MONTAPPONE (Fermo). Dal nostro inviato
Tutta colpa di Jfk. Sì, John Fitzgerald Kennedy, il primo presidente degli Stati Uniti che con una scelta di modernità e forse presaga dei tempi nuovi rinunciò a indossare il cappello, prima di allora fedele accessorio dei suoi predecessori.
A Montappone, nell'entroterra fermano, sinuose colline marchigiane a perdita d'occhio, si fa un corso accelerato di teoria e pratica dei cappelli. Da Jfk alla coltivazione del grano, dalla quale origina il distretto; dalla canapa di Manila, uno dei tessuti più pregiati utilizzato per confezionare copricapi, al guardaroba della regina Elisabetta, qui idolatrata per l'ostinazione con la quale calca il cappello di canapa di Manila pure per ritirarsi in camera da letto.
Non male per un piccolo paese mimetizzato tra i Monti Sibillini e il Conero, che insieme a Massa Fermana, Falerone e Monte Vidon Corrado obbliga a mandare giù una nuova geografia, alla riscrittura di un glossario delle materie prime, alla riscoperta di antichissime macchine per cucire che donne anziane e allo stesso tempo giovanissime (le Marche vantano il tasso di longevità più alto d'Europa) manovrano con la stessa naturalezza con cui tirano la sfoglia in cucina. Un'overdose di cappelli e cappellifici con un sindaco cappellaio e bocconiano, Giuseppe Mochi, un parroco con il cappello di feltro nero, il medico condotto che va in giro con la coppola e una mostra permanente che parafrasando Lewis Carroll (autore di Alice nel paese delle meraviglie) è stata dedicata al "cappellaio pazzo".
In cima a via Leopardi, duecento metri più in su del palazzo comunale, c'è uno spaventapasseri da manuale, di quelli ormai spariti dalla Pianura padana, con calzoni grigi e camicia a scacchi che quasi spavaldo ostenta il suo cappello rigorosamente di paglia. Un testimonial inconsapevole di Montappone, un paese di neppure 1.500 abitanti globale e locale grazie alla rete di una sessantina di aziende vaccinate dalla crisi, dall'invaghimento del Far East (la Cina da queste parti è un Paese conosciuto e frequentano sin dai primi anni '70) e dalla globalizzazione montante. Tutto origina dalle spighe di grano, materia prima senza la quale non si mangiava e, dunque, non si sopravviveva. I contadini, dopo il raccolto, intrecciavano gli steli e confezionavano dei cappelli rudimentali per proteggersi dal sole.
Il business prende piede nei primi anni del Novecento. Il ruolo di talent scout tocca ai toscani. Scoprono che a Montappone si comprano cappelli a buon prezzo, e i fiorentini che già sono coautori del distretto (l'impiantistica arriva dalla ditta Giuseppe Michelagnoli di Signa, così come due artigiani di Signa sfornano ancora oggi gli stampi dei cappelli in lega di alluminio), comprano a mani basse. Il sindaco Mochi ci ha scritto la tesi di laurea: «Dalla manifattura contadina dell'Ottocento, al distretto industriale del cappello del XX secolo». A quel tempo i cappellai ambulanti giravano per i borghi con i cappelli infilati in una lunga asta a croce che caricavano sulle spalle prima di montare in bicicletta.
È stata una lunga cavalcata, almeno fino a dieci anni fa. I marchigiani sono svegli e già dagli anni 70 importano dalla Cina, Vietnam e Brasile le trecce di paglia e il feltro per confezionare i cappelli. Ogni azienda si specializza. Materie prime e fogge diverse. Tutto marcia in armonia. Anzi, c'è una grande collaborazione tra imprenditori. Che incoraggiano gli operai a mettersi in proprio. Più che il cappellaio pazzo sembra il mondo del cappellaio magico. La crisi in realtà si fa largo sottotraccia. Il distretto vive e prospera sul terzismo e, in molti casi, sulla monocommittenza. I giochi (e il prezzo) li fanno i grossisti. Con l'aggravante delle micro dimensioni, dell'individualismo e del ruolo schiacciante dei patriarchi che non vogliono saperne di cedere il bastone del comando ai figli. Ne sa qualcosa Amedeo Antinori, una delle dinastie dei cappellai di Montappone, che fresco di laurea in Economia viene zittito dai genitori appena apre bocca: «Quelli non li fermi neppure con una schioppettata!» dice Amedeo sorridendo. Al quale non resta che aprire un'azienda tutta sua insieme con la moglie Marisa.
