Pechino, 2 feb. – Alla vigilia dell'incontro tra Barack Obama e il Dalai Lama (quest'ultimo atteso negli Stati Uniti a partire dal 21 febbraio), la Cina per bocca di Zhu Weiqun - vice-direttore del Dipartimento del Fronte unico del Comitato centrale del partito - ha affermato che: "se il presidente Obama incontrasse il Dalai Lama, andrebbe incontro alla nostra ferma opposizione e finirebbe per minacciare la fiducia e la collaborazione". La posizione di Pechino appare scontata e rafforzata dall'altalena degli eventi che si sono succeduti nelle ultime settimane e che hanno minato le relazioni diplomatiche tra le due potenze. Sul fronte americano, numerosi think tank si interrogano sull'operato del presidente e della sua amministrazione. Funzionari e esperti dubitano che Obama avesse intenzione di stuzzicare il Dragone. La vendita delle armi a Taiwan era un affare su cui si lavorava da tempo e la decisione di non incontrare il Dalai Lama prima di recarsi in Cina, nel mese di novembre, mirava a tendere la mano alla potenza asiatica, in vista di importanti appuntamenti, primo tra tutti il vertice di Copenaghen. Musica non nuova alle orecchie di chi ha seguito passo dopo passo l'ascesa al potere del presidente, prima con la campagna elettorale modulata sui toni della necessità e della fattibilità del cambiamento; poi con il programma di politica estera, imperniato sui temi della collaborazione tra paesi sviluppati e paesi in va di sviluppo, nei settori più diversi, dal dossier nordcoreano, alla ripresa economica, alla lotta contro il cambiamento climatico.
Douglas H. Paal, politologo americano presso il Canergie Endowment for International Peace che vanta una lunga esperienza come inviato a Taiwan, spezza una lancia a favore della scelta dell'amministrazione Obama: "era evidente che Pechino non sarebbe intervenuto in Iran e quindi non c'era alcuna ragione per ritardare la vendita di armi". Walter Lohman, direttore dell'Asian Studies Center at the Heritage Foundation, ritiene che Obama ora non possa sottrarsi al suo incontro politico con il Dalai Lama e afferma che: "sono i cinesi ad assumere una posizione estrema su questo punto, essendo gli unici ad avere un'opinione negativa nei confronti del leader spirituale". Ai suoi occhi, l'errore del presidente è stato quello di mostrarsi "eccessivamente rispettoso" nei confronti della Cina prima della sua visita di stato e l'attuale presa di posizione cinese deriva dal legame a doppio filo che lega le economie di Pechino e Washington (negli anni della presidenza Bush, l'export proveniente dalla Cina ha invaso il mercato americano; parallelamente, gli investimenti cinesi sono saliti alle stelle, con il risultato che oggi il Dragone possiede 800 miliardi di dollari del debito pubblico americano). Nina Hachigian, del Center for American Progress, scarta l'ipotesi che il presidente sia stato "debole" nei confronti della Cina, richiamando come prova della sua argomentazione proprio il recente accordo per la vendita delle armi alla "provincia ribelle". Anche la sua opinione complessiva sull'operato dell'amministrazione Obama è positiva: "l'amministrazione ha avuto successo, sebbene vi sia ancora una diffusa diffidenza sul fatto che l'America appoggi la crescita della Cina e non voglia contenerla". Infine, per quanto riguarda le tensioni prodottesi nelle ultime settimane, è convinta che: "i rapporti tra Cina, Usa e Taiwan si trovano nel 'Triangolo delle Bermuda'. La navigazione nel prossimo futuro sarà tempestosa ma, trovandosi sulla stessa barca, deragliare non è interesse di nessuna delle due parti, perciò dopo una piccola sbandata si rimetteranno in binario".