Pechino, 13 ott.- Frenata per il surplus commerciale cinese nel mese di settembre, mentre la nuova puntata della controversia sulla rivalutazione dello yuan sembra rimandata al prossimo G20, in programma a Seul per l'11 e il 12 novembre. Secondo i dati ufficiali il mese scorso le esportazioni cinesi sono cresciute del 25,1% anno su anno, un rallentamento notevole rispetto al + 34,4% registrato in agosto, mentre le importazioni sono cresciute del 24,1% rispetto allo stesso periodo del 2009, contro una crescita del 35,5% nel mese di agosto. Attenzione però; se l'export mostra un calo anno su anno, è comunque cresciuto del 4,1% rispetto ad agosto, laddove l'import ha addirittura registrato un consistente aumento del 7,4%. La crescita record delle importazioni oltre la Grande Muraglia diventa così la chiave per leggere il dato finale, che mostra un attivo commerciale ridottosi complessivamente del 15,7% per arrivare a quota 16.88 miliardi di dollari, il livello più basso da aprile, ben al di sotto delle aspettative degli analisti che per il mese di settembre prevedevano 18.5 miliardi. Basteranno questi dati per ridurre le pressioni internazionali sull'apprezzamento dello yuan? Osservatori ed esperti lo ritengono improbabile: in questa riduzione del surplus commerciale del Dragone giocano un ruolo determinante le importazioni di petrolio (23.29 milioni di tonnellate di greggio, +4,8% rispetto al record precedente, in giugno, e +35,4% anno su anno), segno che la Cina continua a importare risorse e non beni finiti.
Gli ultimi attacchi in ordine al tasso di cambio della moneta cinese arrivano dalla Germania: se il membro del consiglio centrale di BCE Axel Weber ha dichiarato ieri che è necessario "affrontare un discorso molto serio con Pechino sulla questione yuan" e che "gli aggiustamenti sui tassi di cambio non possono essere decisi unilateralmente", il ministro dell'Economia tedesco ha affermato senza mezzi termini che la Cina avrebbe "grandi responsabilità" nello scoppio di una guerra valutaria. "La svalutazione dello yuan è all'origine delle tensioni,- aveva detto venerdì scorso Dominique Strauss Kahn all'inizio del vertice del Fondo Monetario Internazionale- e anche se le politiche economiche messe in atto dalla Cina per gestire la crisi stanno andando nella direzione giusta, occorre che Pechino acceleri il processo di rivalutazione. La minaccia di una guerra delle valute, anche se sotterranea, va presa sul serio". Ma il vertice della scorsa settimana si è chiuso senza nessun accordo, a adesso i riflettori si spostano a Oriente, a Seoul, dove la moneta cinese sarà uno degli argomenti principali del prossimo G20. Il tasso di cambio dello yuan-renminbi, com'è noto, viene fissato dalla Banca centrale di Pechino: dopo quasi due anni di ancoraggio al dollaro per fronteggiare la crisi finanziaria globale, nel giugno scorso la Cina è tornata ad ampliare la banda di oscillazione, generando un apprezzamento sul biglietto verde di circa il 2%. E nonostante ieri lo yuan abbia raggiunto un nuovo record sul dollaro, USA e Ue continuano ad accusare la Cina di mantenere artificialmente basso il valore della sua moneta, una manovra capace di generare enormi distorsioni su tutta l'economia mondiale. Mentre nelle scorse settimane a Washington la Camera dei Rappresentanti approvava una norma che- nonostante le regole WTO- potrebbe condurre all'applicazione di tariffe sulle merci cinesi, Brasilia e Tokyo adottavano a loro volta alcuni ritocchi sul tasso di cambio, mentre Nuova Delhi e Bangkok meditano di seguire la stessa strada. Ad aumentare la difficoltà nel decifrare la situazione, ieri è arrivata la notizia di un nuovo record nelle riserve di valuta estera detenute da Pechino, che avrebbero raggiunto quota 2500 miliardi di dollari. Manca meno di un mese all'appuntamento di Seoul: ma se sarà sufficiente a scongiurare una guerra valutaria è ancora tutto da vedere.
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