Mosca - "Tutti in Russia sperano che il tandem Medvedv-Putin prosegua, sta qui la garanzia della pace sociale nel Paese. Qualsiasi altro scenario sarebbe insostenibile. Uno scontro aperto tra presidente e premier sarebbe un esperimento molto pericoloso. Ma non si giungera' a tanto. Si tratta di due politici forti e ambiziosi ma responsabili". E' l'opinione di Gleb Olegovic Pavlovskij, ucraino di nazionalita' russa, analista e politologo, consigliere dell'Amministrazione presidenziale russa e responsabile della Fondazione per la politica effettiva. Nel corso di un'intervista all'Agi, Pavlovskij, confondatore del "Giornale russo" e commentatore in diversi programmi televisivi, ha tracciato un quadro della politica interna russa e analizzato il nuovo approccio della Federazione nei confronti dell'Occidente e della Nato.
Al Forum di Yaroslavl Medvedev ha respinto l’idea di una democrazia parlamentare per la Russia sottolineando che il paese non ha bisogno di trasformazioni "radicali". Non ritiene pero' che il vero nodo istituzionale della Federazione sia il rapporto tra legislativo ed esecutivo?
E' la questione fondamentale ma per capirla fino in fondo occorre avere presente non solo la Costituzione ma anche le tradizioni russe. In Russia oltre al potere legislativo, giudiziario ed esecutivo, da cui discende il governo, esiste un potere presidenziale che non somiglia affatto a quello americano. A differenza degli Usa da noi il capo dello Stato non e' parte dei poteri tipici dello Stato moderno. E' piuttosto, anche se la Carta russa non e' abbastanza chiara su questo punto, il loro moderatore. E con Eltsin che nasce questa ambiguita' istituzionale. Lui ha creato l’amministrazione presidenziale distinta dall’esecutivo e dagli altri organi dello Stato. Un potere nato "puro e diverso". Concepito come atipico, indivisibile e incontrollabile. Ecco l’equilibro costituzionale russo. Se ora venisse cancellato da una forma parlamentare di repubblica l’unità dello Stato sarebbe a rischio. Quanto e' successo in Ucraina e' sotto gli occhi di tutti. Se anche in Russia l’elettorato si dividesse secondo linee di demarcazione geografica: un partito forza dominante fino agli Urali e un altro vittorioso nel resto del paese, e noi riteniamo che con una repubblica parlamentare questo scenario potrebbe avverarsi, il governo centrale sarebbe impossibile. Anche riguardo il rinnovamento dobbiamo avere presente la storia del paese. Tra cambiamento e radicalismo l’accento deve andare sulla prima parola. Europa e Russia danno un significato molto diverso alla parola radicale. In Russia questo coincide con nichilismo. La nostra cultura e' fondamentalmente anarchica. Abbiamo sempre avuto uno Stato autoritario ma siamo stati sempre pronti a distruggere tutto.
Sempre un legislativo subalterno al governo allora?
No. La questione del riequilibrio tra i poteri, ancora irrisolta, e' cruciale in Russia. Quando si afferma che Putin ha dato, o ridato, vita alla cosiddetta "verticale del potere" bisogna sapere che si parla del solo potere presidenziale. Putin non ha ristabilito il potere esecutivo che, a livello regionale, e' parcellizzato in strane coalizioni formate da elementi di potere federale e gruppi locali che di volta in volta scelgono con chi collaborare. E' ovvio come in questi casi tutto dipenda dai rapporti di forza tra i partner. La via d'uscita sta nello sviluppo di un forte sistema partitico con un legislativo basato sui partiti. Un percorso che e' stato possibile iniziare solo con l’uscita di scena di Eltsin. Il primo presidente russo, coerentemente con la sua concezione del potere presidenziale, non voleva partiti forti. Ora le riforme dovranno prendere questa direzione. Si tratta di rafforzare il sistema dei partiti e, se possibile, di allargarne il numero. Non dovra' essere un processo artificiale di cooptazione di parlamentari di altri partiti. L'unione delle forze di centro poteva essere una di queste forze politiche. Senza gli errori commessi nella campagna elettorale 2003 ora sarebbe in parlamento.
