Storia di Dona, bambina prostituta che sogna di fare la sarta
“Quando mi alzo il primo pensiero è il fumo”, per poter sopportare meglio. “Quanti clienti ogni sera? Molti, anche tre. A volte anche di più”

Il vicolo di terra grigia trasuda umidità. Le pozze si allargano per tutta la larghezza della strada ed è come attraversare un torrente, pietra dopo pietra. Il quartiere Dinosaures di Grand Bassam, antica capitale coloniale della Costa d’Avorio, comincia a svegliarsi. Dietro una porta fatta di foglie di banano si apre un cortile, un coffee shop artigianale, nulla a che vedere con quelli di Amsterdam. Un ragazzo dalla maglia linda, occhiali a specchio fa da palo, dentro, su un banchetto traballante c’è la merce in mostra: fumo, pasticche e altro di poco decifrabile. Per entrare occorre pagare il ragazzotto. Polizia nemmeno l’ombra, eppure tutti sanno che quello è il ghetto della droga. Il cortile è ampio.
Ragazzotti con lo sguardo sostenuto, alcuni, altri già strafatti, si assiepano intorno al mercatino della droga. Lo sguardo è un po’ ostile. Non capiscono cosa ci faccia un bianco da quelle parti e per giunta con una ragazzina. Dona, bella, ciglia lunghe, un fare un po’ assonnato, ha appena fumato, ha scelto quel posto per raccontare la sua storia, perché la prima cosa che fa al mattino è andare in quel luogo per comprarsi del fumo. Il resto viene da sé. I soldi per la droga se li procura prostituendosi, ma non lì, sulla spiaggia oceanica. Non molto distante dal chiosco della madre, che vende costumi e abiti da spiaggia.

Dona è una delle tante ragazzine, tra gli 8 e i 17 anni, che si prostituiscono, “sesso di sopravvivenza”, mi spiega Alessandro Rabbiosi, responsabile per la Costa d’Avorio di Terre des Hommes. Lui, la sua Ong, si occupa di queste ragazzine. Sono in molte. Secondo una stima sono un migliaio quelle potenzialmente a rischio o che si vendono per pochi centesimi di euro a Grand Bassam, città, 80 mila abitanti, poco distante dalla capitale economica della Costa d’Avorio, Abidjan.
Dona, mi racconta, “quando mi alzo il primo pensiero è il fumo”, e il ghetto è il luogo dove va di prima mattina. Si droga, non solo fumo, ma anche pasticche di metanfetamine, qui lo chiamano “nabidou”, per poter sopportare meglio (una dose di fumo costa 200 franchi Cfa, una pasticca 500). “Si, vuoi sapere quanti clienti ogni sera? Ma… molti, anche tre. A volte anche di più”. Clienti locali, ma anche molti bianchi. Ma il guadagno è misero: 200 franchi Cfa a cliente (0,30 euro), a volte 500 (0,80 euro). Una miseria. “Molte di queste ragazzine, per poter avere un certo numero di clienti”, mi racconta Rabbiosi, “si debbono drogare prima. Per questo contraggono debiti con gli spacciatori e poi diventano vittime e alla mercé di chi spaccia. Contraggono continuamente debiti. Entrano in un circolo vizioso da cui è difficile uscire”.

Dona è lì, in quell’angusto cortile. Mi racconta la sua storia, e intorno a lei i ragazzotti si innervosiscono. Alzano la voce. Dobbiamo uscire, la minacciano. “Adesso non faccio nulla, ma l’anno prossimo”, mi dice con una punta di orgoglio, “voglio andare all’Ifef (una sorta di istituto professionale per ragazze, nda). Si mi piacerebbe cambiare vita. Mi piacerebbe imparare a scrivere, a leggere. Diventare una sarta, oppure una pasticcera”, ma anche “avvocato, però bisogna studiare. Io so un po’ leggere e scrivere, ma non troppo”. Le idee non sono molto chiare, ma frequentare il “centro madre-figlia” creato della Comunità Abele e da Terre des Hommes, ha comunque smosso qualcosa in lei. Dona è una delle ultime arrivate. Vedere altre ragazze come lei che cominciano a farcela, lasciandosi alle spalle quella vita, è certamente da stimolo.
“Dona ha un potenziale enorme”, racconta Rabbiosi, “ma non vede ancora con chiarezza alternative a quello che abitualmente fa. Ancora oggi la prima cosa è drogarsi, poi cercare i clienti e, comunque, vivere alla giornata in un’ottica di on the road estrema… il fascino maledetto di uno stile di vita ai margini della società e impregnato di piccola e grande criminalità, che è fortissimo tra i giovani anche a queste latitudini e facilitato dall’assenza di reali alternative-prospettive di vita. Il fatto, tuttavia, che frequenti regolarmente le attività del centro, ci dà speranza. Siamo fiduciosi di poterla inserire in un percorso formativo”, adatto alle sue qualità e capace di aggirare i suoi difetti. La voglia di cambiare c’è. Dona sembra aver preso una decisione e tiene a spiegare che l’ha presa da sola, “nessuno me lo ha chiesto. Prima andavo a scuola, ma non entravo mai in classe, stavo fuori e non facevo nulla. Fumavo, poi andavo a Dangoro, lì c’è la musica, da bere e i ragazzi, la spiaggia”.

L’approccio di Terre des Hommes è molto laico, “non diamo giudizi morali”, spiega Rabbiosi, “diciamo semplicemente loro che per noi sono importanti, che non sono abbandonate a sé stesse. Diciamo no al fatto che il loro destino sia esclusivamente quello di sopravvivere e di dare piacere ai clienti. No, questo no”. Il lavoro è duro. “Spesso abbiamo l’impressione di andare a svuotare l’oceano con un scolapasta, ma teniamo duro perché i primi risultati sono incoraggianti”. Dona ha capito che c’è un’alternativa possibile, che la sta costruendo, anche se con fatica. Lei ha iniziato a vendersi all’età di 12 anni, ora ne ha quasi 17, e i danni fisici e psicologici sono enormi. In fondo sono ragazzine e come tutte le ragazzine del mondo vogliono divertirsi, sentirsi importanti, contare qualcosa. Non essere vittima del piacere altrui e della propria distruzione. Dona ha cominciato a prendere coscienza, anche se, ne è consapevole, “il cambiamento arriva con il tempo, non si cambia perché te lo ordinano…ci si deve arrivare. Voglio diventare grande e cambiare” e, poi, dice sorridendo, “non mi riconosceranno più, tanto sono cambiata”.

Tanti auguri Dona, ora sei anche la protagonista del progetto “dalla parte di Nice” che dà voce alle ragazzine africane che, come te, vogliono contare e lasciarsi alle spalle un passato di diritti negati.
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