“Ho chiesto a Facebook di sacrificare i propri profitti di breve termine per fare sì che si occupassero dei danni che la piattaforma sta facendo in termini di dipendenza e sfruttamento”. Non sono le parole di un attivista o di un genitore preoccupato queste, ma l’incipit di una lettera aperta che Roger McNamee, uomo d’affari americano e tra i principali finanziatori dell’azienda di Menlo Park, ha scritto per sollevare il problema delle conseguenze che i social network - e in particolare la “Big F” - stanno avendo sulla società. Se il 2017 verrà probabilmente ricordato come il momento di maggiore attenzione al tema delle cosiddette ‘fake news’ e del legame tra i social network e l’informazione, l’anno nuovo potrebbe segnare un punto di svolta nel rapporto tra i cittadini e la loro vita digitale.
Dalle campagne di manipolazione dell’opinione pubblica dettate dall’agenda politica russa fino alla bufala del Blue Whale (‘gioco’ per adolescenti che prevede come missione finale il togliersi la vita), credibilità e peso politico dei social network sono andati in costante aumento, vedendo questi ultimi accreditarsi quali attori di primo piano al fianco delle istituzioni nel controllare i fenomeni di cui essi stessi - volenti o nolenti - sono amplificatori. Ma questo ha delle conseguenze, come avvisano tanti dal mondo degli affari e della tecnologia.
Il mese scorso anche Chamath Palihapitiya, ex dirigente a Menlo Park, che ha confessato di sentirsi in colpa per aver contribuito a creare uno strumento che “fa a pezzi il tessuto della società e il modo in cui funziona". La crescita dei social network potrebbe generare paradossalmente un maggiore bisogno di piccoli spazi nei quali sia più facile orientarsi, e se in Italia il 72% dei bambini nati tra il 2002 e il 2004 hanno ricevuto il primo smartphone alle medie, molti ricercatori si schierano al fianco di chi del mondo digitale diffida, suggerendo che potrebbe essere causa di bassa autostima, comportamenti antisociali, e di un incremento di depressione e tassi di suicidio. Allarmi che risultano ancora più preoccupanti se si pensa che il solo Facebook raggiunge due miliardi di utenti attivi al mese.
Nella sua lettera McNamee continua: “Un tempo ero il mentore di Zuckerberg, ma non sono riuscito a parlargliene. E la sua proposta di cambiare le regole dell’algoritmo di Facebook per favorire ‘interazioni significative’ non sarà sufficiente per risolvere i problemi che mi preoccupano”, riferendosi alla decisione di Menlo Park di ridurre il peso delle notizie premiando di più i contenuti personali e le interazioni tra gli utenti.
Lo scetticismo degli investitori, come ricorda McNamee, è un sentimento diffuso: “Lunedì scorso due dei principali investitori di Apple hanno mandato una lettera aperta nella quale criticavano l’azienda per non aver fatto abbastanza per proteggere i bambini dall’influenza negativa che hanno su di loro smartphone e social media”. Lunedì scorso Jana Partners e Calstrs, il fondo pensioni degli insegnanti della California, due tra i principali azionisti di Apple, avevano scritto alla compagnia chiedendo che venissero introdotte più tutele contro il rischio per i bambini di assuefazione o disturbi mentali per un uso eccessivo degli iPhone. Secondo le due firme potrebbero esserci "effetti collaterali negativi indesiderati" nell'utilizzo degli smartphone da parte di bambini e adolescenti e pertanto hanno invitato Apple a svolgere ricerche su questo argomento e introdurre limiti di tempo e sui contenuti degli iPhone usati dai bambini.
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L’interessamento degli investitori sul tema può avere un effetto dirompente nel mercato tecnologico, e McNamee si augura che saranno sempre di più i membri della comunità a prendere parte a questa comunità sensibile al rapporto tra social network e società. Ma qualcosa si sta rompendo anche nel rapporto con gli utenti: secondo un’indagine condotta dal network tecnologico The Verge, al 15,4 per cento degli utenti di Facebook la piattaforma non piace. Stessa cosa per Twitter, dove gli utilizzatori non contenti sono il 17 per cento. Sono evidentemente minoranze, che tuttavia richiamano l’attenzione sui tanti aspetti del mondo digitale che non convincono. Un utente su dieci ha definito l’effetto di Facebook e Twitter sulla società “estremamente negativo”.
“Le conseguenze dell’essere tutti connessi - notizie false, radicalizzazione, massicce campagne di molestie, tormenti psicologici generati da algoritmi, stupidaggini - non facevano parte di ciò che è stato venduto”, aveva scritto Kaitlyn Tiffany su The Verge. I social sono diventati qualcosa di diverso, che difficilmente riusciamo a controllare. In Italia ad esempio il 35 per cento della popolazione si informa su Facebook, rendendolo la seconda fonte di notizie più diffusa dopo i telegiornali, ma se si guarda agli under 30, questi sono il 48,8 per cento. Inoltre gli italiani che hanno dato credito ad almeno ‘qualche’ bufala sono quasi metà della popolazione, il 7,4 per cento sono quelli che ci sono cascati ‘spesso’.
Una timida autocritica comunque l’ha fatta anche lo stesso Zuckerberg, qualche giorno fa, con un lungo post nel quale ha raccolto i suoi propositi per l’anno nuovo: “Il mondo si sente ansioso e diviso — ha scritto il padre del social network — e Facebook ha un sacco di lavoro da fare, che sia il proteggere la nostra comunità dall’abuso e dall’odio, difendersi contro l’interferenza degli Stati, o assicurare che quello passato su Facebook sia tempo ben speso. La mia personale sfida per il 2018 è di sistemare queste importanti questioni”. Zuckerberg ha riconosciuto che in passato la piattaforma sia stata usata “a fin di male”, inquinando le presidenziali americane.”Non riusciremo a impedire tutti gli abusi, ma stiamo facendo troppi errori nel far applicare le nostre direttive e nel prevenire il cattivo uso dei nostri strumenti”.