Eltsin e' un problema ancora aperto per la Russia. In una biografia appena uscita il primo presidente russo viene inserito nel filone della Russia "sotterranea". L’uomo "dell’altra Russia protestante". Un vecchio credente "senza doppiezze e ipocrisie". Alla fine uno scismatico.
Conosco e stimo Munaev l’autore del volume. Sono tesi affascinanti ma insostenibili. Eltsin, al contrario, e' stato uomo della Russia piu' arcaica. Un personaggio della nostra favolosa mitologia. Una sorta di Giufà che dal nulla ottiene tutto e realizza il paese della cuccagna con riforme dolci, semplici e brevi. E' l’utopia russa. Un uomo dal forte passato sovietico che un giorno si sveglia credente. Un comunista che vuole la democrazia per decreto. Un visionario dalle caratteristiche bizzarre che in parte ricordano Stalin. Un uomo sospettoso come nessuno nella Russia contemporanea. Per esempio la tendenza a creare scenari per poi gestirli era tipica del dittatore georgiano. Uno Stalin sui generis che non voleva spargere il sangue. Quando nel 1993 Eltsin ha dato l'ordine di attaccare il Parlamento, lo ha fatto controvoglia. Al suo posto un altro avrebbe instaurato la dittatura, lui non lo ha fatto. Un'altra sua decisione fatale e' stata la guerra in Cecenia. Contemporaneamente ha scelto il suo successore con molta attenzione e concretezza. Provando diverse persone sul campo.
Uno scismatico?
Qui qualcosa di vero c'e'. Io andrei persino oltre. Tra gli anni '80 e '90 Eltsin si e' comportato come un impostore. Anche qui la storia russa offre dei modelli. Personaggi che creano poteri paralleli e lasciano lo zar solo. Momenti distruttivi per lo stato. Distruttivi per la morale politica, amministrativa e burocratica. Chi passa armi e bagagli nello stato parallelo? I trasformisti. Non certo le persone competenti. Chi e' andato nello stato parallelo eltsiniano? I peggiori, con la sola eccezione di Gaidar e del suo gruppo.
Prima la liberta' personale poi quella del paese, cosi Medvedev sulla Rossiskaja Gazeta. Per Surkov il paese deve imparare a rischiare. Inviti nei confronti dei cittadini ad assumersi responsabilità in proprio. Facile?
Effettivamente esiste un problema. Negli ultimi venti anni l'unica concorrenza e' stata quella tra bande. Il popolo ha potuto solo difendersi cercando garanzie. Ora e' difficile che la concorrenza positiva si affermi grazie agli appelli dei leader. Quello che in realta' gli individui vogliono e' che lo Stato non si occupi di loro: "voto solo se la politica non mi tocca". E' questa la nostra idea di liberta', cosi' la pensa la maggioranza dei nostri concittadini. Sono le conseguenze del trauma sovietico quando lo Stato occupava tutto e tutti. Il rapporto col fisco e' esemplare da questo punto di vista. Le tasse, soprattutto quelle sugli immobili, sono quasi inesistenti. Il governo deve cambiare questa situazione ma ne teme le reazioni. Sara' molto difficile modificare questo stato d’animo. Spingere ora le persone ad aprirsi verso una forma produttiva di conflitto, di concorrenza, sara' difficile. Occorre dare qualcosa in cambio. Ma cosa? Qui probabilmente ha sbagliato Putin, abbiamo sbagliato noi a non pensarci cinque o sei anni fa quando la congiuntura energetica era positiva. Ma avevamo altro da fare. C’era la guerra nel Caucaso, occorreva conservare l’unita' statale. Oggi il sostegno al "rischio positivo" e' piu' difficile. "Russia Avanti", dice il presidente. Bene ma chi fa il primo passo? "Non io, fallo prima tu" pensano in tanti. Molto piu' semplice e sicuro attaccarsi al bilancio dello Stato.
Il distretto federale del Caucaso del Nord esiste da un anno. La Russia controlla il Caucaso?