Il Duemila è lo spartiacque. I cappellai capiscono che sono vittime dei committenti e che via via hanno appiattito il prodotto. Si riparte da zero. C'è chi ribalta il meccanismo, chiude la fabbrica e usa i cinesi come terzisti. C'è chi, come Antinori e Maurilio Vecchi, il presidente della sezione cappellai della Confindustria di Fermo, anche lui affiancato dalla moglie Fiorangela e dalla mamma Alessandrina (le Marche sono terre matriarcali), si rimbocca le maniche e progetta nuove collezioni da presentare alle più prestigiose fiere internazionali. La ricerca dei materiali e dei modelli è spasmodica. Antinori srotola dei tessuti trasparenti e policromi di canapa di Manila: cappelli da cerimonia che vende in mezzo mondo. Vecchi si specializza nella lavorazione di una finissima carta made in Japan, un Paese dove ormai lui e la moglie sono di casa: l'80% della loro collezione finisce nel Sol Levante. Idem per Antinori, che vende in Russia, Olanda, Francia e Giappone e alla fine vince il duello con i genitori, tanto che oggi gli tocca il doppio lavoro, impegnato com'è a gestire la sua azienda e quella di mamma e papà.
Il mercato chiede qualità. E Montappone risponde immediatamente all'appello. Cambiando mentalità e prodotto. Tutto merito di queste microimprese familiari nelle quali è impossibile separare la sapienza artigianale dalla creatività. Non a caso il passato e il futuro del distretto dei cappellai è custodito nelle mani di Alessandrina, la mamma di Maurilio Vecchi, che con il suo camice azzurro e gli occhialini tondi trascorre le giornate a cucire le falde di elegantissimi cappelli da donna con l'aiuto di macchina, la Catenella, brevettata nel 1790 dall'inglese Thomas Saint di Middlesex. «Una delle pochissime cose utili che sia mai stata inventata» disse saggiamente il Mahatma Ghandi. Che, a differenza di Jfk, raramente si separò dal suo famoso khadi, un berretto di cotone bianco disegnato personalmente dal teorico della non violenza. Potrebbe essere un'idea per la prossima mostra di Montappone. Il cappello del leader: fenomenologia dei copricapo da Roosevelt al Mahatma Ghandi. Così, almeno per un po', lo sgarbo di Jfk sarà oscurato.
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IL RATING DEL SOLE
Il punteggio
Attraverso una griglia di 12 variabili, ogni distretto viene descritto sia nelle potenzialità sia nelle criticità
IL GIUDIZIO
PUNTI DI FORZA
INNOVAZIONE
Di prodotto, soprattutto, perché il processo è sempre lo stesso. Grande ricerca di materiali: dalla carta giapponese alla canapa di Manila.
ALTA
2
OCCUPAZIONE
La manualità delle donne dovrebbe essere protetta dall'Unesco. Straordinaria abilità nell'uso di una macchina da cucire di un secolo fa: la Catenella.
BUONA
3
PRODUTTIVITÀ
Talmente buona che molti imprenditori sono tornati sui loro passi dopo il tentativo di delocalizzare in Cina. Pure la produzione è su ottimi livelli.
DISCRETA
PUNTI DI DEBOLEZZA
1ALLEANZE STRATEGICHE
Non fa parte del Dna. Il consorzio Cappeldoc conta una dozzina di imprese sulle sessanta del distretto. Fallito il riconoscimento di una Dop.
BASSA
-
2
CAPACITÀ DI FARE RETE
Quasi nulla. Rischia di rarefarsi la presenza alle grandi fiere di Parigi e New York. Da due anni la Regione e la Cdc hanno azzerato il sostegno.
SCARSA
3
CAPACITÀ COMMERCIALE
È il tallone d'Achille del distretto. In pochissimi arrivano al cliente con un marchio. Eppure chi ha valorizzato il brand ha sfondato.
INSUFFICIENTE
01/11/2012