(di Daniele Atzori)
Le rivelazioni di Wikileaks hanno aperto importanti squarci per afferrare meglio la "verita' effettuale" del Medio Oriente. Innanzitutto, il primo dato che colpisce e' quello numerico. Se, per esempio, i cablogrammi inviati da due importanti capitali europee come Roma e Parigi ammontano rispettivamente a 2.890 e 3.775, ben piu' consistenti sono i flussi provenienti dalle capitali dei Paesi musulmani, come Kuwait City (3.717), Amman (4.312), Baghdad (6.677) e Ankara (7.918).
Per quanto riguarda i contenuti, ad emergere e' soprattutto la preoccupazione sostanzialmente unanime dei governi arabi per l'estendersi dell'influenza iraniana in Medio Oriente, che spinge alcuni di essi ad augurarsi un intervento americano, o israeliano, per impedire lo sviluppo del nucleare di Teheran.
Il fatto che l'Iran sia considerato come una minaccia dai cosiddetti Paesi arabi moderati, e in primis da Egitto, Arabia Saudita e Giordania, e' cosa ben nota. Arabia Saudita e Iran sono, perlomeno da tre decenni, in aperta competizione per l'egemonia politica, culturale e religiosa sul mondo islamico. Alla cordialita' dei loro incontri in sedi ufficiali, come l'Organizzazione della Conferenza Islamica e l'Opec, si contrappone una ben diversa realta' quotidiana di acceso confronto. L'Iran sciita propone un islamismo rivoluzionario, dalle tinte messianiche, al quale l'Arabia Saudita contrappone un modello conservatore, dal punto di vista politico e sociale. L'Arabia Saudita si presenta pertanto, insieme a Egitto e Giordania, come l'architrave dello status quo del Medio Oriente, mentre l'Iran cerca di aggregare chi si oppone agli attuali equilibri.
I governi dei Paesi arabi moderati hanno da decenni individuato nell'alleanza con l'Occidente un elemento strutturale della propria politica estera, e nell'Iran e nei suoi alleati, come la Siria, una minaccia per la regione.
Negli ultimi anni, l'influenza dell'Iran nel mondo arabo e' cresciuta notevolmente. La longa manus dell'Iran e' accusata di fomentare la guerra civile in Yemen, di offrire supporto politico e logistico a Hezbollah in Libano, di sostenere l'Hamas palestinese. Inoltre, la guerra in Iraq ha rimosso Saddam Hussein, ma ha avuto il paradossale risultato di estendere l'influenza iraniana a Baghdad. Sono infatti in molti, in Medio Oriente, a considerare la recente elezione del primo ministro iracheno Nouri al Maliki come un'ulteriore vittoria di Teheran. Anche secondo informazioni pubblicate a ottobre dal quotidiano inglese Guardian, il ritorno di Nouri al Maliki come primo ministro iracheno sarebbe l'esito di una mediazione iraniana che avrebbe anche coinvolto la Siria ed Hezbollah, oltre al leader sciita radicale Moqtada al Sadr.
Alla luce di quanto affermato non stupisce, dunque, il nervosismo delle cancellerie arabe a proposito dell'estendersi dell'influenza iraniana, che talvolta si esprime nei toni di una sorta di sindrome d'assedio. Le rivelazioni di Wikileaks confermano una verita' evidente da tempo: i governi arabi moderati individuano nell'aspirazione egemonica dell'Iran una drammatica minaccia. E a questa minaccia fanno fronte con toni e con modi non di rado spregiudicati. L'invito dell'Arabia Saudita agli Stati Uniti a tagliare la testa del serpente iraniano e' un esempio eloquente.
Senza dubbio, i governi arabi moderati temono che l'Iran diventi una potenza nucleare, in grado di rovesciare i rapporti di forza nella regione. Ma ancora di piu' essi temono la possibilita' di un'eventuale intesa tra Iran e Stati Uniti che, inevitabilmente, portera' a dei compromessi pesanti da accettare per i Paesi arabi.
Le rivelazioni di Wikileaks si limitano a mettere nero su bianco cose che, in Medio Oriente, sanno quasi tutti. Ma rischiano di avvalorare agli occhi di una parte consistente dell'opinione pubblica araba il sospetto che i propri governi non facciano gli interessi dei loro popoli, ma delle elite al potere e degli americani.
Una simile convinzione rafforza cosi' la pretesa iraniana di ergersi ad autentico rappresentate dei popoli musulmani, e in primis del popolo palestinese, delegittimando i governi. Temendo questo rischio, i media arabi, sui quali i governi esercitano varie forme di controllo, hanno evitato di dare eccessivo risalto ai contenuti dei cablogrammi di Wikileaks. Lo stesso network satellitare Al Jazeera, che si e' abilmente costruito l'immagine di paladino delle masse arabe e della liberta' di informazione contro i regimi, e' stato messo in pesante imbarazzo.
Secondo le rivelazioni di Wikileaks, infatti, Al Jazeera sarebbe vista come uno strumento del governo del Qatar, utilizzata scaltramente per esercitare pressioni su altri governi arabi. I paesi coi quali il Qatar non ha buoni rapporti sarebbero, infatti, puniti con servizi televisivi critici. Nonostante i media arabi abbiano cercato di contenere l'effetto delle rivelazioni di Wikileaks, l'impatto sulle societa' arabe e' stato comunque notevole.
I media tradizionali hanno infatti perso potere nei confronti della cosiddetta "blogosfera", che nei paesi arabi sta avendo uno sviluppo impetuoso. Lo sviluppo di questa "sfera pubblica" araba transnazionale, che sfugge al controllo dei governi, delle forze politiche e dei potentati economici, e' una delle novita' piu' rilevanti degli ultimi anni. Se Al Jazeera ha rivoluzionato da anni il panorama dei media arabi, grazie al proprio linguaggio moderno e accattivante che ha spiazzato i paludati notiziari governativi, i blog stanno ulteriormente trasformando le societa' arabe, dato che ormai un vastissimo numero di persone ha accesso quotidiano a internet. A risuonare per la rete non e' quindi soltanto l'indignazione verso i propri governanti, men che meno la sorpresa per i contenuti delle loro segrete conversazioni, ma piuttosto una rabbiosa richiesta di trasparenza.
10 dicembre 2010