Le recensioni a tutte le nuove uscite, da Fedez e Salmo a Coez

Gabriele Fazio
Salmo e Fedez

Fedez feat. Salmo – “Viola”: Chiunque segua più o meno con attenzione le proposte musicali italiane del weekend, sa che di brani come questo se ne possono ascoltare tipo una decina a settimana. Di questi brani naturalmente non ne sentirete parlare mai, perché non sono offerti da due firme così importanti come Fedez e Salmo, insieme tra l’altro, riuniti in questa occasione, dopo anni di dissing su Instagram, dalla comune passione per il punk. “Viola” è punk quanto la Neutro Roberts e le polpette di melanzane della mamma, questo è da chiarire, se per punk intendiamo oltre alle schitarrate anche una certa attitudine narrativa. Quello che possiamo dire è che è un pezzo piuttosto loffio, ci aspettavamo qualcosa di più esplosivo, più complesso anche nella stesura del testo, che sembra buttato giù un po' con la mano sinistra, senza alcun guizzo, senza essere minimamente disturbante, senza attaccare mai niente e nessuno, senza clamorose spettinate. Poi si, certo suona, questo genere di roba suona sempre, però non è davvero niente di speciale. Coez – “From The Rooftop 2”: Serve orecchio per mettere insieme un side project così ben riuscito come “From The Rooftop”; ma serve anche la capacità di divertirsi a mettere in piedi delle cover acustiche, proprio tu che provieni da un universo ipertecnologico in cui gli strumenti alle volte nemmeno vengono considerati. Questa è la forza di “From The Rooftop”, certo, ma è anche più in generale la forza di Coez, evidentemente divertito in questa veste, capace di snocciolare piccole perle che hanno il sapore dell’intimità, come se ti trovassi in un dopo cena particolarmente alcolico e rilassato, e ad un certo punto Coez prendesse la chitarra e cominciasse a sussurrare qualche brano con un’intensità tutta speciale, e tu, sbronzo e felice, te la godessi. Una di quelle sere che poi te ne torni a casa e ti metti a letto sorridendo; “From The Rooftop” insomma è una di quelle cose che ti può migliorare una giornata. Tananai – “Abissale”: Tananai volge un attimo lo sguardo lontano dalle atmosfere da hit per proporre un brano che rappresenta l’altro lato della medaglia di un artista che floppa Sanremo in maniera così clamorosa da riscuotere un’immediata simpatia da parte del pubblico, un varco dentro il quale lui ci infila un talento sghembo e colorato, del tutto autentico, che non può che colpire ogni volta senza lasciare scampo. Neanche questa “Abissale” lascia scampo, un po' perché, abituati a vederlo e sentirlo sempre così allegro, poi a star lì inermi ad ascoltare il suono di questa sua parte malinconica un po' quasi dispiace, ti verrebbe voglia di abbracciarlo; un po' perché quell’autenticità, tradotta in una ballad, rimbomba ancora più forte dentro di noi. Sta di fatto che “Abissale” è un gran bel pezzo e Tananai con “Abissale” conferma il proprio status di artista vero, che ha trovato un modo tutto suo, alle volte anche tutto scoordinato, di comunicare con la gente. Bravissimo. Alan Sorrenti – “Oltre la zona sicura”: è straordinario percepire come e quanto certi artisti, che magari davamo per scontati quando non quasi per morti, fossero decisamente a fuoco già decenni fa, miti incrollabili con un carattere intramontabile; nel senso che oggi ascoltiamo il nuovo disco di Alan Sorrenti, lavorato a quattro mani col bravissimo Ceri, e ci sembra tutt’altro che musica scritta da un uomo classe 1950, quando forse non erano nati nemmeno i genitori di tanti indie che popolano i baretti del Pigneto. Un’operazione bella, felice, che non richiama alcuna nostalgia, ma solo un vago e piacevolissimo sentore di vintage nell’approccio, delicato ed intenso; ma resta comunque musica vera, molto più vera di tanta proposta oggi. Ginevra – “Diamanti”: “Diamanti” è un album meraviglioso, Ginevra una delle pochissime cantautrici capaci di maneggiare con autenticità questo pop elettronico che tanto va. I dodici pezzi del disco non sono solo un agglomerato di parole che accompagnano un sound dalle tonalità chillout, ma un forte inno di libertà, che poi è il tema principale attorno al quale orbita la costruzione di “Diamanti”. Una costruzione solida, una narrazione pulita e lineare, inequivocabilmente contagiosa grazie ad un modo di accarezzare la musica da parte di Ginevra etereo ma deciso. Non un solo brano sbagliato, non una sola nota fuori posto, anzi, tutto talmente corretto che l’ascolto dell’album potrebbe riallineare le vostre percezioni, i pezzi mancanti del puzzle della vostra vita potrebbero rimettersi al posto giusto magicamente. Un disco utile, dunque, oltre che molto molto bello, molto molto piacevole all’ascolto. Ginevra è una delle più interessanti voci femminili del nostro panorama musicale e questo disco ne è la prova. Eccellente. Calibro 35 – “Scacco al maestro – Volume 