SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
«Esperto finanziario cercasi. Buona posizione. Ottimo salario. Svariati benefit».
Wenzhou, una delle più ricche e prosperose metropoli costiere cinesi, è a caccia di professionisti di alto livello da collocare nelle principali istituzioni finanziare cittadine. Gliene servono oltre un centinaio e, secondo un'inserzione a tutta pagina pubblicata qualche settimana fa da un quotidiano economico, è disposta a pagarli a peso d'oro. La storica capitale dell'industria tessile cinese ha bisogno di reclutare in tutta fretta un piccolo esercito di maghi della finanza perché a fine marzo il Governo centrale l'ha scelta come città per sperimentare una riforma senza precedenti nella storia del paese: i residenti di Wenzhou saranno autorizzati a effettuare investimenti diretti di portafoglio sui mercati esteri.
Si tratta di una novità molto importante che testimonia la volontà di Pechino di riformare radicalmente il proprio sistema finanziario. Con un obiettivo ben preciso: liberalizzare lo yuan ed elevarlo al rango di valuta di regolamento internazionale.
Ma per fare questo, prima la Cina deve rendere pienamente (o quasi-pienamente) convertibile la propria valuta. Dal 1996 il renminbi è convertibile nella bilancia delle partite correnti, ma non in quella dei movimenti di capitale. Dai primi anni 2000, quando le esportazioni di made in China sono esplose catapultando a livelli record il surplus commerciale e le riserve valutarie cinesi, Pechino ha lasciato intendere a più riprese di essere pronta a rendere convertibile la propria moneta anche nella bilancia dei capitali. Ma poi, per diverse ragioni, ha fatto puntualmente marcia indietro.
Benché sia ormai distante spazi siderali dall'ortodossia maoista, la nomenklatura ha studiato con applicazione i testi sacri e sa bene che per vincere le rivoluzioni non basta un valoroso esercito, ma servono anche pazienza e gradualismo. E così ora, dopo una lunga attesa, tutto lascia davvero pensare che per la rivoluzione finanziaria cinese i tempi siano finalmente maturi. L'esperimento pilota di Wenzhou, infatti, non è che uno dei numerosi provvedimenti annunciati di recente da Pechino per aumentare la flessibilità dello yuan e favorire lo sviluppo dei movimenti di capitale cross-border. Eccoli.
A metà marzo il Dragone ha concesso la licenza di Qualified Foreign Institutional Investor (Qfii, gli investitori esteri autorizzati a operare sul mercato dei capitali domestico) a 23 nuove società straniere. E, pochi giorni dopo, ha più che raddoppiato, portandolo da 30 a 80 miliardi di dollari, il tetto complessivo degli investimenti riservati agli stessi Qfii. Frattanto, anche il limite dei Qfii in renminbi (la quota riservata alle istituzioni che investono gli yuan offshore per acquistare azioni o titoli oltre la Grande Muraglia) è stato aumentato da 50 a 70 miliardi di renminbi.
A fine marzo, la China Development Bank ha siglato un accordo preliminare per la concessione di prestiti denominati in yuan ai Paesi Brics. Queste linee di credito speciali a favore dei paesi emergenti (finora la banca di sviluppo cinese ha sempre erogato finanziamenti in dollari) rivestono una rilevanza strategica particolare per Pechino perché, oltre ad aprire un canale preferenziale per gli scambi commerciali con le altre nazioni emergenti, contribuiranno notevolmente a internazionalizzare l'utilizzo dello yuan nelle transazioni globali. A questo riguardo, alcuni studi prevedono che entro il 2015 il 50% degli scambi tra la Cina e il resto dell'Asia sarà regolato in renminbi.
A metà aprile, è arrivata un'altra riforma attesa da tempo: la People's Bank of China ha ampliato dallo 0,5 all'1 per cento la banda di oscillazione dello yuan. Questo provvedimento, almeno dal punto di visto teorico, contribuirà ad aumentare la flessibilità della moneta cinese sul mercato dei cambi. Di lì a pochi giorni, un'altra novità: Hsbc ha annunciato l'apertura di un mercato dello yuan offshore a Londra, che andrà ad aggiungersi a quello già operante a Hong Kong.
E guardando al futuro prossimo venturo, c'è già chi è pronto a scommettere che entro breve Pechino lancerà un nuovo progetto pilota per autorizzare gli hedge funds stranieri a raccogliere fondi in Cina direttamente in yuan.
Insomma, il Dragone sembra intenzionato più che mai ad aumentare con tutti i mezzi la circolazione globale della propria moneta. Ma quando si arriverà alla piena convertibilità dello yuan?
Le risposte sono contrastanti. C'è chi pensa che il sistema finanziario domestico cinese sia ancora troppo fragile per convivere con una moneta libera di muoversi sul mercato dei cambi: basterebbe una piccola crisi di fiducia, infatti, e i capitali prenderebbero rapidamente il volo; con tutto ciò che ne consegue. Ergo, la convertibilità dello yuan è ancora una chimera.
E c'è chi, invece, ritiene che la recente accelerazione impressa da Pechino alle riforme finanziarie sia il preludio della svolta storica che porterà all'avvento di una nuova valuta globale. «Entro il 2015 la Cina potrebbe arrivare a una convertibilità di base dei movimenti di capitale che preveda la liberalizzazione della maggior parte dei flussi di valuta cross-border, fatta eccezione per alcune operazioni come gli investimenti di portafoglio» prevede Yiping Huang, economista di Barclays.
«L'importante è non fare confusione tra libera convertibilità e piena convertibilità dello yuan - avverte l'ex guru per i mercati asiatici di Goldman Sachs, Kenneth Courtis - Della prima le autorità cinesi non hanno mai parlato, mentre la seconda rientra nei loro piani entro fine di questo decennio».
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29/04/2012