In un video pubblicato il 23 febbraio sulla sua pagina Facebook, la senatrice del M5S Barbara Lezzi ha dichiarato: “In ottobre dovrà essere varata la legge di bilancio per l’anno prossimo. E allora questa che cosa prevede? Prevede l’aumento dell’Iva a partire dal primo gennaio 2018 per un valore totale di 20 miliardi di euro”.
La senatrice Lezzi ha sostanzialmente ragione, pur esprimendosi in modo confuso (letteralmente, come può una legge che sarà varata a ottobre prevedere già ora un aumento Iva?). Entro la fine dell’anno prossimo si dovrà infatti approvare la legge di bilancio per il 2018 e, in base alla legge di bilancio per il 2017, con essa potrebbe scattare un aumento dell’Iva dal primo gennaio.
Si tratta di una “clausola di salvaguardia”, cioè una misura che garantisce il rispetto da parte dell’Italia degli impegni presi su volume delle entrate previste dallo Stato. Vediamo meglio da dove arrivano e come funzionano tali clausole.
Il primo aumento dell’Iva
Le “clausole di salvaguardia” entrano nel nostro ordinamento nel 2002, quando con la riforma della contabilità pubblica vennero inserite nel bilancio per coprire le “spese previste”, aleatorie rispetto a quelle “autorizzate”. Ma è con la crisi del 2011, e con gli stringenti parametri economici che l’Unione europea impone a tutela della stabilità europea con il fiscal compact che le clausole iniziano a dilagare.
In particolare fu il governo Berlusconi, coi decreti legge del 2011 98 e 138, a disporre che se l’esecutivo non avesse trovato dalla razionalizzazione della spesa sociale 20 miliardi già iscritti in bilancio come entrata entro il 30 settembre 2012, sarebbe intervenuta una “clausola di salvaguardia” e si sarebbe intervenuti con un taglio lineare delle agevolazioni fiscali.
Il governo Monti reperì parte di quei 20 miliardi, ma non tutti, e decise con il decreto legge 201 del dicembre 2011 che, invece di far scattare il taglio delle agevolazioni fiscali, fosse preferibile prevedere un aumento dell’Iva come misura di salvaguardia. Tale aumento, dal 21% al 22%, scattò a ottobre 2013, durante il governo Letta.
Le nuove clausole di salvaguardia
Il governo Letta, a sua volta, lasciò in eredità al successore, con la legge di stabilità 2014 (comma 430), un’altra clausola di salvaguardia con cui si disponeva che, se la spending review o l’aumento delle entrate non avessero portato al raggiungimento degli obiettivi previsti, (rispettivamente 3 miliardi di euro per l'anno 2015, 7 miliardi per l'anno 2016 e 10 miliardi a decorrere dal 2017), i soldi sarebbero stati trovati con una diminuzione delle detrazioni e delle agevolazioni o con un aumento delle imposte.
Il governo Renzi, con la legge di stabilità per il 2015, “sterilizzò” – cioè rese inefficace – la clausola di salvaguardia ereditata per quell’anno. Allo stesso tempo ne introdusse una nuova (comma 718), che consisteva in un incremento automatico delle aliquote Iva e delle accise e che poteva essere evitato con interventi di revisione della spesa. Dovevano essere trovati 12,8 miliardi nel 2016, 19,2 miliardi nel 2017 e 22 miliardi dal 2018.
Per il 2016 e per il 2017, il governo è riuscito a far quadrare i conti in modo che la clausola di salvaguardia non scattasse. Con la legge di Bilancio 2017, in particolare, si è previsto che quell’anno non scattassero gli aumenti previsti: per l’Iva “agevolata”, che riguarda solo una serie di prodotti e servizi (tra cui ristrutturazioni edilizie, vari beni alimentari, prodotti farmaceutici etc.) dal 10% al 13%, e per l’Iva ordinaria, che riguarda cioè tutto il resto, dal 22% al 24%.
Per il 2018 invece la stessa legge di Bilancio prevede che le aliquote salgano dal 10% al 13% e dal 22% al 25% (che nel 2019 diventa 25,9%), e che anche dalle accise sulla benzina vengano reperiti 350 milioni di euro, per coprire un fabbisogno di 19,571 miliardi di euro (circa i 20 citati da Lezzi).
La senatrice pentastellata ha dunque ragione nel segnalare il pericolo di un tale aumento dell’Iva che, se al momento è ancora solo ipotetico, potrebbe diventare reale se non verranno trovate abbastanza risorse per le entrate statali.