Roma - "Il Manifesto", ignorando la richiesta della famiglia di Giulio Regeni, il giovane ricercatore 28enne trovato morto in condizioni misteriose al Cairo, ha ripubblicato oggi in prima pagina l'ultimo articolo inviato "all'inizio di gennaio", scrive in un fondo Tommaso di Francesco, dal ragazzo, sulla "seconda vita dei sindacati indipendenti" nell'Egitto di al Sisi. Articolo che originariamente il giovane aveva chiesto fosse pubblicato sotto pseudonimo, per proteggere lui e un altro ragazzo che si trova ancora al Cairo, e che il Manifesto, spiega, ha "deciso di offrire (oggi) come testimonianza, con il suo vero nome, adesso che quella cautela e' stata tragicamente superata dai fatti". Nell'editoriale che accompagna il testo, Di Francesco spiega che Regeni "temeva per la sua incolumita'" e "questa e' la verita' che vogliamo proporre e testimoniare sulla morte violenta al Cairo di Regeni di fronte alle troppe reticenze ufficiosi ed ufficiali e alle gravi contraddizioni delle prime indagini tra la procura egiziana, che conferma le torture indicibili, e il ministero degli Interni che le smentisce".
Per Il Manifesto in Egitto ci troviamo di fronte ad "un regime militare responsabile di un colpo di Stato definito dallo scrittore (turco) Orhan Pamuk 'eguale a quello di Pinochet' (in Cile)". Di Francesco spiega: "Affermiamo questo perche' all'inizio di gennaio, dopo aver ricevuto un suo articolo, che riproponiamo oggi con la sua firma convinti di adempiere proprio alle sue volonta'....insisteva con noi e a piu' riprese sulla necessita di firmarlo solo con uno pseudonimo". Il quotidiano diretto da Norma Rangeri ricorda come Giulio Regeni "non era ne' un violento ne' un nemico dell'Egitto, al contrario amava quel Paese...ed e' deceduto, a quanto sappiamo finora secondo la procura egiziana dopo violenze inaudite" Il Manifesto evidenzia "come in queste ore si rincorrono interpretazioni a dir poco incredibili, ufficiali e di alcuni giornali che accreditano perfino la versione dei servizi segreti egiziani che naturalmente negano ogni responsabilita' su un suo possibile fermo o arresto, rivolgendo l'attenzione allora sul fatto criminale puro e semplice, se non addirittura alla tesi dell'incidente automobilistico". "Sia chiaro. Noi non sappiamo chi siano davvero stati i suoi assassini e perche' abbiano commesso questo crimine . Possiamo testimoniare e sospettare. Ma - chiude l'editoriale - chiediamo tutta la verita' al governo egiziano, al ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e al presidente del Consiglio Matteo Renzi. Lo dobbiamo di fronte al dolore dei genitori e alla giovane vita cosi' martoriata di Giulio Regeni". (AGI)
(5 febrraio 2016)