AGI - “Le donne e i bambini stanno soffrendo più di tutti. Molti non hanno un riparo adeguato, forniture igieniche o persino vestiti caldi. I bambini sono visibilmente traumatizzati, e le madri si trovano impotenti nel proteggerli e consolarli. La situazione è grave e straziante. Queste non sono solo storie, sono le mie esperienze personali, cose che ho visto con i miei occhi. Sono ancora scossa, ma so quanto sia importante che il mondo ascolti ciò che sta accadendo”: è l’accorato appello di Fatima, un’afghana residente in una delle zone più colpite dal terremoto di magnitudo 6 dello scorso 31 agosto, che ha causato più di 2.200 morti, beneficiaria di un progetto per le donne di Nove Caring Humans, una delle poche Ong ancora operativa nelle province orientali dell’Afghanistan, teatro della catastrofe che ha causato oltre 2.200 morti e ingenti distruzioni. "Ho visto personalmente molti corpi senza vita, più di quanti ne abbia mai visti in tutta la mia vita. Il numero di vittime era così alto che nei bazar vicini sono finite persino le bende funebri (kafan). Intere famiglie sono state cancellate. Il dolore e il lutto nelle nostre comunità sono indescrivibili. Alcune case sono state completamente sepolte dalla terra, rendendo impossibile salvare chi era all’interno. La gente ha semplicemente piantato delle bandiere sopra le macerie, accettando che ormai fossero tombe”, racconta ancora Fatima.
Se le oltre 16 scosse, avvertite una dietro l’altra, e quelle di assestamento dei giorni successivi hanno colpito tutti, per la perdita di parenti, della propria casa e dei mezzi di sostentamento, a patire maggiormente del potente terremoto sono indubbiamente le donne. “L'estrazione delle donne dalle macerie in alcuni casi non è avvenuta, ed è stata comunque più difficile e lenta per via dei tabù che impediscono a uomini estranei di toccare una donna. Il personale medico femminile, deputato a prendersi cura delle donne, è sempre meno perché le donne non possono più frequentare l'università e laurearsi; inoltre dottoresse e infermiere non hanno potuto raggiungere molte zone terremotate a causa dei divieti che limitano gli spostamenti femminili”. A riferirlo all’Agi è la vice presidente di Nove Caring Humans, Susanna Fioretti, in contatto quotidiano con il team dell’Ong in loco. Al problema dei soccorsi e delle cure mediche, si aggiunge un altro aspetto, più complesso e delicato, derivante dalle stringenti regole di vita quotidiana per le donne imposte dai talebani e che fanno dell’Afghanistan l’unico Paese al mondo in cui non possono studiare dopo i 12 anni.
“Nelle campagne ci sono donne che lavorano nei campi, magari affiancando il marito. Ma in generale una donna, soprattutto se vive in zone isolate, è confinata in casa gran parte del tempo, non può farsi vedere all'esterno se non coperta dalla testa ai piedi, spesso non può nemmeno uscire da sola. Per loro quindi la casa è sì una prigione, ma anche un riparo, l’unico spazio di libertà dove possono muoversi senza doversi coprire nè indossare maschere. Alcune donne sono morte proprio perché nonostante le scosse, per loro è stata più forte la paura di abbandonare la propria casa, di uscire per strada, sole, di notte, per mettersi in salvo”, ha riferito Fioretti. Per loro quindi, perdere la propria casa nel terremoto è stato doppiamente traumatico: è un trauma materiale oltre che emotivo molto forte. "Per loro significa aver perso il proprio guscio protettivo. Nei campi di accoglienza, la tenda non è come una casa. I bagni sono comuni e le ragazze e donne non hanno più uno spazio protetto per lavarsi, cambiarsi. In realtà non hanno più nulla. Al momento il clima è ancora clemente ma presto arriverà la pioggia e il freddo rigido di queste zone montagnose", ha proseguito l'interlocutrice.
L’Afghanistan è agli ultimi posti dei paesi più poveri al mondo, dove di registrano tassi di malnutrizione altissimi per la devastante crisi economica in atto, il calo degli aiuti internazionali e i cambiamenti climatici. “Le donne, a maggior ragione quelle che si trovano nelle province flagellate dal terremoto del 31 agosto, devono fare i conti con problemi di sopravvivenza quotidiana, oltre che per la distruzione della propria casa per la perdita del marito, di figli maggiori o di qualche parente che prima garantivano l’entrata economica della famiglia”, ha ancora riferito Fioretti.
Nelle province di Kunar, Nangarhar e Laghman - quelle colpite dal terremoto e alle prese con una storica crisi alimentare - Nove sta attuando un progetto di agro-pastorizia e food processing finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics): “Semi di Rinascita”. Il progetto consiste nella formazione all'allevamento e nella consegna di capi di bestiame ai beneficiari, per lo più donne, fornendo così mezzi di sostentamento alimentare e una piccola fonte di guadagno.
Oltre ai danni alle abitazioni, l’impatto più pesante riguarda proprio il settore rurale. Nella sola provincia di Kunar sono stati persi più di 25.600 animali (tra mucche, pecore/capre, asini e pollame) e oltre 3.400 risultano feriti, con la distruzione di 928 magazzini di foraggio e 215 stalle e le fonti d’acqua interrotte. Queste perdite compromettono seriamente la sicurezza alimentare e i mezzi di sostentamento delle comunità, rendendo indispensabili interventi strutturali di recupero. Al momento quindi l’agricoltura - unica fonte di guadagno - è totalmente ferma, tagliando risorse vitali alla sopravvivenza delle famiglie.
Per tutti questi motivi, Nove ha lanciato un’apposita raccolta fondi per “l’emergenza terremoto” (https://sostienici.novecaringhumans.it/emergenza_terremoto/), mentre sul terreno il team locale sta valutando gli interventi prioritari da finanziare e attuare. Nella provincia di Kunar, al momento le attività prioritarie di intervento si concentrano nel villaggio di Wadeer e nel distretto di Nurgal, dove le comunità locali hanno chiesto la rimozione delle carcasse di animali, la riabilitazione di strade e canali, la fornitura di acqua potabile, la consegna di tende, materiale invernale, vestiti, pacchi alimentari, cliniche attrezzate e scuole. Nella provincia di Nangarhar, Nove sta intervenendo prioritariamente nel distretto di Dara e Noor, un’area rimasta marginalizzata nella risposta, con scarsa presenza di Ong internazionali rispetto a Kunar". Nella lista dei bisogni richiesti dalle comunità sia nella provincia di Kunar che di Nangarhar ci sono la fornitura di cibo, acqua potabile, kit igienici, oltre all'accesso ai servizi sanitari ed educativi, l'assistenza in denaro e il sostegno per la ricostruzione delle abitazioni. Nove sta raccogliendo fondi per poter intervenire in risposta a queste ingenti necessità.
“La gestione di questa emergenza è davvero una corsa contro il tempo. Dobbiamo muoverci prima che le condizioni meteo peggiorino per evitare che chi si è salvato dal terremoto muoia poi di freddo, di fame, di sete o per motivi igienico-sanitari”, ha avvertito la vice presidente di Nove Caring Humans, con sede a Roma e a Kabul.