Pechino, 10 mar.- Dopo l'Elefante, arriva il Dragone: Pechino ha aderito formalmente all'accordo di Copenhagen sul clima, dopo che Nuova Delhi aveva fatto altrettanto lunedì scorso. La Cina è l'ultimo dei paesi emergenti a siglare formalmente l'intesa raggiunta a dicembre, che non fissa però limiti vincolanti per l'emissione di gas serra e prevede il tetto di due gradi all'aumento della temperatura media del pianeta, oltre alla creazione di un fondo da 30 miliardi di dollari l'anno nel triennio 2010-2013 e di altri 100 miliardi tra il 2012 e il 2020. L'adesione all'accordo, fortemente voluto dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama ma percepito come troppo limitato rispetto agli obiettivi del summit da una vasta ala dell'opinione pubblica ambientalista, era stata posticipata dopo le obiezioni presentate all'ultimo minuto da numerosi paesi; Indonesia, Brasile, Sudafrica e Messico avevano già dato il loro assenso. La posizione di Pechino, a Copenaghen, era emersa con chiarezza: nonostante la decisione di tagliare tra il 40% e il 45% la cosiddetta 'intensità carbonica' - cioè il rapporto tra PIL ed emissioni dannose-, il Dragone si era rifiutato di sottostare ad impegni vincolanti. "Le nazioni industrializzate e i paesi emergenti hanno responsabilità storiche molto diverse nei cambiamenti climatici e sugli attuali livelli di emissioni inquinanti, e si trovano anche in fasi dello sviluppo molto distanti tra loro. Per queste ragioni, anche le responsabilità e gli obblighi nella lotta ai cambiamenti climatici vanno differenziate"aveva dichiarato il ministro degli Esteri Yang Jiechi, facendosi portavoce della posizione ufficiale del governo. Una posizione letteralmente fatta a pezzi dal ministro britannico dell'Ambiente, David Milliband: "Non possiamo più permettere che negoziati su questioni così vitali vengano sabotati in questo modo – aveva scritto Milliband al termine del summit – dato che alcune delle nazioni emergenti più importanti hanno rifiutato tali impegni, e non abbiamo raggiunto un accordo né su un taglio del 50% delle emissioni globali entro il 2050, né su una riduzione dell'80% da parte delle nazioni industrializzate. Su entrambe le questioni la Cina ha posto un veto, nonostante si trattasse di posizioni condivise da una vasta maggioranza di paesi". Secondo la versione moderata dell'accordo raggiunto a Copenhagen, il Protocollo di Kyoto rimane quindi in vigore: Nel 2015 è prevista una revisione del documento, con la possibilità di portare il limite dell'aumento di temperatura a 1,5 gradi.