Shanghai, 11 giu. - Il viaggio per via ferroviaria è l'incubo dell'espatriato in Cina. Una paura apparentemente ingiustificata, perché altri sono i posti oggettivamente minacciosi: taxi, ristoranti, sistemi elettrici delle abitazioni private, strisce pedonali ed altro ancora. Ma tant'è, lo straniero evita ad ogni costo treni e stazioni, prendendo piuttosto brevi voli costosissimi su trabiccoli più simili all'ornitottero di Leonardo da Vinci che a moderni aeroplani.
Eppure la Cina è all'avanguardia ferrotranviaria, nuove linee ad alta velocità sorgono nell'intervallo tra due proteste nostrane sulla Tav, i treni a levitazione magnetica ti lanciano a 431km/h (una volta mettendoci a uovo toccammo i 433), ci sono cuccette lussuose e stazioni organizzatissime, i convogli partono in orario e i prezzi sono imbattibili. E allora perché la diffidenza, l'antipatia?
Questo dipende da due fattori: l'atto dell'acquisto del biglietto e l'imprevedibilità del viaggio.
Certo l'espatriato con impanatura linguistica seria riesce sovente nell'impresa. Prova anzi la soddisfazione, nel comprare il biglietto e portare avanti l'avventura ferroviaria, di chi ce l'ha fatta, nella vita e nella sinologia. È infatti l'acquisto del biglietto del treno lo scoglio più duro per chi si cimenta nello studio del mandarino, non la comprensione degli spettacoli televisivi, la dissertazione tecnica o il bisticcio amoroso, come in altre lingue straniere.
Partiamo dalla prima insidia: l'acquisto del biglietto. Qui nessuno ti può tirare fuori dai guai. Sei tu, solo in un ordito di code irregolari e ti devi guadagnare l'avanzamento verso uno degli sportelli blindati con vetri antiproiettile che spacciano biglietti verso ogni destinazione.
Mi riservo di scrivere presto un'analisi comparata delle code Cinesi e Italiche. Per il momento il lettore si limiti a credere che affrontare i contendenti di coda, il lunedì mattina in qualsiasi stazione dei treni, è tendenzialmente uno sport individuale violento che dovrebbe a mio giudizio essere regolato in categorie di peso o di cintura. E dopo lo sforzo psicofisico per guadagnare la biglietteria, il bello deve ancora arrivare: in qualche modo devi comprare un biglietto simile a quello che ti serve. Quando arrivi davanti allo sportello, la sala della biglietteria diventa improvvisamente silenziosa. L'assordante attività di centinaia di accodati si ferma in un attimo: tutti devono sentire dove va il lao wai, lo straniero! In che lingua si esprimerà? Quale sarà la sua destinazione, forse le Americhe? Avrà una voce come tutti noi o comunicherà ipnotizzando il bigliettaio, come gli extra terrestri seri? L'impiegato di cassa mi sta guardando dall'altra parte dello vetro antiscasso. Non c'è espressione nei suoi occhi, è pronto alla battaglia, braccia larghe sui fianchi e mano vicina al mouse come in uno spaghetti-western. Pronunzio le prime parole, "io voglio" (che il cinese non si perde in tante inutili forme di cortesia) e riprende il baccano. Un capannello di curiosi alla cinese si è infatti formato tutto attorno a me. Non dietro di me, ma tutto attorno a me, a 359 gradi: rimane giusto lo scorcio per intravvedere l'occhio cattivamente scaltro del bigliettaio di fronte a me. Tutti stanno dicendo la loro. C'è grande eccitazione nell'aria. Chi urla "Lui parla", altri "Straniero! Straniero!", c'è chi mi chiede "Dove vai? Quando vuoi partire?", tutti ridono o esultano.
A fatica riesco a completare la frase mandata a memoria durante la coda, ma non sono convinto che il bigliettaio abbia capito. L'occhio scaltro si è fatto ora sornione, soddisfatto, fintamente bonaccione. Bigliettaio mi sta dicendo qualcosa, forse ripete la domanda.
Ma solo un filo di gracchiante rumore arriva alla mia parte di mondo, oltre il vetro. Un microfono dovrebbe trasferire il suo verbo, ma il sistema acustico è a dir poco rudimentale: un cornetto di carta davanti alla bocca sarebbe più efficace.
