Milano, 17 mar. - La fornitura di armi a Taiwan, la visita del Dalai Lama alla Casa Bianca e, come se questo non bastasse, anche le continue pressioni per l'apprezzamento del renminbi. Nelle ultime settimane Obama ha fatto di tutto per mettere di cattivo umore la Cina, e i media della Repubblica popolare non hanno esitato a reagire.
I commenti più recenti si occupano soprattutto delle questioni legate al renminbi, rivendicando l'importanza di una moneta cinese stabile per la salute dell'intero sistema. "Dopo l'esplosione della crisi finanziaria - spiega Liu Yuhui nel suo editoriale pubblicato il 9 marzo dal Meiri jingji xinwen - la Federal Reserve ha chiesto di abbassare il tasso di interesse portandolo vicino allo zero. Appoggiandosi a un renminbi 'controllato', ha aumentato la stabilità del sistema finanziario, facendo sì che il dollaro, nonostante l'aumento del debito nazionale americano, non collassasse". Per questo, sottolinea Liu, "si può dire che il renminbi ha aiutato gli americani a combattere la crisi. Eppure gli Usa non hanno mostrato un briciolo di riconoscenza. Non appena il dollaro ha ripreso quota, il ruolo del renminbi non pare più così importante. Anzi: la valuta cinese è diventata una forza troppo potente e gli americani hanno cominciato tutto a un tratto ad attaccarne il tasso di cambio".
Il momento della verità, però, potrebbe arrivare presto. Secondo Liu, "i cinesi dovranno aspettare solo un semestre per vedere il dollaro tornare debole. A quel punto, gli americani potranno smettere di essere insoddisfatti di un renminbi a tasso di cambio fisso. Quando il debito Usa peggiorerà e il tasso di interesse di lungo periodo salirà, forse riprenderanno a tessere le lodi della nostra moneta".
Sullo stesso tema, il 17 marzo, Song Hongbing, editorialista del Dongnan Kuaibao, dice lapidario: "Gli Stati Uniti criticano la Cina dicendo che è il Paese che controlla i tassi di cambio. In realtà la distribuzione dei dollari americani è il vero e più grande potere di controllo della finanza mondiale".
Si sofferma invece più in generale dell'atteggiamento di Obama nei confronti della Cina il commento pubblicato il 23 febbraio dallo Shanghai Shangbao. Zhang Zhixin, professore associato di Public management alla Shoudu Jingmao University, firma un lungo editoriale per spiegare le ragioni del presidente americano, collegando i casi di Taiwan e del Dalai Lama con le ragioni di politica interna Usa.
"Il 18 febbraio, nonostante la forte opposizione della Cina e nonostante i lunghi tentativi di negoziato, il presidente Obama ha accolto alla Casa bianca il Dalai Lama. Sono passati solo tre mesi dalla sua visita ufficiale in Cina e dalla 'Dichiarazione congiunta tra Cina e Stati Uniti' fatta in quella occasione. E sono trascorsi solo 18 giorni dalla notizia ufficiale che il governo americano ha in programma l'esportazione di armi a Taiwan per un valore di 6,4 miliardi di dollari".
Per Zhang, "sia la visita del Dalai Lama che la vendita di armi a Taiwan sono questioni che toccano da vicino gli interessi centrali della Cina. Obama è consapevole che la Cina potrebbe avere una reazione violenta, eppure insiste ad andare per la sua strada. Che intenzioni ha? Che risultato vuole ottenere?", si chiede l'editorialista.
La risposta, per il professore, sta nelle vicende di politica interna Usa: "La ragione cruciale della scelta di promuovere la vendita di armi a Taiwan e di accogliere il Dalai Lama è l'estremo bisogno che Obama ha di rafforzare le sua base politica, di conquistare il consenso all'interno del Paese e del Congresso in particolare".
Il sostegno popolare è gradualmente calato, dice Zhang, e per il Presidente è importante riguadagnarlo in vista delle elezioni di metà mandato. In secondo luogo, "Obama deve attirare il consenso dei rappresentanti al Congresso di entrambi i partiti. Da quando il senatore democratico Ted Kennedy è morto – argomenta Zhang – Obama ha dovuto sperimentare la difficoltà di ottenere l'appoggio dei membri del legislativo. Basta guardare il caso del piano di riforma sanitaria, ostacolato dal Congresso, modificato in molte parti e ridimensionato rispetto al disegno iniziale".
Secondo l'editorialista, il presidente Usa ha bisogno di un appoggio bipartisan su temi come il commercio con l'estero e gli stimoli economici. "Molti parlamentari di entrambi i partiti, però, guardano con antipatia alle relazioni tra Cina e Usa e fanno appelli contro la Cina tirando in ballo problemi come il valore del renminbi, le relazioni commerciali e i diritti umani. Se Obama vuole ottenere il loro sostegno deve prima di tutto soddisfare le loro richieste su questi temi".
Certo il Dalai Lama, le esportazioni di tecnologia militare a Taiwan e il tema dei diritti umani sono le leve che la politica americana usa nei confronti della Cina, nota Zhang. "Tuttavia Obama non tiene conto del fatto che anche la Cina ha sempre più leve nelle sue mani. Leve dirette, come l'Iran e il nucleare; e leve indirette, come il cambiamento climatico, la questione Afghanistan e l'equilibrio economico internazionale".
Nel caso Taiwan, la Cina, dice l'editorialista, "affronterà lo scontro senza arrivare alla rottura». Tuttavia, "Pechino potrebbe muovere altre leve. Obama – avverte Zhang - è troppo ottimista e troppo sicuro di sé e rischia di raccogliere presto quello che ha seminato".
di Emma Lupano
Emma Lupano, sinologa e giornalista, cura per AgiChina24 una rassegna stampa bisettimanale volta a cogliere pareri autorevoli di opinionisti cinesi in merito a temi che si ritengono di particolare interesse per i nostri lettori.