza del loro sviluppo perché la politica non interessa, e non per il controllo della stampa. Le posso dire onestamente cosa penso? C'è più propaganda da noi che da loro. La settimana scorsa ho viaggiato da Londra a Roma su treni e traghetti vuoti. Ma i giornali titolavano "Allarmismo al 100 %", e molta gente ha rinunciato a spostarsi. Questa non è informazione, ma una propaganda sensazionalista.

E quindi dove collochiamo la maturità politica del popolo cinese? Il contratto sociale presuppone la rimozione di alcune ferite come Tian'an men?

La maturità politica non ha nulla a che vedere con i fatti di Tian'an men. In Italia dopo la seconda guerra mondiale nessuno era fascista: ogni Nazione attraversa momenti tragici che in un modo o nell'altro vengono rimossi,  prima di essere consumati e metabolizzati. La rimozione dei fatti di Tian'an men è stata imposta dal Partito, ma la storia è piena di esempi di questo tipo. La maturità politica non si misura nell'approccio ai momenti tragici della propria storia, si riflette invece nella consapevolezza della propria posizione all'interno dello Stato. Il cinese ha una percezione chiara della propria identità all'interno della sua nazione, ha un senso storico di appartenenza a una civiltà.

Secondo lei di cosa si nutre il patriottismo cinese?

Sicuramente il patriottismo è un elemento positivo: i cinesi sono così orgogliosi di essere cinesi che non vogliono condividere la Cina con nessuno. Lo straniero che vive in Cina non s'integra mai al punto di diventare cinese. Matteo Ricci è stato un caso eccezionale. In Italia abbiamo un partito che vuole spaccare il Paese. Noi possiamo parlare di Tian'an men, della seconda guerra mondiale, e di tutto quello che vogliamo, ma non abbiamo un' identità nazionale forte come quella dei cinesi.

La Cina in questo momento sta vivendo una fase di ri-sviluppo, cercando di superare lo shock inferto dalla crisi e completare la transizione da un'economia trainata dagli investimenti diretti e dalle esportazioni a un'economia trainata dai consumi. Nel suo libro parla molto dei lavoratori migranti che a causa della crisi hanno perso il lavoro. Qual è oggi la situazione?

Quest'anno molti lavoratori migranti sono rimasti a casa dopo il capodanno cinese: o sono tornati a lavorare nelle campagne o hanno iniziato una loro piccola attività. La disoccupazione che abbiamo visto l'anno scorso sicuramente è diminuita, molti lavoratori sono stati assorbiti dalle opere pubbliche. L'anno scoro in Cina si parlava di 20 milioni di disoccupati, e s'incontravano nelle stazioni delle grandi città, soprattutto a Canton. Quest'anno invece ne ho visti molto pochi, quando sono stata in Cina dieci giorni per raccogliere il materiale, accompagnata da guide straordinarie. Del resto l'economia cresce del 9%.

Proviamo a guardare oltre il pil. Il pacchetto di stimoli fiscali varato dal governo cinese alla fine del 2008, ha pompato liquidità nel sistema producendo varie unità di pil. Molti soldi sono però finiti nel settore immobiliare, tanto che oggi desta molta preoccupazione il rischio di una bolla speculativa e il ritorno dei crediti non esigibili. Anche Obama è intervenuto per salvare General Motors, come dice nel suo libro.

Obama ha salvato la General Motors dalla morsa del debito. La Cina invece è invece intervenuta per aumentare la produzione e realizzare opere pubbliche. I soldi pompati da Obama sono andati a finire in un pozzo nero, i soldi pompati dalla Cina sono entrati in circolazione nell'economia. La Cina non ha debiti, ma ha dovuto compensare la caduta della domanda mondiale. Semmai la Cina ha troppi soldi.

Cosa pensa dell'Expo 2010 che verrà inaugurata a maggio a Shanghai?

Gli occidentali pensano che l'Expo sia la loro grande occasione, invece secondo me, al contrario, la manifestazione offrirà ai cinesi la possibilità di osservare il mondo più da vicino e decidere come evolversi.

La Cina investe molto nel fotovoltaico, come parla in quello che a nostro avviso è il capitolo migliore del suo libro. La percezione che abbiamo di recente è che i cinesi sempre meno abbiano bisogno di investire all'estero, e anche l'approvvigionamento energetico sarà un driver sempre meno importante.

Perché è un mercato enorme. La Cina sta puntando molto sulle energie rinnovabili. Se riuscirà a portare avanti la riconversione energetica, diventerà un mercato autosufficiente.

Lei è molto attratta dal mercato del lavoro cinese che definisce giustamente meritocratico.  Se potesse scegliere, rinascerebbe in Cina o in Italia?

Rinascerei in Cina…

Non avrebbe paura di rinascere donna?

In Cina rinascerei sicuramente donna oggi o tra dieci anni. Ma sarei nata in Cina anche trent'anni fa - non durante il Maoismo, però. Sto cercando di spronare i miei figli ad andare in Cina ma non li ho ancora convinti, forse perché è una realtà che conoscono ancora poco. Molti occidentali vivono a Shanghai anche senza parlare il cinese, e ne sono molto affascinati.

La Cina è così spesso paragonata a una gabbia all'interno della quale è lecito volare; la gabbia col passare degli anni è sempre più larga e ci si muove in un terreno in cui la certezza del diritto è sempre più pregnante. Nel suo libro lei parla proprio di uno scarto tra democrazia e rispetto della legge, che Hu Jingtao sta imponendo con sempre maggiore vigore. Ci muoviamo pur sempre all'interno di questa gabbia?

Noi non siamo in una gabbia ma ci hanno tarpato le ali. Allora forse è meglio volare dentro una gabbia che magari un giorno si aprirà, mentre noi non saremo più in grado di volare perché non avremo più le ali.

di Alessandra Spalletta e Sonia Montrella

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