di Adolfo Tamburello*
Napoli, 18 set. - L’archeologia monumentale del primo Novecento, basandosi prevalentemente su reperti in vista o fortuite scoperte di depositi di già antico occultamento, fu in grado di anticipare il complesso dei giudizi sugli sviluppi artistici, religiosi e culturali promossi dagli apporti che la Cina riceveva fra i secoli III-VII prevalentemente dall’Iran, dall’India e più direttamente dall’area nord- e centro-asiatica che mediava elementi finanche bizantini. L’archeologia di oggi ha addirittura pre-datato tali apporti e la mole delle scoperte ha segnato la nascita di un’archeologia sul terreno specifica per la storia della Cina degli anni 220-589 e cioè per il periodo che vide prima la spartizione del territorio nei Tre Regni di Wei, Wu e Shu-Han (durante il sessantennio 220-281) e poi la successione nel Sud delle “sei dinastie imperiali”, riconosciute legittime dalla storiografia successiva, e nel Nord dei “sedici regni” di origini “barbariche”.
Lo scavo occasionale del 1996 in un cantiere edile di Zoumalou, nella città di Chansha (provincia dello Hunan), ha comportato il ritrovamento di 57 enigmatici depositi sotterranei di migliaia di manufatti di ferro, bronzo e ceramica e di ben 100 mila tavolette di bambù e legno con scritture a inchiostro. Il materiale epigrafico, di eccezionale valore storico per l’antico Stato di Wu durante il periodo 220-237 d.C., impegnerà prevedibilmente il lavoro di generazioni di studiosi specie in ambito giuridico-amministrativo, comprensivo com’è di atti giudiziari, certificati e documenti di identificazione, registri contabili e di censimento demografico della città di Changsha.
A parte l’avvenuta scoperta di ulteriori monumenti in vista o pure l’avvenuta apertura di altri depositi o ripostigli d’epoca, che hanno restituito pure manoscritti anche su carta, l’archeologia del secondo Novecento e dei primi Duemila si è avvalsa di scavi stratigrafici che hanno messo in luce gli impianti urbani di alcune capitali succedutesi nei vari Stati, a cominciare da quella di Yecheng situata presso l’odierna Linzhang, nella provincia dello Hebei. Fondata nel 204, ancora in epoca Han, esordì come capitale fin dai primi Wei per tornare a esserlo ripetutamente durante i successivi regni fino a quelli dei Wei Orientali e dei Qi Settentrionali nel VI secolo. Scavi stratigrafici hanno guidato a loro volta l’identificazione a Datong, provincia dello Shanxi, della capitale Pincheng dei Wei Settentrionali (386-534), i cui resti hanno documentato una fastosa edilizia monumentale muraria con mattoni, colonnati, acroteri, antefisse, tegole in cotto e, per gli interni, intonaci parietali decorati da dipinti policromi. Pure messe in luce le rovine d’epoca di Luoyang (provincia dello Henan), divenuta capitale dei Wei Settentrionali nel 494 e dove sorgeva il maggiore tempio buddhista del paese, lo Yongningsi.
Ricchissima è stata la documentazione proveniente attraverso l’archeologia funeraria dalla scoperta e la messa in luce di monumentali tombe a tumulo e lo scavo di altrettanto fastose tombe a fossa, composte di più camere adibite ai sepolcri, riti e corredi mobiliari. Fra le tombe a tumulo, di grande importanza storica quelle a grandi tronchi piramidali localizzate nelle aree di Huanren e Ji’an (provincia del Jilin), che hanno fatto luce sulle origini, oggi e già in antico in territorio cinese, del regno coreano di Gaogouli (Koguryo). Furono edificate con massi o grandi pietre lavorate in fogge quadrangolari che danno vistosa esemplificazione del trapianto in loco di una tradizione megalitica o sub-megalitica poi trasferita nella penisola coreana e fino in Giappone.
Grande risonanza di stampa ha riscosso la scoperta della monumentale tomba sotterranea, con vasto clinale d’accesso, del generale Cao Cao (155-220 d.C.), scoperta a Xigaoxue , vicino ad Anyang, nella provincia dello Henan. La tomba è apparsa ripetutamente depredata in antico e fin di recente, ma gli archeologi governativi dell’ultima ora sono tempestivamente intervenuti prima che ne fossero rimossi pure i dipinti parietali già predisposti per l’asportazione. Intatta invece è stata trovata la tomba di un altro generale cinese al servizio forse di Cao Cao e del figlio Cao Pi. La tomba, dotata di un prezioso corredo, accoglieva anche la salma della di lui moglie deposta forse in seconda tumulazione. Fra i devozionali mingqi la statua di un cavallo alto 163 cm., cioè una statura che raramente i mingqi raggiungevano dopo gli esemplari ad altezza naturale devoluti a Qin Shi Huangdi.
La pittura murale era all’epoca continuativamente estesa alla decorazione funeraria. I repertori figurativi andavano da scene di vita giornaliera a commemorazioni di gesta, a soggetti o simboli di vita o miti e credenze religiose. L’elemento celebrativo ha consentito nei casi in cui non apparivano altre intestazioni l’identificazione dei defunti ivi inumati.
Specialmente nelle tombe imperiali o aristocratiche delle dinastie meridionali diventavano ricorrenti le decorazioni a stampo su mattoni, ispirate per lo più a temi taoisti e buddhisti, come rappresentato dalla più celebre di tali tombe, quella di Xishanqiao presso la necropoli di Nanchino, la cui decorazione parietale sviluppa il tema famoso dei “Sette saggi del bosco di bambù”.Fra il 1965 e il 2000 lo scavo delle tombe del casato di Wang Bing, un alto dignitario dei Jin Orientali, site a Xiangshan (provincia del Jiangsu) ha consentito la raccolta di centinaia di oggetti che hanno fornito preziose indicazioni sugli sviluppi post-Han di arti come quelle della ceramica, della lacca, della giada ecc. Una documentazione che, unita a quella proveniente da altri complessi tombali e raffrontata con quella raccolta nelle tombe e necropoli dei coevi regni settentrionali ha illustrato come il centro e il Sud della Cina rimanessero di guida degli sviluppi delle arti del Nord. Nel Nord, tuttavia, maturavano comprensibilmente più precoci processi di sinizzazione di soggetti e temi centrroasiatici, come le statuette di mingqi raffiguranti cavalli, cammelli, cavalieri e cammellieri, foggiate in terrecotte dipinte a colori e invetriate, come, per esempio, gli esemplari provenienti dalle tombe del generale Sima Jinlong (m. 484) e dell’“imperatrice” Wenming (m. 490), entrambe nella città di Datong (provincia dello Shanxi). Importanti reperti sepolcrali sono consistiti in completi da cavalleria, manufatti in oro, argenti, tessuti e ricami, resti di corpi naturalmente mummificati, molti dei quali di etnie non mongolidi, che hanno documentato una Cina molto frequentata al tempo da stranieri.
Una pagina dell’archeologia dell’epoca è costituita da quella buddhista, fra l’altro con le sue oltre 240 grotte scoperte nell’ultimo sessantennio, che hanno aggiunto un’importante documentazione alla cosiddetta “conquista” buddhista della Cina realizzata nei secoli in rassegna .
*Adolfo Tamburello già professore ordinario di Storia e Civiltà dell'Estremo Oriente all'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'.
8 settembre 2014
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