Crescita dimezzata per le aziende italiane che producono compressori d'aria, attrezzature impiegate nelle più svariate attività industriali. Quest'anno secondo le previsioni di Compo, l'associazione Costruttori compressori, pompe e accessori per il trattamento aria federata ad Anima, il fatturato del settore toccherà 805 milioni di euro con una crescita del 4,6% rispetto al 9,1 visto nel 2007. Stesso trend anche per le esportazioni a quota 340 milioni, pari a un +6,3% rispetto lo scorso anno quando però l'incremento fu del 13,5 per cento.
Perché il settore, dove le aziende italiane rivendicano la loro leadership, è appesantito dalla crisi economica europea e americana, da una domanda congelata dall'aumento di materie prime come acciaio e petrolio mentre il supereuro impone sacrifici ai produttori. Risponde così Marco Fini, presidente della Compo, a chi gli chiede com'è andato il primo semestre del 2008. «A giugno c'è stata una miniripresa considerata come un colpo di coda dopo un difficile primo semestre a cui si aggiungono delle incerte prospettive». Uno scenario incerto che va interpretato in chiave negativa perché secondo Fini «la seconda parte dell'anno seguirà purtroppo l'andamento della prima». A preoccupare il presidente della Compo è anche l'andamento degli ordini. «Ora il portafoglio copre al massimo 45 giorni mentre prima si arrivava a un paio di mesi e più».
Tra le poche note positive la decisione comunitaria di applicare, dallo scorso marzo e per due anni, un dazio di circa il 70% ai compressori di produzione cinese, molto forte soprattutto nel segmento hobbistico. Questi modelli sbarcano in Europa quasi a prezzi di saldo. Secondo le rilevazioni di Anima-Compo nel 2007 il prezzo medio al chilo dei questi compressori «made in Cina» nel 2007 era di 1,9 euro contro i 2,4 del 2006 e i 6,5 euro nel 2002.
«Adesso che abbiamo la protezione antidumping ci aspettiano che le autorità doganali europee effettuino tutti i possibili controlli – sottolinea Michele Schweinöster, direttore generale di Anima – per limitare le frodi da falsi documenti o codici doganali errati e per la verifica della reale provenienza delle merci».
Sono una quindicina i produttori italiani associati alla Compo che direttamente danno lavoro a 2.600 persone. Alcune negli ultimi 5-7 anni hanno anche giocato la carta dello sbarco in Cina con proprie unità produttive. Una strategia che ora viene rivista alla luce del caropetrolio che appesantisce i costi del trasporto.
«Anche i costi cinesi sono in aumento – commenta Fini –. Ma chi ha investito in Cina è stato lungimirante, non solo per avere costi più bassi in Europa ma soprattutto per il mercato asiatico che sarà ancora in forte crescita nei prossimi anni. Il compressore è un prodotto voluminoso per cui su determinate linee di prodotto è conveniente continuare l'assemblaggio in Italia con componenti misti cinesi-europei».
In quest'ottica si muove la politica d'investimenti in ricerca e sviluppo che per l'anno in corso prevede un budget complessivo di 17 milioni. «Il compressore come prodotto industriale è di tecnologia povera per cui gli investimenti nella ricerca sono spalmati in altre voci aziendali come la riduzione costi, il rinnovo stampi, la creazione di nuovi siti produttivi in altre zone del globo come, per esempio, in Cina, India, Brasile».
E.N.
01/09/2008