2”: Una perla di album imperdibile, commovente, un mix di artigianato musicale dall’ispirazione quasi divina, se pensiamo che il maestro dello “Scacco al maestro” è Morricone, compositore visionario, colonna sonora dei film che ci hanno formati, quindi compositore della colonna sonora della nostra vita in qualche modo. E i Calibro 35 lo omaggiano con tale rispetto, con tale sbrilluccicanza, che certi brani fanno proprio tremare il cuore, ti fanno vibrare il passato che torna a schiaffeggiarti con immagini indelebili. Se non ascoltate questo non c’è proprio motivo di avere un abbonamento a Spotify. Luigi Strangis – “Voglio la gonna”: Il disco inizia benino, nel senso che è chiaro che in mancanza di contenuti solidi, le canzoni perlomeno devono suonare; e suonano, un po' come “Stai bene su tutto”, che è un buon brano oltre ogni nostra più rosea aspettativa. Poi però, già arrivati alla quarta/quinta traccia ti rendi conto che non c’è abbastanza spessore artistico, abbastanza ciccia, per comporre un intero disco, così nella tua mente tutta questa sfacciata funzionalità che si insegue la coda, giusto per dare una decina di brani ad un artista così povero di contenuti (firma di suo pugno un solo pezzo del disco), diventa un frappé che ingurgiti in scioltezza ma che non ti lascia alcunché di interessante, alcunché anche di non interessante, alcunché, punto. È tutto liscio e molle, tutto poco incisivo, questo perché un ragazzino che canta è funzionale al flusso televisivo: arrivi, canti, esci; ma la musica è diversa, specie quella di oggi, serve credibilità in una giungla dove tutti hanno denti aguzzi per sbranarti. Il simpatico Strangis non sembra ancora attrezzato per questa guerra e quando il suo esercito di televotanti sarà troppo occupato a televotare qualcun altro lui si ritroverà solo, armato solo di questa musica loffia. Spiace, perché “Stai bene su tutto” è proprio un raggio di sole nel grigiore musicale dell’ambient “Amici di Maria De Filippi”. Deda feat. Fabri Fibra e Neffa – “Universo”: Quanta classe questa “Universo”, che sound adulto e intrigante, che approccio amorevole alla materia musica. Deda è uno dei protagonisti del big bang rap italiano, il nucleo attorno al quale si è sviluppato un genere che oggi è IL genere, e questa “Universo” è un colpo di tacco, un pezzo di tale spessore che verrebbe da chiedersi come si fa ad ascoltare questo brano e poi a riprendere col solito rap da classifica. Lo accompagnano Fabri Fibra e Neffa, che sono tra gli artisti più centrati del nostro panorama musicale, che più autenticamente si confrontano non con se stessi o con il largo pubblico, ma con la propria urgenza artistica, che è sempre così pulsante. Insomma un bellissimo trio per un pezzo bellissimo. Side Baby – “Tutto chiede salvezza”: Pezzo scritto per l’omonima serie Netflix che, nonostante la produzione del mago MACE, risulta didascalico e sempliciotto; come se nemmeno uno bravo come MACE fosse riuscito a cavar fuori poetica musicale da un artista plastificato come Side Baby. Speriamo che la serie sia migliore, perché questo brano è davvero bruttino. Casadilego – “Oceano di cose perse/Edinburgh attempt no. 2”: Ecco quello che ha da offrire l’ex vincitrice di X Factor Casadilego. Brani delicati e incisivi, niente di originale, niente che destabilizzi, ma una voce calda e pulita, un’interpretazione precisa e sentita; non il massimo ma nemmeno nulla, non commovente ma nemmeno ridicola. “Oceano di cose perse” l’ha scritta per lei Mara Sattei ed è davvero un ottimo brano pianoforte e voce, gli amanti del genere sicuramente ne andranno matti (noi siamo tra quelli), “Edinburgh attempt no. 2” è invece chitarra e voce, è più semplice, sa di già sentito, ma è innegabile anche in questo caso la funzionalità. Casadilego ha dei numeri, deve solo ancora mettersi a fuoco come artista, che poi è sempre la parte più difficile della storia. MIGLIO – “Techno Pastorale”: La bravissima MIGLIO con questo brano crea un’oasi d’amore nel bel mezzo della monotona ed elettrica calma di un panorama praticamente deserto. Non siamo di quella parrocchia che crede che l’amore sia la soluzione a tutto, anzi, il contrario, crediamo che a farne priorità assoluta spesso si resti con un cerino in mano, spento. Ma siamo sicuramente di quella parrocchia che crede che MIGLIO abbia una visione musicale solida e strutturata, futurista, profondamente cantautorale e questa “Techno Pastorale” è un brano che impreziosirebbe qualsiasi playlist. Vale Pain – “Pain”: Vale Pain è un ragazzo che ha dei numeri, purtroppo, perlomeno dal punto di vista della crescita artistica, non sarà questo “Pain” il disco che gli permetterà un salto. Album infatti piuttosto piatto, se è gradita la narrazione, lontana dai soliti cliché del rap game, lo è molto meno l’incapacità di buttare giù un guizzo, un pezzo che ti faccia tremare, che ti faccia fermare per dire “Ehi, un attimo, ma che bomba è questa?”