Controlliamo il Caucaso ma il solo controllo non basta. Serve integrare la regione e per ora un programma di integrazione non esiste. Il rischio non è il separatismo ma la trasformazione della regione in un enclave. Il Caucaso è stato in pace solo nei periodi di forti dittature. Persiana o sovietica non fa differenza.
Si puo' cecenizzare il Caucaso?
Impossibile. Credo che oggi, a differenza di cinque anni fa, nessuno la pensi cosi al Cremlino. Innanzitutto il Caucaso e' molto complesso. Daghestan e Inguscezia sono diversi dalla Cecenia e tra di loro. Para-nazioni che non possono vivere autonomamente ma non riescono a integrarsi. Un Medio oriente in piccolo per la complessità della situazione. E per i giochi che le potenze portano avanti.
La modernizzazione e' la parola d’ordine della Russia contemporanea. Ma di quanto consenso sociale e politico gode?
Il consenso sulla modernizzazione riguarda la sua necessita. Sul fatto che serva rinnovare profondamente economia e istituzioni politica e società sono d’accordo. Qui finisce il consenso. Riguardo modelli, programmi e priorità della modernizzazione ognuno la pensa a modo suo. Il governo ha un concetto di modernizzazione piuttosto inerziale. Medvedev fa pressione affinche' si investa nella modernizzazione si settori precisi ma, secondo me, il ministro delle Finanze e' scettico.
Senza Medvedev niente modernizzazione allora?
Gia'. Non si vede la svolta. Servirebbe un territorio, una regione senza legge e fisco in cui ognuno possa fare quello che crede. In realta' sono venti anni che si parla di riforme senza farle al punto che le persone hanno perso le speranze.
Skolkovo?
Skolkovo e' un tentativo di creare, di mostrare che l’innovazione esiste ed e' in marcia. Ma non e' vero. Nessuno ci crede. Skolkovo e' un'iniezione di speranza. Ma e' poco. Va tutto molto lentamente come ha riconosciuto lo stesso Medvedev. Una parte dell'elite risolverebbe tutto per via amministrativa. Un decreto presidenziale ed opla' nasce la nuova perestrojka.
Le ultime due settimane sono state di passione per la Federazione. Attacchi ai giornalisti, a Kushchevskaja nella regione di Krasnodar 12 persone, parte di una famiglia allargata, uccise. Titoli drammatici di giornali e televisioni. Cosa succede alla Russia?
Il problema della violenza e' molto complesso ma va risolto rapidamente. Anche in questo caso bisogna risalire alle nostre tradizioni piu' negative. Ancora una volta siamo rimasti impantanati nelle conseguenze di una nostra rivoluzione, in questo caso quella con cui ci siamo sbarazzati dell'Urss.
Secondo Isaac Deutscher le rivoluzioni russe restano sempre incompiute.
Gia', ma non si tratta solo di questo. Noi dal 1991 non siamo ancora usciti dalla fase dal processo dell'improvvisazione statale. La Russia e' il risultato dell’imprevedibilita' e dell’improvvisazione che ne consegue. La separazione dall’Urss e' avvenuta nell’impreparazione dei nostri leader. Il processo di improvvisazione, trasferito alle istituzioni, prosegue tuttora. La societa' ha sentito questa improvvisazione come un'aggressione nei propri confronti, come un invasione. L’ondata di violenza degli anni ’90 ha rappresentato il culmine di questo processo. E' da allora che le riforme sono temute. E chi ha paura tende a difendersi. E' iniziato allora il processo di privatizzazione della violenza. Non è semplice banditismo. E' un tentativo di allontanarsi dallo Stato volendo appropriarsi però delle sue funzioni decisionali perse dopo il crollo sovietico. E' un sistema profondamente radicato che negli anni ‘90 ha paradossalmente rappresentato una forma di socializzazione di gran parte dei giovani disoccupati. Riguardo quanto successo a Kushchevskaja è interessante notare che in questa regione l’imprenditoria agricola è altamente sviluppata. Qui, per la prima volta dagli anni '90, le esportazioni del complesso agrario russo hanno superato le importazioni. E' una zona integrata nel sistema economico globale che contemporaneamente nutre e sostiene forme estreme di violenza privata. Un fenomeno diffuso dove confluiscono fattori diversi non escluso il legame con i poteri criminali locali. Fino al 2000 era esattamente cosi. In seguito, quando Putin ha riportato al servizio dello Stato polizia, esercito e servizi segreti, il banditismo di strada e' diminuito ma quei legami sono rimasti. Il sistema e' uscito dall’ombra per avvicinarsi all’apparato dello Stato. E' un problema enorme.
