Laurent Gbagbo resta in carcere. La corte penale internazionale (Cpi) ha sospeso la scarcerazione dell’ex presidente della Costa d’Avorio, imputato con l’ex leader dei Giovani Patrioti Charles Blé Goude per crimini contro l’umanità. Solo martedì scorso la corte aveva assolto Gbagbo per insufficienza di prove. Gbagbo è stato il primo capo di Stato a finire alla sbarra alla Cpi.
Primo grado
Gbagbo è stato arrestato e poi estradato all’Aja nel 2011, con la pesante accusa di crimini contro l’umanità messi in atto durante la crisi post-elettorale, che aveva portato alla morte di oltre 3.000 persone e causato l’esodo di oltre 500mila persone. Nel 2010, quando era stato sconfitto dall’attuale presidente Alassane Ouattara, Gbagbo non aveva accettato il risultato e questo aveva scatenato un’ondata di violenze che aveva gettato nel caos politico ed economico il Paese. In prima istanza la procura non è riuscita a dimostrare, e da qui la scarcerazione, che i discorsi pubblici di Gbagbo, durante la crisi, siano stati “un ordine o un’istigazione” a commettere crimini. La Corte, infatti, aveva dato ragione all’avvocato difensore di Gbagbo, Jennifer Naouri, secondo il quale “il pubblico ministero semplicemente non ha indagato dall’inizio in modo indipendente e professionale”, sostenendo che per questo le prove a carico dell’ex presidente della Costa d’Avorio sono “non autenticabili, verificabili, tracciabili, affidabili e non possono essere incrociate”. Ora è tutto da rifare.
Vent’anni
Con il ricorso in appello della procura si ribalta tutto. I giudici della Corte dovranno decidere se accogliere o rigettare il ricorso. In caso lo respingano dovranno aprire colloqui con i paesi disposti ad accogliere l’ex presidente ivoriano. Il rientro in Costa d’Avorio, infatti, non sarà immediato soprattutto perché su di lui pende una condanna a 20 anni di reclusione, comminata dalla giustizia ivoriana. Insieme a lui sono stati condannati anche il suo ultimo primo ministro e due altri suoi ex ministri. L’accusa è aver sottratto denaro, tra il 2010 e il 2011 dalla Banca Centrale degli Stati dell’Africa occidentale. La Corte, inoltre, dovrà valutare la pericolosità dell’ex presidente se dovesse tornare in patria, come già ha fatto per ben 14 volte rigettando le richieste di libertà provvisoria. La figlia, Marie Laurence Gbagbo, ha, invece, fatto sapere che suo padre “non vivrà in nessun altro Paese oltre alla Costa d’Avorio. Vuole tornarci e ci aspettiamo che torni”, senza specificare se il padre nutra ancora ambizioni politiche.
Un futuro incerto
La sentenza di scarcerazione e ora la decisione di prolungare lo stato di fermo, arrivano a un anno dalle elezioni presidenziali che si terranno nel 2020. Un’incognita che potrebbe pesare sull’esito elettorale. La possibilità che Gbagbo possa candidarsi per le presidenziali, per ora, appare remota, così come il suo rientro nel Paese. Qualsiasi sia la decisione della Corte internazionale, questa potrebbe causare non poche tensioni in Costa d’Avorio, come già si è visto nei giorni scorsi. Ad Abidjan, capitale economica del paese, sono scesi in piazza i sostenitori di Gbagbo, ma anche le vittime della crisi del 2010. Nel quartiere di Yaupougon si è festeggiato per la notizia della scarcerazione. Il quartiere di Abobo, a nord di Abidjan, è stato teatro, invece, delle proteste. Questo fa capire come Gbagbo goda ancora di un certo seguito e come la popolazione sia divisa. Ed evidenzia, inoltre, che il processo di riconciliazione sia ancora lontano dall’essere realizzato.
Misure di riconciliazione
Proprio alla riconciliazione si è appello il portavoce del governo ivoriano, Sidi Touré, invitando “tutte le persone alla calma, al perdono e alla riconciliazione”. Touré ha anche detto che il presidente Alassane Ouattara e il suo governo hanno rivolto un pensiero alle vittime degli scontri dopo le elezioni del 2010 e che saranno approvate “misure aggiuntive” a loro favore. La più grande incognita per la Costa d’Avorio rimane, ancora, l’ingombrante presenza del settantatreenne Gbagbo.