. Si ascolta una storia, questo si, ma mancano i colori, mancano le visioni, manca spregiudicatezza nelle produzioni, purtroppo nella musica odierna serve scrivere col sangue, serve incidere sulla pietra, perché le wave sono talmente forti che arrivano ogni tot e cancellano tutto. La prossima cancellerà questo disco di Vale Pain, ma siamo sicuri che tornerà su questi schermi con qualcosa di più maturo e più sensato. Dutch Nazari – “Giocare con me”: Sempre stupefacente la capacità di Dutch Nazari di scrivere in punta di penna, stupefacente anche la sua capacità di creare uno scheletro sonoro attorno ai suoi testi che in qualche modo aiuti in maniera vivace e vivida la creazione di un habitat per il pezzo, che faccia cascare l’ascoltatore in un mondo ben preciso. Quello dei giochi in questo caso, l’invito ad affrontare con la leggerezza del game tutto ciò che ci è possibile, perfino l’amore. Vale LP – “Porcella”: Noi in Vale LP ci crediamo, è stato amore a primo ascolto ad X Factor, quella naturalezza, mostrata anche con un po' di sufficienza, ci aveva molto convinti. Vale LP è una artista che con questo atteggiamento renderebbe gourmet anche i bastoncini di pesce; forse infatti sarebbe meglio inserirla in un contesto un po' più complesso, questa “Porcella” è divertente, si, ma passa, la si accarezza come una canzoncina da niente, anche se sappiamo che vale molto di più; ma lei in questa fase ha bisogno di qualcosa che rimanga, di più profondo, di più significativo per chi ascolta. Arriverà, ne siamo certi. Savana Funk – “Ghibli”: I Savana Funk sono una delle realtà più divertenti che si possa avere la fortuna di incrociare. I loro live ti smontano letteralmente, non riesci a star fermo, non riesci a trattenere la gioia. “Ghibli”, questo loro nuovo album, è così: felice, artigianale, scomposto nella propria essenza, diremmo forse anche maleducato, nel senso che ti arriva addosso senza regole e ti travolge. Grandi. Gregorio Sanchez – “Nelle parole degli altri”: Con un ritmo indiepop quasi asfissiante, il bravo Gregorio Sanchez scrive un bel brano sulla forza delle parole, su come siano capaci di creare qualcosa ancor prima che quella cosa di fatto esista, sia tangibile, toccabile, malleabile, respirante. Si, perfino noi esistevamo prima di esistere, grazie alle parole, che poi è il concetto dal quale si sviluppa questo brano, che a questo punto ci invita a riflettere sulle nostre di parole e su quello che creiamo ogni giorno, cresciuti credendo a quella cretinata delle parole che volano e dello scritto che resta. Me lo disse un giorno, non ricordo nemmeno perché, Erri De Luca: “Dicono scripta manent ma è ’na strunzat’! Quello che è scritto si può strappare, le parole invece restano per sempre!”. Ecco. Gianluca Petrella/Cosmic Renaissance – “Universal Language”: Un disco che oltre ad essere ascoltato andrebbe acquistato, posseduto, anche solo per vantarsi con gli amici di avercelo, quindi di capirne di musica. L’eccellente talento di Gianluca Petrella prestato ad un progetto, Cosmic Renaissance, in cui i generi si fondono alle idee, ne viene fuori un disegno astratto e moderno, profondo e surreale, una visione regale della musica, che non finisce di certo in classifica ma che serve a bilanciare tutta la pochezza che ci accerchia e prova a soffocarci ogni giorno. Per cui, grazie. CeK EL BLANCO – “Anno del topo”: Bentornati nel mondo cupo di CeK EL BLANCO, che ti costringe a fare i conti con la parte più nera di te, che ti costringe a leccare il fondo del barile. Una visione stavolta minimalista, che esplode nelle parole e nelle immagini ancor prima che nella musica, un lungo piano sequenza in soggettiva sulla vita di un sopravvissuto ai propri stessi pensieri, ai propri stessi demoni, che si regge su un beat di fondo, lento come il respiro di questo mondo distorto. Will – “Più forte di me”: Dolce e snervante come una abbondante cucchiaiata di miele. Ad agosto. Mentre sei in spiaggia. E crepi dalla sete. Puro vuoto pop. Alla prossima. Luv! – “Olivia”: Un pezzo meraviglioso, straziante, portato a casa con quella ruvidità nella voce così affascinante, così credibile. È molto complesso distinguersi in questa giungla discografica, proporre qualcosa di unico; ci riesce la brava Luv!, ci riesce con una scioltezza trascinante, nel senso che quando se la balla ammiccando agli ’80 più colorati, tu balli appresso felice. Quando invece vuole tenerti lì, raccontarti un bisogno, una malinconia, come in questa “Olivia”, ti prende proprio per la gola, ti immobilizza, ti costringe a guardare. C’è un’ansia di fondo in questo brano, qualcosa che ti suggerisce che anche tu in qualche modo aspetti “Olivia”, qualcosa che non sai, con un’ansia del tutto particolare. Davvero un gran bel pezzo.

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