Gli attacchi ai giornalisti?
In gran parte rientrano in questo schema. Nella maggior parte dei casi i mandanti sono privati anche se a volte occupano posti statali. Non si tratta però di ordini partiti dall’interno dello Stato. Anche se spesso si tratta di persone in grado di utilizzare risorse a disposizione del potere e spesso spezzoni dell’apparato dello Stato. Polizia, servizi segreti prendono parte a questo schema per diverse ragioni. A volte commerciali, a volte per una sorta di reciprocità con ambienti criminali. Una situazione molto pericolosa. È questa la vera barriera contro la quale si scontra il piano anticorruzione dello Stato.
Nell’aggressione a Oleg Kashin si è visto lo zampino di Moladaja Gvardia. Il sito del movimento giovanile ha definito il redattore di Kommersant un traditore…
Sinceramente non credo che questo sia rilevante. I movimenti giovanili nascono attorno al 2005 per evitare che il potenziale di socializzazione presente in queste fasce di età possa essere usato contro lo Stato come è successo a Kiev. Una strategia che non è stata però accompagnata da una politica sociale ed economica. In Russia come in Ucraina le piccole e medie imprese sono sottosviluppate, il piccolo business non esiste mentre il grande tocca solo i vertici della società. Molti giovani sono cosi confluiti in queste “brigate” politiche nelle quali un lessico estremamente aggressivo è gridato da persone estremamente passive inserite in organizzazioni dove in sostanza non si fa nulla. A parte manifestazioni rumorose. Ci sono contiguità con gruppi criminali o con strutture parapolitiche organizzate, ultrà calcistici, estremismi neo nazisti o antifascisti che in Russia sono di fatto la stessa cosa. Non vi sono prove che questo magma sia stato utilizzato da qualche struttura statale per compiere azioni criminose. Molto diverso è invece il caso delle dichiarazioni delle autorità quando creano un atmosfera di tolleranza verso la violenza. Se il governatore della regione di Mosca Turchak minaccia Kashin e dopo al giornalista succede qualcosa il governatore se ne deve andare. E credo che sarà proprio cosi.
Si è appena aperto un nuovo corso nei rapporti Nato-Russia. I presidenti russo e americano finora hanno marciato parallelamente. La sconfitta di Obama potrebbe diventare la sconfitta di Medvedev?
Troppo presto per parlare delle conseguenze del vertice di Lisbona. Riguardo l’eventuale sconfitta di Obama, che non è però scontata, potrebbe essere un colpo per Medvedev. I problemi di Obama sono in parte simili a quelli di Medvedev. Il pericolo è che di fronte alla portata enorme dei problemi il presidente Usa scelga di rinunciare al radicalismo per frenare e passare a una sorta di soluzione inerziale delle questioni. In tal caso perderebbe amici per guadagnare nemici. Medvedev corre lo stesso rischio. È questa la questione cruciale del secondo mandato di Medvedev.
A proposito delle elezioni presidenziali russe. Un confronto aperto tra Putin e Medvedev sarebbe un bene per il paese?
Tutti sperano che il tandem prosegua. Sta qui la garanzia della pace sociale in Russia. Qualsiasi altro scenario sarebbe insostenibile. Molti ritengono che il livello di serenita' garantito dal tandem sia minimo. Tutti pero' temono la possibilità di scendere sotto il livello di guardia. Percio' uno scontro aperto tra presidente e premier sarebbe un esperimento molto pericoloso. Ma non si giungera' a tanto. Si tratta di due politici forti e ambiziosi ma responsabili.
Di nuovo suspence allora come nel 2008?
No, non avverra' come quattro anni fa quando a scegliere e' stato solo Putin. Oggi questo non sarebbe possibile. Il processo sarà pubblico. (di Francesco Cannata')
25 Novembre 2010