Beirut - La domanda che si fanno gli analisti e' quanto potra' durare: l'anziano sultano Qaboos non sta bene, da tempo e' iniziata la corsa alla successione, i paesi della regione (anche quelli sull'altra sponda del Golfo Persico) guardano piu' che interessati. L'Oman, la "Svizzera del Golfo", il Paese arabo che spicca per tolleranza e stabilita', si avvicina ad un bivio. Confinato in un angolo della Penisola arabica, sostanzialmente immune dagli effetti della guerra che sta insanguinando lo Yemen, appare come un'oasi di stabilita' all'interno di una regione travagliata.
Al momento. Il futuro e' tutto da vedere. Se Muscat perdesse la sua eccezionalita' si aprirebbero scenari inediti e sconcertanti. Il presente, infatti, e' persino troppo rassicurante. Nel 2015, l'International Centre for the Study of Radicalisation and Political Violence del King's College di Londra ha reso noto che dei circa 20.000 foreign fighters arruolatisi nell'Isis in Siria ed Iraq, nessuno viene dall'Oman. Lo scorso novembre, l'Institute for Economics and Peace con sede a Sydney ha pubblicato l'annuale Indice sul Terrorismo Globale, che cerca di misurare l'impatto del terrorismo su 163 paesi, attribuendogli un punteggio che va da zero a dieci. Solo 34 paesi al mondo hanno ricevuto un punteggio pari a zero: in questa categoria, l'Oman e' l'unico tra i paesi mediorientali.
ISLAM, TOLLERANZA E RICCHEZZA: I TRE PILASTRI DELLA SAGGEZZA
Anche dal punto di vista economico gli indicatori fanno dell'Oman un paese virtuoso. Nel 2010, l'Undp classificava l'Oman come lo Stato che ha beneficiato del maggior sviluppo socio economico negli ultimi 40 anni, su 135 paesi considerati. Secondo il professor Abdallah Schleifer dell'American University del Cairo, l'Oman e' addirittura "il paese meglio amministrato del mondo intero", con una Costituzione che garantisce piene liberta' civili e religiose e un welfare - alimentato dai proventi del gas - gestito in modo lungimirante, che fornisce ad esempio un sistema sanitario e d'istruzione gratuito a tutti i suoi cittadini. Qualcosa, pero', potrebbe cambiare in questo 2017, da molti punti di vista.
Il Sultanato ibadita - una "setta" minoritaria dell'Islam, unico ramo superstite della corrente kharigita, considerata apostata dai miliziani dell'Isis, il che spiega in parte la mancanza di affiliati omaniti nel Daesh, assieme al regime di tolleranza religiosa che in Oman permette alla sua componente sunnita di praticare liberamente la propria fede - e' governato dal Sultano Qaboos dall'inizio degli anni '70, quando prese il potere dal padre Said Ibn Taymur.
TRA RIAD E TEHERAN
Sin dagli anni '80 - quando medio' il cessate il fuoco tra Iran e Iraq, mentre le petromonarchie del Golfo finanziavano l'esercito di Saddam Hussein - Qaboos prova ad agire da stabilizzatore regionale, a fare da mediatore tra monarchie sunnite e l'Iran sciita, mantenendo ottimi rapporti con tutti. Si deve al Sultano - che ospito' ripetutamente a Muscat le varie delegazioni - l'importante lavoro dietro le quinte che ha portato le potenze del 5+1 e l'Iran all'accordo sul programma nucleare di Teheran.
Un mese dopo l'accordo sul nucleare di novembre 2013, i paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC) si riunirono in un Summit in Kuwait per discutere l'istituzione di un comando militare interforze congiunto, che avrebbe poi dovuto coinvolgere una quarantina di paesi.
Formalmente una coalizione militare per combattere il terrorismo, l'IMAFT (Islamic Military Alliance to Fight Terrorism), istituito poi nel dicembre 2015, nascondeva in realta' anche un obiettivo di bilanciamento regionale a favore dell'Arabia Saudita, preoccupata per l'avvicinamento dell'alleato americano al rivale storico iraniano: erano infatti esclusi dalla coalizione - nonostante il loro sforzo nei confronti del terrorismo qaedista - due paesi a maggioranza sciita come l'Iraq e lo stesso Iran.
In occasione di quel summit, il ministro degli Esteri omanita Yusuf bin Alawi comunico' ai colleghi del Golfo la propria ferma contrarieta' al progetto militare: "si tratta di un progetto che mira al confronto settario con l'Iran", era stato nell'occasione il commento di un diplomatico omanita alla Reuters. "La geografia ci impone di avere rapporti con l'Iran. E' un paese musulmano con cui dobbiamo ricercare la stabilita' regionale", rincarava la dose Anwar al Rawas, professore alla Sultan Qaboos University di Muscat. Come spiegato dall'esperto di Oman Marc Valeri, dell'Universita' di Exeter, "la politica estera omanita e' funzionale alla sua stabilita' politica interna, e la sua stabilita' politica si basa sulla stabilita' regionale".
Tuttavia all'inizio di gennaio 2017, relativamente a sorpresa, l'Oman ha aderito all'IMAFT, per scongiurare il proprio isolamento in seno al GCC in una congiuntura economica non particolarmente fortunata (il deficit di bilancio e' cresciuto nel 2016, inducendo a tagliare la spesa pubblica e ad alzare le tasse), e per prevenire i possibili spill over del conflitto in Yemen, che vede tra i vari contendenti anche al Qaeda, non lontano dal confine omanita.