di Geminello Alvi
Ancona, 24 apr.- L’euforia per la crescita capitalistica cinese ha fatto obliare che per spiegare prima il miracolo e poi il suo ridimensionamento dovrebbe ricorrersi a teorie piuttosto desuete. A quando nei primi anni 60 Rostow definì gli stadi della crescita moderna, e spiegò che alla Russia sovietica difettava la rivoluzione dei beni durevoli, ch’era altra cosa dal decollo industriale che era riuscito agli zar e a Stalin. Sulla Pravda si arrabbiarono molto. Fidavano infatti solo nelle quantità di investimento pianificate ovvero in un modello di crescita alla Harrod, che sommava gli effetti di accelleratore e moltiplicatore. Ora non v’è dubbio che la Cina abbia conosciuto in questi anni la sua transizione alla fase dei consumi durevoli prevista necessaria da Rostow. Tuttavia ha pure perseguito una politica “da stato pianificato” di esagerato investimento, esplosiva, con tutti i rischi che ne conseguono. Oggi una sovracapitalizzazione da URSS anni 60 resiste paradossale nello sviluppo cinese.
Le unità di investimento necessarie a ogni unità di crescita del prodotto nazionale cinese, ovvero il rapporto incrementale capitale prodotto, è infatti cresciuto al 5,2 del 2009, dal 3,9 dei precedenti 15 anni. Nel 2012 risulta salito ulteriormente a 6,2 volte. Al contempo lo stock di debito cinese totale rispetto al prodotto nel 2009 si è impennato, e nel 2012 è salito al 227%. In altri termini il capitale si sta sproporzionando ormai al prodotto ed evolve ad aumento del debito o capitale fittizio. Un credito bancario pilotato dal partito comunista, per ovviare al rallentamento del ciclo dell’economia internazionale, ha quindi pilotato la crescita; ma senza un effettivo ritorno reale.
Del resto nessuna nazione può risultare abbastanza produttiva da usare circa la metà del proprio prodotto per investirlo in nuovi capitali senza dover far fronte a una imponente sovracapacità. Nella media dei 47 episodi di sovrainvestimento dagli anni 50 la crescita è crollata dal 6,3% del primo quinquennio al 2,8% di quello seguente. Inevitabile quindi il riproporzionamento della allocazione del prodotto verso i consumi interni. Ma tenuta pure in conto la bassa produttività dell’esercito industriale di riserva cinese diverrebbe per un calcolo aritmetico verosimile pertanto un rallentamento della crescita cinese nell’intervallo tra 4% e 6% nei prossimi anni.
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