La disfatta è in agguato dietro ogni frase scambiata con il maestro bigliettaio. Basta una parola sbagliata, è sufficiente che egli abbia motivo di dubitare delle mie capacità linguistiche, o ritenga per qualche motivo di avere risposto a tutte le mie domande e che il dialogo sia concluso, e non c'è nulla da fare.
Per motivi ignoti il bigliettaio potrebbe offendersi, o perdere la pazienza, o ritenere che l'aspirante viaggiatore non dovrebbe proprio partire, e il gioco è fatto. L'impiegato integerrimo smetterà di parlarti, di guardarti, cesserai di esistere. Gli altri accodati, per non far perdere la faccia né a te né al bigliettaio, fingeranno di non vedere, di non capire, e diventerai invisibile agli occhi di tutti. Ti tocca fare la coda da capo, o presentarti direttamente ad un altro sportello, nessuno protesterà. Ma dentro si sarà rotto qualcosa. Per il momento sta andando tutto relativamente bene, continuo a dire "chiedo aiutami" (formula utilissima per chi volesse viaggiare in Cina), gli ripeto destinazione ed orario, ma lui mi sta chiedendo altro. Temo mi stia interrogando sul tipo di treno, la classe all'interno di quest'ultimo, se voglio stare in piedi o un posto a sedere. Questa è la parte più pericolosa. Se capiti nel treno sbagliato, il viaggio è impossibile anche per il backpacker integralista fresco di Thomas Mann e fidanzata norvegese. Non importa tanto la classe, dove la differenza consiste per lo più nello spazio. Pazienza se ti fai 4 ore in piedi, stipato tra compagni di viaggio che sbadigliano molto rumorosamente. La situazione visiva e igenico-olfattiva di certi treni e carrozze non è descrivibile nei limiti di un linguaggio decente e attento alle diverse sensibilità del lettore di AgiChina24. Rimane poi il rispetto per le persone che effettivamente utilizzano quei convogli, magari una volta in vita loro, per abbandonare case e famiglie, lasciate in una campagna a centinaia di chilometri di distanza. Certamente la maggior parte dei treni in partenza dalle grandi città sono nuovi, efficienti, addirittura belli, seppur mai inodori. Ogni anno le destinazioni si avvicinano, i treni sono rinnovati, le stazioni ristrutturate.
La stazione Sud di Shanghai meriterebbe una lettera apologetica con uno spazio suo. Ma l'incognito, il rischio, l'imprevisto, i pericoli della coda e la tensione dell'acquisto del biglietto rendono a tutt'oggi il viaggio in treno qualcosa di fruibile a pochi iniziati.
Con il biglietto in mano, attendo timoroso il mio turno. L'altoparlante chiama l'uscita A7, il cancello si apre e noi viaggiatori ci lasciamo trascinare dalla folla che conduce al treno. Anche oggi ho avuto fortuna. Non ho posto a sedere, ma la bella vettura di seconda classe fa parte di un convoglio di pendolari urbanizzati. Dopo poco un ragazzotto sorridente mi fa cenno di avvicinarsi. Sculetta verso i due vicini di poltrona e mi fa sedere accanto a lui. Pochi minuti e si addormenterà poggiando il capoccione sulla mia spalla.
Si addormentano come bimbetti, a queste latitudini: sarà mica la dieta locale, che prevede spesso un'impepata di cartilagini suine all'aglio per prima colazione? Ne giova forse il rallentamento del metabolismo, ma non certo la freschezza dell'alitosi. Eppure come fai a respingere chi si è fatto stretto stretto per farti sedere? Impossibili dilemmi umani che maturano o consumano l'espatriato in Cina.
Gianluca Morgese. Imprenditore a basso budget di Provincia Italiana che si trova a vivere nella Provincia Cinese all'inseguimento di lavori di nicchia. Settori che nessun business man solido si prenderebbe la briga di coprire, in luoghi spesso lontani dai bagliori di Shanghai e le suggestioni di Pechino. Durante una cena con altri 95 commensali ha un'esperienza gastro-mistica: un occhio, forse suino, lo sta fissando dal suo cucchiaio da zuppa. Da qui la decisione di raccontarvi, senza pretese di verità ma con imparzialità fotografica, ciò che vede della sua amata Cina, durante i suoi viaggi e la sua vita di provincia.
La rubrica "Lettere dalla Cina" ospita gli interventi di giovani italiani che vivono e lavorano in Cina, offrendo spunti di vita quotidiana e riflessioni originali. Andrea Bernardi, Corrado Gotti Tedeschi, Elisa Ferrero e Gianluca Morgese.